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La lezione di Agnes Martin sull’Astrattismo

La donna e l’artista

Guardando all’Astrattismo di Agnes Martin c’è chi dice di aver trovato pace e tranquillità, di aver intravisto un senso di completezza. Non è poi tanto assurdo ipotizzare che l’artista abbia deciso di svuotare le opere di proposito, di non appesantirle con i propri drammi. Mettendo così da parte la ricerca interiore e la solitudine di una vita straordinaria che non poteva esservi rinchiusa.

Le opere non raccontano ma rimangono a disposizione dello spettatore, griglie vuote da riempire di riflessioni.

Charleston Rushton, Ritratto fotografico di Agnes Martin, 1991, image’s source: Smithsonian National Portrait Gallery

Agnes Martin viene ricordata erroneamente come una donna solitaria. Un ricordo da far risalire certamente al suo auto-isolamento iniziato nel 1968. Durante questo anno emblematico l’artista scappa dal caos di New York e decide di fare tappa a Taos, New Mexico, dove da giovane aveva ottenuto una laurea in educazione artistica. La nuova sistemazione sancisce la fine di un viaggio itinerante per gli Stati Uniti durato un anno e mezzo. Riscoperto nel paesino di Taos il piacere di una vita tranquilla decide di non spostarsi mai più e così fu fino alla sua morte.

Breve biografia

Agnes Martin è molto più di un’artista solitaria e per dimostrarlo sarà necessario mettere da parte le sue gabbie d’inchiostro su carta e liberarci un attimo del suo legame con l’Astrattismo.

Martin nasce nel 1912 a Macklin, in Canada ma si trasferisce dopo poco in New Mexico, trascorre l’adolescenza svolgendo i mestieri più disparati, riesce addirittura ad affermarsi come nuotatrice partecipando alle selezioni per il team delle Olimpiadi. Ottenuta la laurea presso l’University of Mexico a Albuquerque si dedica all’insegnamento, missione che sostituisce presto con la pratica artistica vera e propria, vissuta in prima persona in quanto pittrice. Inizia a esporre a 46 anni con quadretti ad acquerello, quelli che possiamo considerare esercizi pittorici fini a se stessi, caratterizzati da una figurazione stantia e polverosa che non le appartiene.

Arrivata a New York nel 1957 su richiesta della gallerista Betty Parsons, Agnes si stabilisce in una comunità di artisti dove fa la conoscenza di Jasper Johns, Robert Rauschenberg – entrambi considerati i padri fondatori del New Dada – e Barnett Newman, la figura di spicco della pittura astratta americana. Grazie alle nuove amicizie e al vivace clima artistico di New York intorno agli anni ‘60 abbraccia ufficialmente l’Astrattismo e non lo lascia mai più. Nel minimalismo delle linee e del neutro trova la sua espressione più fedele.

La ricerca dell’ordine nell’Astrattismo

A New York, tra il 1964 e il 1967, Agnes Martin esplora sempre di più l’Astrattismo, porta avanti un’indagine preliminare su forme e colori esercitandosi col nuovo linguaggio e portandolo al minimo indispensabile.

La sua produzione è caratterizzata da tele articolate da sottili griglie geometriche realizzate a inchiostro o matita su sfondo neutro. Si limita a poche forme geometriche ripetitive, come in The Field, 1966, inchiostro e matita su carta dove compare una scritta “la città”. Forse a indicare il tipico schema urbanistico a griglia di una città statunitense, chiamato appunto Grid plan.

Agnes Martin, The Field, 1966, image’s source: moma.org

Ordine, pulizia, sintesi, raziocinio, caratteristiche tanto insistenti sulle tele quanto precarie nella mente dell’artista. È proprio in questo periodo che Agnes inizia a soffrire i primi sintomi della schizofrenia. Voci e figure che non esistono, alle quali la stessa artista chiede consigli riguardo alle opere e alla sua vita privata, in merito alla sua omosessualità.

Di lì a poco sono proprio queste allucinazioni che suggeriscono ad Agnes di intraprendere un viaggio all’interno degli Stati Uniti, lontano dalla città e alla ricerca di se stessa. La traversata in lungo e largo del territorio americano la porterà a stabilirsi in New Mexico, nella vecchia e familiare Taos. Iniziano per lei i sette anni di pausa dalla pittura all’interno di una casa spoglia e spartana, senza la compagnia di persone o animali. Nonostante l’austerità della sua dimora, l’artista non vive la sua nuova vita eremitica come un chiaro peggioramento della sua malattia. Al contrario, l’allontanamento dalla mondanità di New York le permette di prendere coscienza del proprio mondo interiore.

La nuova produzione pittorica

Nel 1974 Agnes Martin ricomincia a dipingere e dalle opere di questo periodo è possibile notare un cambiamento di rotta all’interno del grande universo dell’Astrattismo. Assistiamo alla realizzazione di tele dai toni vivaci, molto diverse dalle opere precedenti. È possibile rintracciarvi l’indagine condotta sulla forma e sul contenuto: la tela quadrata e la rappresentazione grafica di un’emozione, un sentimento. Una precisione a prima vista matematicamente perfetta che nasconde in realtà un universo di piccole variazioni, tremolii, imprecisioni, tutti dettagli visibili solo a pochi centimetri dalla tela. Se nell’ordine formale del dipinto vediamo chiaramente il concetto, è nelle interferenze che troviamo la mano dell’artista.

Agnes Martin, With My Back to the World, 1997, image’s source: moma.org

Alle griglie del periodo precedente accosta strisce di colore orizzontali o verticali come nel celebre With My Back to the World, 1997, quadro emblematico per la vivace scelta cromatica e soprattutto per il contenuto. Martin dichiara di aver dato le spalle al mondo, di averne preso le distanze. Insomma, niente di personale ma è meglio che ognuno vada per la propria strada; il mondo con i suoi conflitti e interessi da proteggere, Martin da sola con le sue tele. Le uniche compagne che avrà fino al 2004, anno della sua morte. Per dare un esempio della distanza abissale tra Agnes e il mondo basti sapere che fino alla fine dei suoi giorni, l’artista aveva trascorso gli ultimi 40 anni senza mai aprire un giornale. Nelle sue opere, l’artista quindi invita lo spettatore a meditare. Allontanarsi e avvicinarsi continuamente al dipinto così come ci si allontana dal mondo circostante per guardarlo da un’altra prospettiva. Lei stessa definisce la propria arte una pratica spirituale, un dialogo quotidiano con il nostro io interiore.

La lezione sulla bellezza

Uno degli insegnamenti più preziosi che Agnes Martin dà a sua nipote non riguarda l’Astrattismo in sé ma si riferisce al concetto più ampio di bellezza.

Quando penso all’arte penso alla bellezza. La bellezza è il mistero della vita. Non è negli occhi, è nella mente. Nella nostra mente c’è la consapevolezza della perfezione. -Agnes Martin

Agnes racconta che un giorno sua nipote di undici anni, Isabelle, le venne a far visita presentandosi alla porta con una rosa in mano strappata da un cespuglio nel giardino intorno alla casa. L’artista prese in mano la rosa e chiese alla bambina: “Trovi che questa rosa sia davvero bella?” E Isabelle disse di sì.

Allora Agnes nascose la rosa dietro alla schiena e chiese alla nipote: “La rosa è ancora bella?” E anche questa volta Isabelle disse di sì, la rosa continuava a essere bella. Martin quindi fece notare alla bambina che la bellezza non era nella rosa ma nella mente.

The Art Assignment, Arte I can’t show you, image’s source: https://youtu.be/phYyRNrhZwc

Questa lezione è utile non solo a Isabelle, ma anche a chi sta ancora cercando di capire quale fosse l’intento di Agnes nei suoi quadri. Le opere non hanno il pretesto di rappresentare niente di concreto se non l’ispirazione stessa. La continua ricerca di significato non ha alcun senso, ciò che conta è il tempo trascorso a meditare immersi nella pace dei suoi dipinti.

Eleonora Ficara

Fonti:
https://youtu.be/phYyRNrhZwc
https://www.sistemacritico.it/wp-content/uploads/2020/09/4D37297B-ED39-495D-B506-FE6D8BAB1962.png
https://www.guggenheim-venice.it/it/arte/artisti/agnes-martin/
https://segnetti.com/2017/09/22/agnes-martin-quadri/

violedimarzo

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