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La dottoressa Anna Vagli ci spiega in cosa consiste e cosa fare per difendersi in caso di revenge porn e cyberbullismo

By creativemarket via Pinterest

La Dottoressa Anna Vagli, Giurista, Criminologa Investigativa, Esperta in
Scienze Forensi e Psicologia Investigativa , Sopralluogo tecnico sulla scena del Crimine e Criminal Profiling, Esperta in casi di Bullismo,
Cyberbullismo e Cyberpedofilia risponderà in questa intervista a delle domande semplici ma pratiche sul revenge porn e sul cyberbullismo e su come agire se si è una vittima di questi ultimi.

Di cosa tratta innanzitutto il Revenge Porn?

Con il termine Revenge Porn si fa riferimento alla pubblicazione sul web di foto o video sessualmente espliciti, con finalità di vendetta. Nella maggior parte dei casi la divulgazione di questo materiale è diretta conseguenza della fine di una relazione sentimentale e diviene mezzo per esporre la vittima alla gogna pubblica.

C’è una differenza tra Cyberbullismo e Revenge Porn?

In realtà il Revenge Porn può definirsi una forma avanzata del Cyberbullismo, a cui si lega a doppio
filo: scattare una foto sensuale e inviarla al proprio fidanzato (o presunto tale) è una moda piuttosto diffusa. Spesso, però, non si tiene conto del fatto che quelle foto e quei video sono conservate in un dispositivo digitale e quindi in mani
altrui. Con tutti i rischi del caso. La continuità con il cyberbullismo può leggersi anche nelle altre modalità con le quali revenge porn può estrinsecarsi. Il materiale pornografico può infatti essere procurato riprendendo di nascosto la
vittima durante alcuni momenti privati (spogliatoi a scuola); attuando un vero e proprio hacking del cloud della vittima ovvero del suo smartphone oppure filmando il rapporto sessuale con il consenso della vittima.

Esiste in Italia una normativa contro il Revenge Porn e come funziona?

Il reato di diffusione di materiale multimediale sessualmente esplicito è previsto dall’art. 612-ter del codice penale e punisce proprio la realizzazione o la sottrazione di
immagini e video a contenuto sessualmente esplicito e la successiva pubblicazione o diffusione, in assenza del consenso delle persona ritratta. Il revenge porn è punito mediante querela della persona offesa che deve essere presentanta entro sei mesi e può essere rimessa solo in sede processuale. La pena prevista è la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.

Come si può prevenire la divulgazione delle nostre immagini e documenti
sensibili?

In questo senso, l’unico modo per prevenire il rischio è quello di evitare di inviare immagini che ci ritraggano in atteggiamenti intimi. Secondo le stime di Azzurro il 17% di chi pratica sexting ha ammesso di esserne stato vittima di revenge porn o quanto
meno di essere stato minacciato. Se proprio non se ne può fare a meno consiglio di scaricare la app Rumuki, creata con la finalità di arginare il fenomeno del revenge porn.
Grazie ad un sistema di crittografia rafforzata, questa app per mobile consente di girare un video senza rischiare che il filmato finisca volontariamente sul web. Per registrare bisogna associare tra loro due dispositivi e, al termine, la app crea due chiavi di sicurezza, una per ogni dispositivo, e ognuna diversa dall’altra, facendo si che il materiale risulti criptato. Per poter vedere il video è necessario il consenso di entrambi gli utenti, se uno dei due lo nega l’altro non potrà visualizzarlo. Se poi uno degli iscritti decide di distruggere la chiave di sicurezza il video viene automaticamente cancellato senza lasciare traccia. Storia finita, filmato sparito. Al momento tale meccanismo risulta applicabile soltanto ai files audio video, ma si sta lavorando ad un sistema simile per agire anche sulle fotografie.

Segnalare il contenuto alle piattaforme affinché venga rimosso ha senso?

Si, eccome se lo ha. Tutte le piattaforme social prevedono l’opzione segnala e, una volta azionata, sono tenute a rimuovere il contenuto nelle 24 ore successive.

Chi decide di sporgere denuncia a chi deve rivolgersi?

Le strade perseguibili sono molteplici. È possibile fare una segnalazione, anche se si è minorenni, direttamente al Garante della Privacy o, in alternativa, effettuare una
querela alla Polizia Postale (preferibilmente rivolgendosi ad un legale). In ultima istanza la vittima può contattare Permesso Negato, associazione senza scopo di lucro
che tutela i soggetti c.d. vulnerabili nei casi di segnalazione di pornografia non consensuale e che offre il proprio servizio 24 ore su 24.

Se la vittima non è in grado di fornire le prove perchè sono state condivise in chat
e gruppi segreti cosa può fare?

La questione che poni non è da sottovalutare purtroppo. Se infatti i video o le foto vengono pubblicati su Telegram o su gruppi segreti di facebook, le prove possono non
essere agevolmente reperibili. In questo caso però è possibile che la vittima ne venga a conoscenza attraverso l’approccio di un predatore che fa parte proprio di quei gruppi.
In un simile scenario è possibile che sia lo stesso predatore a comunicare alla vittima la presenza di sue foto sessualmente esplicite sul web. A quel punto sarà imprescindibile effettuare screenshot alla conversazione che poi dovranno essere allegati alla denuncia o alla querela.

Se si teme che qualcuno in possesso delle nostre foto possa divulgarle cosa è possibile fare?

Laddove non si abbia alcuna certezza in ordine alla diffusione delle foto è possibile fare una diffida. Può rivelarsi sufficiente anche un messaggio via whatsapp (che risulti
effettivamente letto mediante le “spunte blu”) con il quale si avvisa il destinatario che le foto che ha ricevuto sono private. L’invio di un tale messaggio è fondamentale per
l’operatività dell’art. 612-ter c.p. che, come anticipato, ha introdotto il reato di revenge porn.

Quali sono le conseguenze per le vittime?

Purtroppo le conseguenze più incisive sono quelle di matrice psicologica, le quali possono rivelarsi devastanti determinando disturbi di matrice ansiosa, depressiva e talvolta suicidaria. Queste infatti ledono al reputazione e l’immagine sociale della vittima che può interpretarle come ostacoli insormontabili.

Una soluzione preventiva potrebbe essere un’educazione sessuale neutra?

Sicuramente andrebbero promosse maggiori campagne e politiche di alfabetizzazione rispetto ai rischi della rete. In questo scenario, la scuola dovrebbe diventare un luogo
di aiuto reciproco e di promozione di una cultura informata circa le nuove insidie social. Al contempo, però, un ruolo fondamentale è ricoperto dai genitori che sono chiamati a prendere coscienza della loro responsabilità educativa in ordine alle nuove
esperienze digitali.

Che consiglio si sente di dare alle vittime che provano vergogna a denunciare perchè temono un’ulteriore diffusione oppure a chi ha paura di diventare vittima?
Esiste un modo per evitarlo?

Io credo che possa capitare a tutti di avere un momento di debolezza, anche in questo periodo di quarantena. La cosa importante è fermarsi a riflettere un attimo sulle
conseguenze e sull’opportunità di inviare foto o video “compromettenti”. Un errore di
gioventù capita a tutti non ci si deve vergognare, anzi. Bisogna avere il coraggio di chiedere aiuto alla famiglia ed alle Istituzioni, le uniche in grado di tutelarci dalle insidie del web. È infatti soltanto attraverso un impegno coordinato di famiglie, società e Istituzioni che potrà essere garantito a bambini ed adolescenti la possibilità di vivere degnamente la loro sessualità.

Intervista a cura di Graziana Minardo

Picture of Graziana Minardo

Graziana Minardo

Una risposta

  1. Giustissime, quanto esatte e puntuali le osservazioni rilasciate dalla criminologa, Dott.ssa Anna Vagli. Mi aspetto da Lei, una maggior pubblicazione di libri che possano chiarire alcuni aspetti, non ancora chiariti, di cold-cases, anche di molti anni fa, in quanto con le attuali tecnologiche, a mio avviso, se ne potrebbero risolvere ancora molti.

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