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An unbelievable story of rape: come si racconta uno stupro

In Italia, abbiamo chiaramente un problema con la stampa, sotto svariati punti di vista. Inadatta a informare realmente sulla realtà che ci circonda e sui continui cambiamenti che la attraversano, le testate sembrano sorde a qualsiasi esigenza di trasformazione.
In particolare, i casi di violenza di genere sono spesso all’ordine del giorno. Vengono brutalmente sbattuti sulle prime pagine dei giornali, senza porsi troppe domande sull’effetto che possono avere se non correttamente forniti al lettore. Così, leggiamo articoli prodotti in serie, che si fondano su schemi e strutture già viste e dalle pesanti conseguenze sulla percezione del fenomeno.

Gli schemi ricorrenti negli articoli sulle violenze

TW: stupro

Si assiste, quindi, a contenuti ricolmi di victim blaming, dove si tenta in tutti i modi di imputare la colpa della violenza alla vittima. Poco importa che sia il modo di vestire, la sua condizione psicofisica o il suo atteggiamento provocatorio. Esistono articoli che celebrano l’aggressore, rivangando tutti i suoi successi professionali o personali che attenuano le sue colpe. Oppure, al contrario, si leggono testi dove il violentatore viene descritto come un mostro, lontano dalla realtà che viviamo ed estraneo alle sue leggi, per cui è improbabile che capiti una violenza nella quotidianità della vita. Deve necessariamente essere un evento stra-oridnario e fuori dal comune. O, infine, si vede emergere spesso la parola “raptus”, “follia”, “furia”, che libera e solleva lo stupratore da qualsiasi genere di colpa, perché incapace di intendere e di volere.

Casi del genere si possono citare innumerevoli volte e dimostrano l’incapacità della stampa italiana a dare una chiara chiave di lettura a un fenomeno sistemico e strutturale. D’altronde, ciò riflette la percezione che si ha in Italia sui casi di violenza. 1 italiano su 4 pensa che il modo di vestire scollato possa causare una violenza sessuale. Quasi 1 italiano su 2 pensa che la donna, se davvero lo desidera, può sottrarsi alla violenza sessuale. Per più di 1 italiano su 2, gli uomini commettono violenze perchè hanno difficoltà a gestire la rabbia. Tali considerazioni, al di là delle singole opinioni, sono frutto di informazioni che poco o nulla spiegano di una violenza, anzi. Ammiccano a queste credenze, sfornando articoli sulla morbosa ricerca dell’outfit della vittima, individuando la gelosia come movente per una violenza, e con il dito accusatorio rivolto verso il comportamento lussurioso delle ragazze.

Ma come si fa, quindi, a uscire da questo circolo vizioso?

An Unbelievable Story of Rape: l’articolo sullo stupro che ha vinto il premio Pulitzer

L’articolo scritto da T. Christian Miller e Ken Armstrong, intitolato An unbelievable story of Rape, racconta i casi di stupro avvenuti in Colorado e nello Stato di Washington tra il 2008 e il 2010. E rovescia completamente le strutture comuni della stampa.
Nell’inchiesta giornalistica, pubblicata nel 2015 da ProPublica in collaborazione con The Marshall Project e vincitrice del premio Pulitzer per il giornalismo investigativo nel 2016, vengono presentati due eventi. Il primo è sullo stupro di Marie, pseudonimo, avvenuto a Washington. Il secondo si concentra su una serie di stupri commessi in Colorado. La storia di Marie inizia proprio con la denuncia alla polizia, che non solo non le crede ma la accusa di falsa testimonianza. Marie è costretta a pagare una multa di 500 dollari. In seguito, dopo aver accertato la verità della sua storia e il collegamento con le altre vittime del Colorado, l’articolo mette in luce il comportamento degli agenti, al limite del bullismo, che ha influenzato la testimonianza di Marie.

Come raccontare un caso di stupro

Senza volersi soffermare sul contenuto drammatico, che ha ispirato anche la serie Unbelievable di Netflix, ciò che spicca è lo stile sovversivo che viene utilizzato. La versione della vittima torna al centro, mentre i dettagli sulla violenza sessuale vengono relegati alla fine dell’articolo, per non darli in pasto al pubblico e sfociare nella pornografia del dolore.
Indubbiamente, l’articolo è frutto di una lunga ricerca. Si pensi che Marie ha accettato di parlare con i giornalisti dopo più di sei mesi dal primo contatto. Ciò non sempre è fattibile. Tuttavia, l’accortezza dimostrata dagli autori dimostra che un altro modo di scrivere è possibile.
Le soluzioni proposte sono molteplici e si intravedono non solo in questo articolo, ma anche da fonti nostrane. Esiste, ad esempio il Manifesto di Venezia di Giulia, l’associazione di Giornaliste Libere e autonome, che hanno stilato una lista di raccomandazioni quando si trattano casi di violenza.
Adesso, quindi, è il momento di pretendere una informazione più veritiera, che riesca a riallineare il racconto sulla parità di genere, non marchiando la donna come vile bugiarda o peccaminosa ma che ne rispetti la parola.

Elena Morrone

Elena Morrone

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