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“Il grande mare dei sargassi”: la storia mai raccontata della prima moglie del signor Rochester

Nel famoso romanzo Jane Eyre, di Charlotte Brontë, esiste un personaggio minore che, sebbene appaia di rado, incombe quasi perennemente con la sua sinistra presenza.

Nella soffitta della grade casa del signor Rochester, in cui lavora Jane Eyre, vive una bellissima donna, reclusa a causa della sua follia.

Jean Rhys, nel 1966, scrive un romanzo in cui ricostruisce la sfortunata storia di questo personaggio, offrendo una risposta postmoderna, postcoloniale e femminista ad uno dei romanzi più famosi della storia della letteratura.

L’autrice

Jean Rhys (1890 – 1979) è stata una scrittrice britannica di origine caraibica.

Attiva nella prima metà del Novecento, il suo lavoro passa in sordina fino alla pubblicazione della sua quinta opera, Il grande mare dei sargassi, che ottiene un grande successo e risveglia l’interesse nella sua precedente produzione.

Il libro di Jean Rhys, nata in un ex colonia britannica nei Caraibi, si pone come prequel di Jane Eyre (sebbene non sia mai menzionato esplicitamente il nome del signor Rochester) ed è una risposta femminista e anticoloniale al romanzo di Charlotte Brontë.

L’intento dell’autrice è quello di mostrare un altro lato della storia, ponendo l’accento sulla società inglese, fortemente patriarcale e razzista.

Rhys nasce da padre gallese e madre creola di origine scozzese e a sedici anni si trasferisce in Inghilterra. Per la giovane non è facile integrarsi ed accettare la nuova vita: si sente confusa e soprattutto repressa dalla società.

Jean Rhys vivrà una vita bohemien, dipendente dall’alcol, sentendo sempre il peso di una società che non le appartiene e non la capisce.

I personaggi di Rhys sono donne strappate alla loro terra, incomprese, sole, schiacciate dalla società, private della possibilità di scegliere. Proprio come Antoniette.

Una storia di inquietudine e tormento

Insieme a Jean Rhys seguiamo la vita della protagonista Antoniette Cosway, fin dalla sua giovinezza in Giamaica. Niente di più lontano dalle fredde atmosfere uggiose di Jane Eyre. L’ambiente è caldo, esotico, seducente ma anche ostile.

A far impazzire Antoniette però, non sarà il trasferimento in Inghilterra, ma una vita di repressione, scelte imposte, difficoltà familiari, ambiente che la circonda ed, infine, il matrimonio combinato (e frettoloso) con uno sconosciuto.

In Giamaica è appena stata abolita la schiavitù: popolazione locale, ex schiavisti, coloni inglesi e creoli (come Antoniette) vivono in un precario equilibrio.

La protagonista e la sua famiglia non sono ben viste e la madre è la prima a manifestare i sintomi della follia, quando Antoniette è ancora piccola.

Il romanzo si sviluppa in tre parti, in un’ alternanza di voci e di punti di vista.

Lo stile di scrittura e di narrazione a volte risultano intricatati e complessi e ci restituiscono il senso di spaesamento dei protagonisti.

Se solitamente immaginiamo un’ambientazione esotica come sfondo di una storia avventurosa o distensiva, qui l’esotico a volte contribuisce al senso di oppressione, alienazione, stordimento.

L’ambiente diventa elemento fondamentale e parte integrante della storia, specchio di ciò che accade e ciò che provano i personaggi.

Sebbene sia un romanzo breve, la sua lettura non risulta scorrevole: le tematiche affrontate, la storia e il tipo di narrazione in alcuni momenti ci fanno procedere a stenti, ma questo non toglie valore al libro, anzi. La lettura è coinvolgente e ci fa immergere nelle atmosfere, nelle sensazioni, nei sentimenti.

È una lettura difficile perché difficili sono le tematiche e la storia. L’autrice ha scelto di raccontare tutto ciò con uno stile unico che crea turbamento in chi legge, perché sono turbamento, ansia e disperazione che si trovano in questo libro.

violedimarzo

violedimarzo

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