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La Monaca di Monza: l’alter ego di Marianna de Leyva

La figura di Marianna de Leyva, nobile lombarda, diventa famosa per la somiglianza con Gertrude (meglio conosciuta come “La Monaca di Monza”), uno dei personaggi principali del libro ”I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni.
Con la pubblicazione di questa opera nel 1827, ella diventerà con il tempo prodotto della cultura di massa e la sua vita verrà in parte stravolta e assimilata totalmente al suo alter ego letterario, confondendo realtà e artificio. A questo proposito sono stati messi in scena diversi adattamenti cinematografici e teatrali della storia, che hanno sempre presentato la donna come una figura pietosa, libertina e peccaminosa.

Basti pensare all’adattamento del 1947 o quello più recente del 1987, dove sembra essere narrata semplicemente una storia d’amore terminata in modo drammatico fra una monaca e il suo amante. Nessuna menzione viene fatta dello stupro che sembrerebbe esserci stato da parte del nobile Gian Paolo Osio e delle terribili vicende che hanno punteggiato la vita di Marianna de Leyva.

La Monaca di Monza (1969)

La storia di Marianna de Leyva:

Marianna de Leyva nasce a Milano tra il 1575 e il 1576, dopo il matrimonio strategico fra
Martín de Leyva, conte di Monza, e Virginia Marino. Tuttavia l’ingiustizia segnerà da subito la vita della bambina. Nell’ottobre 1576, infatti, la madre verrà a mancare e il suo
testamento verrà diviso in parti diverse fra lei e il fratellastro Marco, avvantaggiando quest’ultimo, nonostante l’ordine della madre di elargirlo ai due figli allo stesso modo.
La bambina verrà affidata alle cure delle zie, mentre il padre partirà per servire don Giovanni d’Austria nella guerra nelle Fiandre, così da mantenere gli onori della famiglia.

Le fonti non dicono nulla sull’educazione che seguì la ragazza; ma parlano del fatto che si
pensava, come prima opzione, di darla in sposa a qualche nobile. Il suo destino cambiò con le seconde nozze del padre, dopo di cui iniziò ad essere considerata scomoda e inutile, considerati tutti i figli maschi avuti dal secondo matrimonio. Per questa ragione il padre scelse per la figlia la strada della monacazione.

Con un atto notarile del 1589, Martín predispose la sua dote spirituale, che sarebbe stata donata al monastero benedettino di clausura di S. Margherita di Monza. Due anni dopo
Marianna de Leyva, con il nome di Virginia Maria, prese i voti presso lo stesso monastero.
Da qui cala il silenzio, fino all’incontro con Giovanni Paolo Osio, di agiata famiglia monzese. Il giovane intratteneva amicizia influenti al tempo come quella con Visconti o
con Borromeo. Inoltre era in ottimi rapporti con il monastero di S. Margherita.
La relazione fra Marianna de Leyva e Giovanni Paolo cominciò subito in modo turbolento.
Ella denunciò il tentativo di Giovanni di intrecciare una relazione amorosa con una giovane monaca, che venne allontanata e fatta sposare. Successivamente Marianna lo
denunciò nuovamente per altri motivi: ella era stata testimone dell’omicidio che il giovane aveva compiuto (e per il quale gli sarà concessa la “remissione”).

Dopo questa vicenda, iniziò il corteggiamento, che sfociò in una relazione amorosa fra i due; ma anche in una violenza sessuale (che verrà confessata nell’interrogatorio del 22 dicembre 1607). Nel 1602, dopo essere rimasta incinta, la Leyva partorì un bambino morto. Questo fece finire la relazione per un breve periodo, che poi riprese nel 1604, data
della nascita della figlia Alma Francesca Margherita, che Osio, riconoscerà in un secondo momento come figlia.
Nel frattempo si susseguono gli omicidi delle vittime, che volevano confessare questa storia d’amore come quello di Caterina della Cassina. A questo punto Osio venne
arrestato e imprigionato e nel 1607 Marianna de Leyva fu rinchiusa nel monastero di S. Ulderico, mentre iniziavano le indagini.
Nell’interrogatorio del 22 dicembre 1607 la giovane descrisse minuziosamente i dettagli
del suo rapporto ambiguo con Osio, quanto avvenuto in convento, lo stupro di cui era rimasta vittima e i suoi conseguenti tentativi di mortificazione e di allontanamento di
Osio, anche con pratiche magiche. Il 14 giugno 1607 fu sottoposta al secondo interrogatorio, nel quale venne utilizzata la tortura.
Osio venne condannato a morte e la de Leyva fu murata viva nella Casa delle donne convertite di S. Valeria a Milano con due sole fessure per il cibo e la luce.

La rivisitazione di Manzoni:

Nel romanzo “I Promessi Sposi” Alessandro Manzoni utilizza la figura di Marianna de Leyva e le cambia il nome in Gertrude (o la “Monaca di Monza”). Anche il nome dell’amante Giovanni Paolo Osio muterà in Egidio. Tuttavia non sono solo i nomi a
cambiare; ma anche i caratteri dei personaggi. La storia di questi due sembra essere quasi un romanzo drammatico.
Gertrude è alla ricerca costante dell’approvazione del padre, che troverà solamente con la monacazione (cap. X: “allora, finalmente, fu, per un istante, tutta contenta”). E’ una figura rassegnata, debole, che accetta il suo destino; ma allo stesso tempo è sempre portata a
peccare e a infrangere le regole, come mostrare un ciuffo di capelli all’interno del monastero o intraprendere una relazione clandestina, disobbedendo ai voti monacali.

Manzoni provava pietà per questa figura e la chiamerà “Gertrudina”, “poveretta”, “innocentina”).

Ella, infatti, non si pentirà per le sue azioni, come invece farà Marianna de Leyva, e per questo sarà punita. Nel romanzo è forte la presenza della Provvidenza.

Nonostante questa figura venga vista come sventurata; si mette in evidenza anche il potere di scelta di questa donna, la sua indipendenza e il suo bisogno di infrangere le regole. Manca dunque un focus reale nella vita di Marianna de Leyva che, come abbiamo visto, è soggetto impassibile delle vicende che accadono nella sua vita. In primis la
monacazione forzata; poi lo stupro, le gravidanze e l’essere testimone di molteplici violenze.

Tabù e religione

Nonostante Marianna de Leyva sia in un certo senso vittima di quello che le accade, il peccato e il pentimento accompagneranno tutta la sua vita. Ella si sentirà colpevole per le
vicende che attraversano la sua vita e cercherà continuamente una via per redimersi.

Inizierà a scrivere delle lettere per le monache che avevano “perso la retta via”, sotto consiglio del cardinale Federico Borromeo; e pratiche di mortificazione.

La religione ha sempre visto la sessualità come un pericolo e il modo più semplice per contenerla (specialmente quella femminile) è sempre stato il senso di colpa. Ricondurre la pratica sessuale, al di fuori della procreazione, ad una forma peccaminosa e “sbagliata” di
libido, rende più semplice controllare le persone.
Questo ha delle ripercussioni sociali gigantesche che portano, per esempio, alla creazione del mito della verginità, assimilato a quello della purezza (ad esempio, la figura biblica femminile per eccellenza, Maria di Nazareth, che riesce a rimanere incinta, se pur
vergine).
Tuttavia le donne nella Bibbia vengono dipinte anche come tentatrici, figure del demonio
che possono portare alla perdizione.
Nascono dunque due macro-categorie che si proiettano nella vita reale e inglobano l’universo femminile: quello delle “sante”, le donne perfette da sposare; e quello delle
“tentatrici”, le donne in qualche modo sacrificabili.

Questa categorizzazione è molto pericolosa perché vede solo “bianco” e “nero”, bene e male, e costringe le donne in compartimenti stagni, dai quali è difficile uscire.

A questo proposito si può parlare delle vittime di violenza sessuale che, nonostante quanto avvenuto, si sentono in qualche modo tutte colpevoli (almeno in un primo
momento). Vi è vergogna, paura nel parlarne, dal momento che è come ammettere che qualcuno abbia intaccato il proprio valore.

Da qui nasce il sentimento di frustrazione e tristezza che prova la de Leyva e tante altre donne che, al contrario suo, non hanno avuto la fortuna (o la sfortuna) di finire nelle mani di un famoso scrittore settecentesco.

Sara Albertini

violedimarzo

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