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COP27: se questa è cooperazione

Tra le contraddizioni del ventisettesimo vertice sul clima

18 novembre 2022. Ultimo giorno della COP27, Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutasi dal 6 al 18 novembre di quest’anno a Sharm el-Sheikh e che ha ospitato i delegati di 196 Paesi membri.

Un 18 novembre in cui, dopo due settimane di vertice internazionale, trarre le conclusioni risulta difficile e approssimativo, poiché difficile e approssimativo è risultato il tentativo di trovare un accordo, una coerenza prima individuale e poi collettiva, e una comunione di sforzi unidirezionali, atti ad affrontare (e riconoscere) un anno di catastrofi climatiche e umanitarie. E il preannunciato susseguirsi di tutti quelli che verranno.

Siamo a Sharm el-Sheikh, Egitto, uno dei primi Paesi sull’orlo di una terribile crisi alimentare, crisi che ha radici ben profonde ma ancor più consolidate dopo la crisi del grano in seguito all’invasione dell’Ucraina. Sharm però, avvolta nella sua lucida patina dorata, sembra immune a questi squilibri, apparentemente immune a ciò che le sta attorno: guerra, povertà, disuguaglianza. O così vuol essere raccontata, con una campagna propagandista ben mirata ad accogliere, tra i suoi resort, centri commerciali e attrazioni di lusso, una delegazione che discute di sprechi, inquinamento e tutela dei vulnerabili.

Ed è da qui che emerge la prima grande contraddizione di questa conferenza e di questi nostri tempi, dalla scelta della sede in cui ha luogo. L’Egitto, infatti, è palcoscenico di continue violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime governativo dittatoriale di Abdel Fattah al-Sisi, e proprio per questa prima motivazione risulta essere agli occhi del mondo (fuorchè evidentemente a quelli dei vertici) un Paese non degno di ospitare una conferenza con un tale significato. In secondo luogo, ma al primo posto in questo paradigma di incoerenze, non è nemmeno impegnato nella lotta alla crisi climatica. Già questo è preludio di un fallimento anticipato non solo dell’idea portante dello stesso vertice, ma di un modello di collettivismo e congruenza delle parti, tanto evangelizzate da Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, nel suo intervento “L’umanità ha una scelta: cooperare o perire.”

Dunque che si cooperi, verrebbe spontaneo pensare. E che si inizi proprio da Sharm, a partire dai 400 jet privati arrivati in Egitto con a bordo i delegati della Cop27, gli stessi, una volta a terra, diretti a discutere di inquinamento e cambiamento climatico. Questo solo secondo l’autorità aeronautica egiziana, mentre altre fonti arrivano ad indicare una cifra attorno ai 1500. E se si prova a pensare che l’inquinamento pro capite di ciascun volo privato sia di 14 volte superiore a quello di un volo di linea, si ha già una vaga idea del paradosso malcelato dietro agli inviti di cooperazione dall’alto. Bisogna pur dare il buon esempio, insomma.

Senza parlare, poi, del fatto che questa delegazione in trasferta in Egitto per salvare il mondo e i Paesi più poveri che subiscono i danni piu devastanti a causa del cambiamento climatico, costa ai governi e agli sponsor circa un centinaio di milioni di euro. Sponsor ai quali affibbiare il concetto di green è distonico (e ironico), poiché ci stiamo riferendo ad alcune delle multinazionali più inquinanti del pianeta: Coca Cola, Nestlè e PepsiCo, tra queste. Le stesse “green companies” che nel rapporto di Brand Audit Break Free From Plastic 2022 risultano essere, da ben cinque lunghi anni, sul triste podio dei maggiori inquinatori del mondo, per produzione di imballaggi di plastica monouso e dipendenza da combustibili fossili. La partnership tra queste e il più importante vertice dedicato all’emergenza climatica è dunque forse uno dei paradossi che più lascia sgomenti.

Solo nel 2021, secondo l’UNHCR Agenzia Onu per i Rifugiati, circa 23 milioni di persone sono state sfollate all’interno del proprio Paese a causa di eventi meteorologici estremi dovuti al cambiamento climatico e nell’ultimo decennio, 4 rifugiati su 5 provenivano da Stati altamente vulnerabili agli impatti del clima. Tra questi ricordiamo il dramma del Pakistan, che dal giugno 2022 è stato colpito da piogge monsoniche catastrofiche che hanno portato a 1717 morti, devastato 2 milioni di case e inondato un terzo della nazione.

È cosi che allora, parallelamente alla discussione di tematiche trasversali come cambiamento climatico, sostenibilità alle comunità vulnerabili, sviluppo, sicurezza idrica e alimentare, transizione equa ed energia, emerge la grande contraddizione, (e fallimento) nel nostro secolo e dei governi in carica. Se da un lato abbiamo Paesi sull’orlo di crisi abissali, perché è di estrema importanza ricordare che i cambiamenti climatici sì riguardano tutti, ma sono le persone che si trovano nelle situazioni più vulnerabili a sopportare il peso degli shock ambientali, dall’altro troviamo invece questo: un fiacco dissenso mascherato da urgenza e declamato da chi, nel privilegio, recita massimali considerandosi immune. Ci si dimentica, però, che il fare politica climatica, quella vera, slegata dalla retorica propagandista, dovrebbe partire proprio da lì, dalla politica stessa.

Solo quando avverrà questo, forse allora si potrà dire di aver davvero cooperato e di averlo fatto dall’alto, nella tutela di tutti. Ma intanto, in questa paradossale politica climatica individualista, si continua consapevoli a procedere verso il punto di non ritorno. E lo si fa in jet privato, ché è più comodo.

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Francesca Feder

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