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Quando avevo 14 anni uscì con un ragazzino della mia età. Erano primi amori, ricordo che bramavo un fidanzato. Guardavo le mie amiche e tutte loro erano guardate, io solo vista di striscio. Si chiamava Giovanni, uscita a tre, in piazza Bra, Verona. Uscita a tre perchè portai un’amica di supporto. Era una sensazione strana sentirsi voluta, apprezzata, guardata. E infatti, durò molto poco in quanto dopo solo due giorni scoprì che non gli piacevo in quanto, secondo lui, ero troppo in carne. “Fa lo stesso, si va oltre, la mia vita continua” pensai, eppure si era creato un buco, non so dire bene dove, ma era come se nello stomaco o nel cuore si aprì una fessura che nessuno seppe mai colmare. Ora, povero Giovanni, non voglio darti le colpe delle mie insicurezze, ma si, hai colpito esattamente dove non dovevi, a tua insaputa. Dopo due anni mi fidanzai, diventai grande e tutto andò per la meglio fino a quando, finito un bel pranzo di famiglia, mi vidi esattamente per quello che ero: grassa. 1,70 cm per 70 kg. A 19 anni. “Lo faccio solo una volta e poi la smetto” pensai, e vomitai tutto il pranzo e anche un pò della cena della sera prima.

Quella solo volta durò così tanto che a distanza di 6 anni, ancora combatto con il mio corpo alla luce del sole. Servono sette spinte fino a metà gola con l’indice e il medio e tac, il vomito arriva. No, non è un consiglio, un vanto o una scorciatoia per farvi iniziare, perchè dietro quelle sette spinte c’è tanto dolore, c’è uno stomaco rovinato, delle gengive sanguinanti e tanti sensi di colpa.

La bulimia ti guarda dritto negli occhi e ti spiega come è facile morire nell’anima se solo lo desideri. Qualcuno la chiama Mia. Ed è totalmente vero, è una cosa tua che quando inizia, non hai più modo di fermare. Giovanni non ha colpe, i mass media non hanno colpe, io non ho colpe, la società neppure. Se ci mettiamo a ricercare di chi sono quelle non finiamo più di vomitare. L’unica cosa da focalizzare è una sola: “Ti vuoi bene?”. Vuoi bene alle tue mani, ai tuoi capelli, al tuo accento o al tuo sguardo? Vuoi bene a chi merita il tuo amore, alla tua pelle, al tuo modo di fare? Nasce tutto da lì, il mio piccolo buco è diventato una frattura e alla fine ha preso spazio a tal punto, che tutta la paura si è trasformata in energia, in rabbia, in voglia di libertà, in femminismo. Ho 25 anni, sono 1,70 cm e peso 65 kg. E sono bella, intelligente, a volte simpatica a volte invece no, sono spontanea, permalosa e voglio sempre aver ragione. Quel buco è perennemente dentro di me e che io mi definisca bella è raro e finto, ma lo dico per autoconvincermi e per far sparire lentamente anche lei.

Non voglio nascondermi, mettere a tutto volume la musica per non far sentire gli sforzi di vomito alle mie coinquiline, voglio stare alla luce del sole e dire chiaramente che “no, non mi piaccio, vorrei essere una 40 e anche a me piacciono i visi simmetrici, magri, con il profilo di una dea, senza doppio mento e il nasino alla francese”. Però non sono così e devo capire che il mio corpo è diverso e amabile allo stesso modo.

Un’amica, due anni fa, ha comprato su Ebay una macchinetta per tatuare. E’ venuta da me una sera qualsiasi, abbiamo bevuto alcolici parlando di cose leggere, ridendo molto. Per gioco mi ha tatuata il polso. Il destro. C’è un piccolo sette, tutto storto, allargato e malconcio. Il mio sette.

Se anche tu soffri di DCA, raccontami la tua storia, io la prossima volta andrò avanti con la Mia.

A.M

Anna Martone

Anna Martone

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