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Personaggio femminile, donna, millennial: rappresentazione e identificazione in Julie de La persona peggiore del mondo

Questo articolo potrebbe contenere spoiler.

Ognuno di noi non ha idea di cosa stia facendo nella propria vita, e di questo La persona peggiore del mondo, e in particolare la sua protagonista Julie, si fa carico di mostrarlo quasi come un’esposizione artistica in cui ogni sezione è dedicata a una diversa indecisione più che decisione, a un particolare dubbio sulla validità delle nostre scelte e delle nostre esperienze.

I critici concordano che il film rappresenti un affresco generazionale, in cui si mette in scena tutta l’irrequietezza e la sensazione di indeterminatezza tipica della vita dei giovani fra i venti e i trent’anni, in particolare dei millennial. E Julie, che seguiamo nel corso del film dai suoi anni all’università fino al compimento dei fatidici trent’anni, è colei che incarna questo turbamento come un blocco di creta che va plasmandosi in base alle persone che incontra, alle relazioni con la famiglia, al vaglio delle possibilità e alla vita che, nel frattempo, sembra scorrere senza che lei riesca veramente a prenderne le redini.

È chiaro che lo scopo del film è esibire quest’incertezza senza dare giudizi, lasciando che si insinui in ogni aspetto della vita della protagonista, dalle prospettive lavorative alla sicurezza e attendibilità dei propri sentimenti, spesso incomprensibili proprio a coloro che li provano. In un mondo che si affretta ad etichettare, non c’è l’intenzione di decretare che Julie sia una cattiva o una brava persona, mentre si prende visione di tutta la sua incoerenza: come ha dichiarato lo stesso regista, l’incoerenza di Julie e le sue contraddizioni sono volute, perché, nella vita reale, non vi è costantemente logica o premeditazione nelle decisioni degli esseri umani.

All’inizio del film, Julie è una studentessa di medicina che si rende conto di voler fare la psicologa, poi la fotografa, poi nel corso del film anche la scrittrice. La trama si concentra principalmente su due diverse relazioni di Julie: la prima è con un artista più grande di lei di quindici anni, con cui va a convivere e con cui ha delle discussioni sul loro futuro insieme, in particolare sull’avere dei figli; questa è la relazione in cui si palesa tutto l’attrito derivante dalla realtà di trovarsi in due stadi molto differenti della propria vita, una giovane donna che sta appena incominciando a vivere e a conoscersi, e un uomo quasi di mezza età che è professionalmente affermato e vuole mettere su famiglia. La seconda relazione è con un coetaneo, che come lei lavora più che altro per mantenersi (lei in libreria, lui in un bar): con lui c’è chimica e intesa, ma non c’è un reale piano per il futuro, mentre in lei sorge la sensazione di volere di più dalla vita – anche se non sa bene cosa.

Non veniamo mai a sapere niente di concreto su Julie: andiamo al passo con l’instabilità delle sue idee e dei suoi sentimenti, e il film chiede di rimanere spettatori e godersi la parabola di una ragazza che percorre la propria vita in salita come tutti senza che vi sia necessariamente una vera e propria risoluzione, in rispetto di quella sensazione di inconcludenza così emblematica della gioventù.

È un film per chi vuole riconoscersi, rivedersi e riascoltarsi sullo schermo e rendersi conto dell’universalità di certe emozioni – ma c’è molto di più, e così come per Julie non si tratta di buono o cattivo, ma della verosimiglianza tanto cara al film.

Personaggi femminili e femminismo

Prima di essere una millennial, prima di essere una donna, Julie è un personaggio femminile al centro di un film che vuole rappresentare la sua esperienza di donna e di millennial nel mondo contemporaneo.

Julie non è perfetta, e questo è realistico e necessario, perché il cinema deve mostrare personaggi complicati e contraddittori e ambivalenti, soprattutto quando si tratta di donne, così spesso incasellate in stereotipi unidimensionali che hanno fallito nel trasmetterle come individui esistenti fuori dalla sfera dell’oggettificazione sessuale o del supporting role nella storia evolutiva dell’uomo di turno. Ma questo realismo ha un limite, perché al di là della volontà di mettere in scena senza moralizzazione un personaggio che può essere egoista senza essere odiato, può essere amato senza essere del tutto compreso o senza essere moralmente, appunto, ineccepibile, il film ci mette davanti all’ennesimo personaggio femminile che manca di complessità, perché mostrare una donna che non sa cosa vuole dalla vita, va avanti per inerzia senza veramente cercare, con un’impressione di insensatezza che sicuramente fa centro, non è l’equivalente di mostrare una donna reale, una donna non preconfezionata secondo stereotipi e vaghi dilemmi filosofici, con una personalità vista e rivista e adattata a un pubblico che, come Julie stessa, vuole qualcosa di più ma non sa bene cosa.

A volte sarebbe bello poter rivendicare il diritto alla mediocrità, e assegnare ruoli importanti a personaggi che non sono né troppo né troppo poco, reclamando il proprio posto nel mondo senza dover essere un genio, una modella, un artista incompreso; ma La persona peggiore nel mondo vuole parlare a e con una generazione e come tale ha un compito che non può trascurare e che esso stesso si prefigge, e cioè quello di fornire spessore a un personaggio che è prima di tutto un personaggio femminile.

Nel film, Julie scrive un articolo sul femminismo partendo da uno dei presunti dilemmi sorti nell’era del #metoo: alle donne può piacere il sesso orale?

Dubbio di una spettatrice femminista: questa domanda è davvero femminista?

Julie prende un argomento a caso, che ha a che fare col femminismo, e ci scrive un articolo di cui noi non “leggiamo” che le prime due righe. Non sappiamo lei cosa ne pensa, sappiamo solo che l’articolo avrà un discreto successo online – un successo completamente obliterato che non porta a nulla, come di certo spesso può succedere. Ma ha senso far scrivere a Julie un articolo che parla di femminismo, facendo sì che dia il suo contributo alla causa giusto perché donna, su un argomento stereotipato, senza tra l’altro che si venga mai a sapere quali siano le considerazioni della stessa Julie in merito? Abbiamo davvero bisogno di un personaggio femminile che menzioni il femminismo e si professi femminista perché la sua esperienza di donna sia resa valida, piuttosto che costruire un personaggio che agisca come tale, senza che il femminismo funga da ostentazione cinematografica di un regista uomo che crede necessariamente che una donna si interroghi su quanto sia femminista fare una fellatio?

Il femminismo dovrebbe essere una lente attraverso cui modellare il personaggio, non dovrebbe essere un esercizio di stile maschile per rendere una donna credibile – si possono raccontare storie di donne senza che queste donne menzionino mai il femminismo o i diritti delle donne. O se proprio il tema femminista è funzionale alla storia e deve essere esplicitato, perché sempre e solo quando si parla di sesso?

Identità sperperata

L’impressione è che ci siano diverse occasioni sprecate per rendere il personaggio di Julie un personaggio femminile a tutto tondo, vero e complesso, con relazioni anch’esse vere e complesse.

Il film si focalizza sulle relazioni romantiche, ma l’esempio più rilevante a proposito di occasioni sprecate è il rapporto con i genitori. Su quello con la madre non sappiamo nulla – a parte una considerazione sfuggevole di Julie che accenna come la madre possa risentirla per il suo trasloco nella casa del suo compagno; mentre di quello col padre sappiamo che non c’è un vero e proprio rapporto, che il padre non si interessa di lei, rimanda qualunque occasione di rivederla e preferisce la sua nuova famiglia. Alla fine, Julie decide di non contattarlo più, decidendo che può farlo lui stesso quando avrà intenzione di sapere come sta.

Il legame con i genitori è toccato superficialmente, a differenza di quelli romantici, il che trascura l’importanza stessa di quel legame e dell’influenza che il rapporto con i genitori ha sulla vita dei figli – specialmente considerando che i genitori di Julie sembrano essere più anziani di quanto sarebbero in media, e sarebbe stata un’ottima opportunità per mettere in scena le divergenze fra due generazioni in contrasto, che hanno difficoltà a trovare un punto d’incontro e a capirsi sullo sfondo dell’evoluzione di un mondo con cui la generazione più vecchia ha fatica a tenere il passo.

E a proposito di questo, un’altra occasione mancata è quella di elaborare meglio le difficoltà con cui i millennial in particolare hanno a che fare praticamente quotidianamente, come per esempio la precarietà lavorativa o l’incertezza economica. L’indecisione di Julie sulla carriera da intraprendere all’inizio del film non si scontrerebbe con la realtà che la pressione delle aspettative sui giovani li spinge sempre più spesso a scegliere percorsi in cui non si rispecchiano, scelti magari per rincorrere maggiori opportunità lavorative – e che non si tratta solo di incertezza, in un modo che ti indentifica con il tuo lavoro e la tua posizione sociale ed economica, e che quindi decidere “cosa fare” nella vita significa a tutti gli effetti decidere “chi essere” nella vita, quando questa domanda è semplicemente assurda a vent’anni.

Ma anche qui non c’è una vera crisi d’identità, che dovrebbe essere il pilastro portante della storia: tutti i giovani credono di essere qualcosa, e quando si scopre di non esserlo – nel frattempo che si cresce e si diventa adulti e ci si rende conto continuamente di essere questo, quello e qualcos’altro – l’identità che ci si era prefissati per sé stessi entra in crisi. Julie, però, durante il film, rimane un blocco di creta che assume forme diverse senza mai prenderne una che riesca a darle il potere di auto-definirsi: non sembra esserci nessuna reale evoluzione. Diventare adulti non conduce a nessuna magnifica presa di coscienza, ma Julie non riesce ad afferrare questa consapevolezza: che crescere non comporta chiarezza, né la capacità di prendere decisioni definitive – e questo è il tipo di realizzazione che si richiede a un personaggio del genere.

Il personaggio di Julie ha una storia da raccontare, ha potenzialità per essere un paradigma della sua generazione, ma quelle potenzialità sono solo frettolosamente e genericamente accennate e mai veramente esplorate. Si preferisce dare precedenza alle sue relazioni romantiche, che la travolgono e la eclissano completamente, invece di focalizzarsi su di lei: chi è Julie, fuori dalle sue relazioni, dai suoi studi universitari, dal suo lavoro di commessa in libreria?

L’inconsistenza di Julie come personaggio è ben sintetizzata da Richard Brody nella sua recensione per il The New Yorker:
“La bizzarra, sdegnosa enfasi lontano dal professionale e dall’intellettuale verso il sessuale e il personale è la nota dominante del film, che isola la personalità di Julie da qualsiasi attività pubblica o professionale, qualsiasi ricerca intellettuale, qualsiasi punto di vista su tutto ciò che accade in il resto del mondo, qualsiasi (idea) politica (sia internazionale che locale), qualsiasi interesse culturale, qualsiasi consapevolezza o curiosità per qualsiasi cosa oltre alla sua vita romantica. Perché la fotografia è importante per lei, quando e come lo fa, quali sono le sue ambizioni, chi conosce nel campo, chi sono i suoi mentori e modelli di riferimento, se o come discute i suoi interessi e le sue conoscenze con Aksel o chiunque altro: queste domande rimangono del tutto soppresse, una questione di totale indifferenza per Trier.”

Quello che sembra è che Julie sia un personaggio femminile visto più volte: alla mano, vagamente intrigante, disinibita; le piace divertirsi, le piace il sesso, non ha timore di provare droghe, si butta a capofitto in tutto. Semplice e spontanea, ha tutta l’aria di essere un personaggio fittizio a cui viene assegnato l’onere di farsi carico di una complessità che non le viene mai concessa. E tuttavia, noi non dobbiamo sapere tutto di lei, non dobbiamo neanche avere un’impressione coerente di lei, perché se il film vuole restituire un personaggio che non ha idea di chi sia non possiamo certamente saperlo noi per lei. Ma un personaggio che non ha un’identità fissa perché la sta ancora cercando non deve necessariamente apparire frutto di un’indagine superficiale, come invece, spesso, succede con Julie.

Daniela Carrelli

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