<<Grasso = colpa = non salute>> è una forma mentis che l’approccio medico HAES vuole decostruire, e lo fa smontando le false credenze legate ai pregiudizi socioculturali sul peso, pregiudizi alimentati dalla diet culture per incastrare quell’infinito concetto che è la Salute dentro a un range di peso “normato”.
La pressione sociale che spinge alla ricerca della magrezza ha creato una narrazione tossica sul controllo del peso quale strumento imprescindibile per il raggiungimento di uno stato di salute, che però non tiene conto di cosa realmente sia la salute.
L’OMS definisce la salute come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”. Il problema della diet culture di cui purtroppo si fanno difensori moltissimi professionisti della salute, è che il peso e il BMI (indice di massa corporea che rapporta il peso all’altezza) vengono patologizzati a prescindere, senza prestare ascolto ai reali bisogni e sintomi riferiti, senza esplorare a 360 gradi tutti gli indicatori di salute per un inquadramento completo del caso.
L’abilismo nella diet culture
L’errore anche profondamente abilista sta nel ritenere che la salute corrisponda tendenzialmente ad uno standard uguale per tutt*. Considerare un determinato range di BMI come condizione necessaria per un corpo “sano”, è una pratica abilista. Questo perché rende la salute, che è un diritto universale, precluso a priori alle persone grasse e alle persone disabili. La salute è invece la condizione fisica e psichica migliore che una qualunque persona esistente può voler desiderare per sé stessa, considerando le proprietà intrinseche ed estrinseche del suo corpo. Precisiamo: del suo corpo. Essendo suo il corpo, non bisogna dare per scontato che una persona grassa si rechi da un professionista della salute con l’unico obiettivo di perdere peso.
L’approccio neutro nei confronti del peso basato sull’intuitive eating, l’ascolto dei reali bisogni fisici e psichici e la proposta di abitudini orientate alla promozione del benessere della persona, spogliate del mito capitalista della bellezza intesa come magrezza, hanno dimostrato di essere in grado di ridurre sia il rischio cardiovascolare sia i rischi psichici legati ai disordini del comportamento alimentare nel lungo termine.
Contrapposto al modello HAES vi è infatti un approccio di tipo prescrittivo sul peso, ovvero la formulazione di piani alimentari che hanno come unico scopo quello del raggiungimento di un determinato valore di peso. Oltre ad essere un approccio scientificamente non valido e basato su una sola variabile, per di più non funziona a lungo termine.
Un rapporto dell’American College of Cardiology ha infatti rilevato che, con la maggior parte delle diete proposte, la perdita di peso è massima a sei mesi, dopodiché si osserva un lento recupero del peso. Inoltre, gli sforzi mirati alla rapida perdita di peso possono causare ampie variazioni dell’assetto metabolico che infliggono danni fisici e psicologici peggiori di quelli stimati con il peso iniziale.
L’accessibilità negata al diritto alla salute
Spesso le persone grasse non vengono ascoltate dai propri medici allo stesso modo dei pazienti “normopeso”, ma liquidate con le raccomandazioni sul controllo del peso come se quest’ultimo fosse la radice di tutti, ma proprio di tutti i mali, e ciò ha delle profonde ripercussioni sul loro reale stato di salute psicofisica e può essere causa di ritardi diagnostici e terapeutici. In questa dinamica si vede come la grassofobia abbia permeato tutti gli ambiti sociali inclusi gli ambienti scientifici medico-sanitari, da cui anzi ha anche abbondantemente tratto linfa vitale, promuovendo implicitamente il falso sillogismo con cui abbiamo esordito: grasso = colpa= non salute.
A questo proposito dobbiamo riflettere su quanto sia pericolosamente automatico nel senso comune il ragionamento secondo cui una persona grassa sia ritenuta malata a priori, come se l’osservare un corpo grasso equivalga ad elaborare una diagnosi.
Innanzitutto, le diagnosi, quelle vere, non si possono elargire solo guardando una persona; in secondo luogo, una malattia viene diagnosticata da un medico nell’ambito di un rapporto intimo e confidenziale con i pazienti e non è un affare di pubblico interesse; in ultimo, le persone che difendono il mito della magrezza quale sorta di green pass per essere validi e in salute sostengono che è pericoloso smettere di lottare contro il grasso, perché così facendo si “promuove l’obesità”.
Certo, è noto come da secoli la lobby dei grassi stia cercando di veicolare messaggi che spingano le persone a orientare le loro vite e i loro portafogli all’insoddisfazione cronica verso i corpi magri, inducendoli ad acquistare prodotti su prodotti, trattamenti estetici, capi di abbigliamento disponibili solo in XL,XXL, XXXL e XXXXL allo scopo di rendere tutti i corpi omologati nel “trionfo del grasso”. È proprio sotto gli occhi di tutti il profondo disagio esistenziale delle persone con corpi conformi che si aggirano disorientate in un mondo dove la loro fisicità non è contemplata, oppure lo è soltanto quando è motivo di esclusione lavorativa e di marginalizzazione sociale.
Ma ironia a parte, torniamo alla salute: se anche quella persona fosse malata davvero, dire che un corpo malato non è valido, sarebbe quindi giustificabile? Se anche fosse malata, dovremmo armarci la mano e combattere una battaglia culturale contro un corpo malato? I corpi delle persone non devono essere più il teatro dei nostri giudizi e pregiudizi e sono validi non perché sono grassi o magri, abili o disabili, bianchi o bipoc, sani o malati, sono validi per il solo fatto che esistono, e per questo meritano rispetto.
Ricordiamolo sempre, soprattutto ora che con l’arrivo dell’estate e della generale esposizione dei corpi i messaggi triggeranti sono ovunque e stanno letteralmente dicendo a delle persone che non meritano di occupare lo spazio che occupano con i loro corpi tanto quanto le persone con corpi conformi, e che se vogliono almeno essere degne di una parte di quello spazio, devono lavorare sodo per combattere quella grassezza, costi quel che costi (denaro, salute fisica, salute mentale).
Rivoluzione culturale e scientifica
Da dove partono le rivoluzioni che scardinano paradigmi culturali opprimenti e duri a morire? Dalle categorie oppresse. Ma hanno bisogno del sostegno della comunità scientifica per diventare coscienza collettiva. Pensiamo alla patologizzazione dell’omosessualità e della transessualità considerate fino a qualche decennio fa una deviazione dalla norma: un essere veramente sano era considerato tale solo se cisgender ed eterosessuale.
La rivendicazione della Salute quale diritto accessibile a tutte le persone va di pari passo con lo scioglimento del concetto di “norma” e di “normato” che non si può più proprio sentire in ambito medico, lasciamolo a quello giuridico.
I medici sono i primi a dover superare i cosiddetti “bias di conferma”, che li vedono interessati a prestare attenzione solo alla letteratura che avvalora le loro credenze di base, evitando di far cadere lo sguardo su quella parte emergente di letteratura scientifica che potrebbe far vacillare le proprie errate convinzioni stigmatizzanti.
Interrogarsi sempre sulla dimensione soggettiva della salute, ascoltare chi si ha di fronte, cercare una strategia terapeutica sostenibile per il paziente nel lungo termine: l’approccio HAES si costruisce su queste basi, e in una parola si fonda sulla nemica degli standard, l’inclusività.