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L’Ilva non è donna

Poche cose.

L’Ilva è la più grande acciaieria d’Europa, si trova a Taranto, ha dato molto lavoro dal 1961 in poi, ha ucciso e inquinato l’aria per il medesimo periodo. Nessuno ha fatto nulla. Ho letto molto negli ultimi giorni riguardo le emissioni inquinanti di questo stabilimento, il disastro ambientale di cui è la causa, l’inchiesta che va avanti dal 2012 e dei morti che ci sono dietro ogni frase che leggo. Sembra che Taranto sia lei, e viceversa. Il cuore pulsante di una città di 195 024 abitanti che potremmo diminuire a vista d’occhio dato che i morti per cancro sono all’incirca 1500 l’anno. Tutto questo è a 904 km da me, ne leggo e mi informo perchè in questo mare di persone ce ne sono un paio che amo, e mi schifo all’idea che se dovessero mai fare una boccata d’aria in più, io potrei perderli. Allora studio mi dico, ho un mezzo comunicativo importante, piazzo qua e là ciò che sta succedendo. M’informo e ne parlo, perchè non so se lo sapete, ma dell’Ilva ora non se ne parla più. O la respiri, o ci muori, o non ne sai nulla. Scrivete nel search “Ilva” non esce nulla che non sia di mesi o anni fa. Tempo in cui ha fatto scalpore e poi come ogni cosa si lascia nel dimenticatoio, a meno che Barbara D’Urso non le dedichi un salotto a Domenica live.

Sia chiaro, di seguito riporto solo dati femminili perchè ovviamente mi affascina la guerra che sa sempre portare avanti il sesso debole, però questo gigante lo stanno combattendo tutti e ovviamente non c’è distinzione di sofferenze e lotte.

L’Ilva non è affatto donna, o forse si. Lo dico perchè studiando mi sono imbattuta in un documentario attinente a tutto questo che vi invito a guardare. E’ del 2010, lo trovate digitando “La svolta, donne contro l’Ilva”, la regista è Valentina d’Amico e mi sono persa nel vedere questa tragedia attraverso i suoi occhi. Parliamo di donne, madri, lavoratrici che combattono per salvaguardare la propria salute, la salute di chi hanno attorno. Sei donne: Patrizia e Francesca vedove di chi amavano, Vita madre di un figlio che lavorava per l’Ilva e una gru gliel’ha portato via, Margherita sottoposta a soprusi e licenziata, Anna su una sedie a rotelle e poi Caterina, madre, semplicemente madre di un figlio che soffre di autismo. Tutte problematiche legate a questo cuore pulsante, grande, troppo grande, pieno di anomalie cardiache. Con loro si ripercorrono decenni di disastri ambientali e sociali avvenuti nella città di Taranto.

Continuo a cercare: venti donne. Venti di queste che manifestano con le foto dei figli persi. Persi non perchè la vita è ingiusta, ma per meglio dire persi perchè sono stati uccisi. “Sogno un futuro diverso” è il loro slogan e lo sente chiunque, tranne chi ancora non sta chiudendo le fonti inquinanti e gli impianti dell’acciaieria dell’ex Ilva. Facciamo finta di nulla, gli anni passano comunque.

Mi spaventa l’idea di essere una di loro. M’ immedesimo sempre in ciò che guardo, a volte troppo, e m’immagino di essere una madre e di vedermi portare via mio figlio a causa di un lavoro. Vedo e ascolto ciò che dicono e mi chiedo se chi è la causa di tutto questo faccia sonni tranquilli. Penso proprio di si.

A conferma che le donne sono sempre tali in ogni situazione. Si piazzano in prima linea e reagiscono. Si fanno sentire con le loro voci alte, acute, e si sdraiano stanche solo quando non hanno più forze. Potete portare via tutto ad una donna, riuscirà sempre a respirare la vostra aria piena di morte ridandole vita. Guardando il film, leggendo “La svolta” di Francesca Caliolo, protagonista di tutto questo dove racconta la propria storia, la storia di Antonino, morto nello stabilimento, mi rivedo e mi immedesimo sentendomi persa. Come ci si deve sentire a lottare contro un gigante?

“È diritto di ogni bambino nato sano,
poter crescere in salute
senza essere avvelenati da un
impianto industriale fuori controllo”

Lorenzo, ucciso a 5 anni dai fumi dell’Ilva.

Leggendo trovo tutti identificati come “operai”, “ex operai”, “figlio di un operaio” o “madre di un operaio” e mi fa paura pensarla così. Un’etichetta che dovresti portare con indifferenza e invece ti lega a lei in modo malato. Uno stabilimento enorme che divide una popolazione tra guadagno e salute. Eh beh, mica campi senza lavoro e a volte è meglio morirci per quell’impiego, piuttosto che conviverci senza saper come pagare il mutuo. Bravo a chi ci ha mangiato sopra. Come tutte le cose, non siete né i primi né gli ultimi. Ovunque io guardi, qui da me o lì da voi, tutti pensano per sè che Dio pensa per tutti. Più o meno. Per i bambini che avete ammazzato di tumore non ci ha pensato nemmeno lui.

Questo articolo non è descrittivo, inquisitorio, informativo, è solo incazzato. Non si fa mai abbastanza quando si può, chi riesce ci campa sulla morte degli altri e tutto si muove sempre lasciando indietro i cittadini di serie B. Vorrei che questo articolo risultasse ogni volta che qualcuno digita “Ilva” e vedesse che la data è aggiornata. Non ci trova dati statistici, ma ci trova sostegno. Sostegno per quelle madri, quelle donne. Di serie a,b,c, ma persone che voi avete comunque deciso di ammazzare. Non operai appartenenti a un mostro guidato da diavoli menefreghisti, indifferenti. Non ve li meritate.

Perchè dovrebbe interessare a tutti dell’Ilva? Perchè questa è ovunque. La corruzione, l’indifferenza, le lotte, i soprusi sono in tutta Italia. E mi schifa vedere che nessuno fa mai niente. Possibile che la vita o la salute della gente sia al secondo posto nella scala delle priorità di chi governa tutto questo? Ma poi , perchè nessuno si ribella e ribalta la situazione, mai? Perchè tutto viene messo a tacere e le cose non cambiano lasciando che l’aria s’infetti, sempre di più. Mi sento impotente, inutile.

Essere consapevoli. La guerra civile in atto da sempre tra stipendio e sopravvivenza è alla base di ogni ricerca. Non so darmi risposta nemmeno io, o meglio forse si ma non voglio essere giudicante. Io credo semplicemente che si necessiti di un cambiamento. Basta lotte e manifestazioni per avere diritti che dovrebbero essere alla radice della vita di ogni persona. Basta arrivare a morte e sofferenza per uno stabilimento che sicuramente frutta soldi a circa 13 mila persone, ma a che prezzo? Non voglio immaginarmi in un mondo così.

Quei fumi dovremmo immaginarli in casa nostra. L’Ilva deve essere ovunque, dappertutto, deve essere vista dai balconi di Venezia, dalle strade di Milano o dalle piazza di Olbia, perchè in realtà è così. Ha sicuramente un altro nome, altre mura, altri ladri, altri Giuda, ma è ovunque e la sorellanza che tanto noi elogiamo nel femminismo dovrebbe essere a livello umanitario, equo, sempre.

Io ho paura, perchè voi no?

A. M

Anna Martone

Anna Martone

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