Cerca
Close this search box.

Saman Abbas e la piaga dei matrimoni forzati

Saman Abbas aveva 18 anni, era di origine pakistana e la sua famiglia viveva in un rodere nelle campagne di Novellara, nella provincia di Reggio Emilia. La notte tra il 30 aprile 2021 e l’1 maggio 2021 svanisce nel nulla, di lei non rimangono tracce. Il suo cadavere verrà ritrovato più di un anno dopo, il 19 novembre 2022 nelle terre dove lavorano come operai agricoli i familiari. Gli stessi che l’hanno uccisa.

Saman arriva in italia dal Pakistan nel 2015 quando ha 14 anni, in seguito al ricongiungimento familiare richiesto dal padre, Shabbar Abbas. In pochi mesi impara da lingua italiana e supera l’esame di licenza media. Saman sogna di fare il medico, ma la famiglia non le permette di proseguire gli studi. Le mura di casa così si fanno prigione. Nel novembre 2020 la ragazza si ribella per la prima volta alla famiglia che le impone un matrimonio combinato in Pakistan, già fissato per il 22 dicembre successivo. Saman tenta così una fuga in Belgio, ed è a quel punto che gli assistenti sociali di Novellara mettono in moto, insieme alle forze dell’ordine, una macchina volta a tutelare la giovane, che trova così rifugio in un centro protetto nel Bolognese, essendo ancora minorenne. La famiglia viene denunciata per maltrattamenti ed induzione al matrimonio.

Nell’aprile del 2021, compiuti i diciotto anni, Saman lascia volontariamente la struttura per recarsi nella casa dei genitori a prendere finalmente i documenti e per crearsi, così, una vita libera insieme al ragazzo di cui è innamorata, Saqib Ayub, connazionale ventenne residente in Italia. Sarà la sera del 30 aprile, proprio quando Saman rientrerà nella casa per recuperare il passaporto, che i genitori, con la scusa di restituirle i documenti, la attireranno in una trappola consegnandola ai suoi aguzzini: i due cugini e lo zio.

Ad allertare le forze dell’ordine nei giorni successivi è il fidanzato Saqib. La sera della sua comparsa, infatti, Saman invia al ragazzo un messaggio: “Ho sentito mamma che diceva –uccidiamola. E poi lo zio: -altrimenti ci farà vergognare. Se non senti più miei messaggi, vai ad allertare le forze dell’ordine.”

Il corpo di Saman verrà ritrovato interrato del casolare diroccato di Novellara il 19 novembre del 2022. Saman è stata sgozzata e sotterrata nei campi dove lavora la famiglia. Dalla sua stessa famiglia.

La piaga dei matrimoni forzati

La storia di Saman, è una storia antica eppure drammaticamente contemporanea. È la piaga dei matrimoni combinati, o “ forzati”, ovvero in cui uno o entrambi gli sposi non consentono all’unione ma viene comunque esercitata una costrizione sia fisica, psicologica, finanziaria, che emotiva e sessuale. Secondo le stime di Human Rights Watch, ogni anno nel mondo sono 60 milioni i matrimoni forzati. 60 milioni. E sono 146 i Paesi in cui il matrimonio è consentito al di sotto dei 18 anni, negoziato come merce. Addirittura 52 quelli in cui è consentito prima dei 15. Gli stessi Paesi in cui le spose bambine di 8-10 anni, date in mogli a uomini molto più anziani, rappresentano una tragica normalità, destinata a ripetersi nell’avanzare cadenzato di giorni sempre uguali, in società sempre uguali. È l’esempio di Paesi come Bangladesh, India, Niger, Repubblica Centrafricana, Pakistan.

Si tratta principalmente di una problematica culturale di chi, proveniente da zone rurali e arretrate, porta con sé e custodisce gelosamente un modello sociale patriarcale, radicato sull’ideologia dell’onore, in base alla quale ogni cosa è giustificata purchè se ne rispetti l’integrità. E dunque anche l’omicidio di un figlio confluisce nel grande insieme di tutto ciò che è lecito e legittimo fare per conservare la propria rispettabilità.

In Paesi come il Pakistan, di questo assetto sociale e culturale l’unione forzata è struttura portante ed insopprimibile. La regione dove si registra il più alto numero di crimini in merito ai matrimoni combinati è quella rurale e tribale del Sindh. In quelle aree è ancora in vigore il Wadera, un sistema di tipo feudale che esercita un controllo territoriale e comunitario basato sull’accentramento di potere nelle mani di singoli proprietari terrieri che si sostituiscono allo Stato. Questi signori feudali si avvalgono della Jirga, ovvero l’assemblea dei leader della comunità, che di fatto ha più peso sulle comunità locali di quanto possa averne il governo. Le leggi che condannano il femminicidio ci sono, ma semplicemente quelle in vigore sono altre. E sono scritte col sangue delle donne che per secoli sono state assassinate.

Vi è solo una flebile e sottile linea di differenziazione tra il “più liberale” matrimonio combinato e l’oppressivo matrimonio forzato. Alle donne solo questa scelta. Che, in entrambi i casi, equivale al non scegliere affatto.

Il rifiuto delle nozze da parte di una ragazza pakistana, dunque, come è stato per Saman Abbas, comporta per la famiglia la perdita della cosiddetta “onorabilità”. La faccia. E il denaro, poi. E in questa cultura, il capitale sociale chiamato “onore” è un qualcosa che non può essere infranto. Se avviene un rifiuto, con conseguente compromissione dell’apparente rispettabilità, il capitale va ripristinato. Deve essere ripristinato.

E l’unico modo per farlo è attraverso il sangue della donna che si è ribellata.

Anche se ha 18 anni, anche se è tua figlia. Soprattutto se è tua figlia.

Francesca Feder

Francesca Feder

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ultimi Post

L’hai mai visto bene un porno?

Sessualità

A Sign of Affection: nel mondo senza suoni di Yuki

Attualità, Cinema, Femminismo, Letteratura, Recensioni

Evelyn Nesbit

Storia, Violenza di genere

Antonia Pozzi e l’infinito desiderio di leggerezza

Letteratura

Cookie & Privacy

Noi e terze parti selezionate utilizziamo cookie o tecnologie simili per finalità tecniche e, con il tuo consenso, anche per altre finalità come specificato nella Privacy Policy
Puoi acconsentire all’utilizzo di tali tecnologie utilizzando il pulsante “Accetta”. Chiudendo questa informativa, continui senza accettare.

Quando l’arte diventa consapevolezza: Francesca Menghini, Unbounded