Le voci delle femministe si manifestano, impetuose, come fiume in piena. Rivelano le storture di una società patriarcale, ancorata a modelli maschilisti e limitanti. Il vero, mediante esse, si propaga come intenso profumo destando molti dal torpore dell’ignoranza. Esse, infatti, tentano di offrire una visione nuova ed equa, debellando quella stantia e obsoleta che, per secoli, ha ingabbiato donne e uomini in una morsa di dolore.
Mi sono posta un quesito in questi giorni, però: se esse raccontano verità e cercano soltanto di creare una società che dia ausilio a tutti, perché, spesso vengono silenziate o, nel peggiore dei casi, svilite?
Ritengo che ci sia mancanza di ascolto puro, partecipe e privo di moralismi. Si è soliti, infatti, udire solo quel che risulta consueto, ciò che non ci toglie i privilegi acquisiti senza merito, ciò che ci è stato insegnato sin da bambini. La gran parte dei pensieri che produciamo, infatti, è indotta dalla società: tutto ciò che conosciamo come nostro retaggio culturale è, in realtà, originato da quello che, per anni, abbiamo percepito, visto e sentito da altri.
Siamo come fiore che, per sopravvivere, attecchisce in un terreno fertile: non sempre esso è adatto ma, nonostante tutto, tentiamo di farci casa in un luogo che non è nostro. Poi, per fortuna, accade che qualcuno ci dia acqua rigenerante e terra nuova: in quel momento diventiamo rigogliosi e colorati.
Se desideriamo, dunque, farci primavera e creare uno spazio adatto a tutti, è necessario ascoltare. Bisogna dare voce, parola e spazio ai soggetti oppressi e capire quel che comunicano. Inizialmente, abituati come siamo al pensiero comune e presi, forse, da noi stessi, faticheremo a comprendere: se ciò accade, è necessario scacciare l’ombra di giudizio che si è creata nella mente e avviare un processo empatico. Credo sia di fondamentale importanza mettersi nei panni altrui: è un metodo che possiamo adoperare per capire meglio la situazione che una persona vive.
Occorre, inoltre, attribuire pieno valore ai sentimenti altrui: non dobbiamo mai concepirli come mero lamento, esagerata richiesta o sciocca emozione. Chi fa parte di un gruppo oppresso deve essere rispettato senza che, pensiero e cuore, vengano sviliti.
Non esistono problemi di poco conto. Le persone oppresse – coloro che vivono in una società che le emargina senza reticenza alcuna – hanno il diritto di essere aiutati senza giudizi costanti.
Si crede che le rivoluzioni siano fatte di soli gesti. Io sostengo che, invece, le parole siano vessillo di piena libertà: se ascoltiamo chi pronuncia frasi scomode, se capiamo i sentimenti altrui, se ci allontaniamo dalla volontà di puntare il dito, stiamo già creando un seme di speranza. E quest’ultimo – e posso affermarlo con certezza – sarà utile a tutti.
Scritto da Lorenza De Marco
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