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Sibilla Aleramo, una scrittura alla ricerca di sé

Sibilla Aleramo (Alessandria, 14 agosto 1876 – Roma, 13 gennaio 1960) è lo pseudonimo che Marta Felicina Faccio sceglie nel 1906 nel pubblicare il suo primo romanzo, Una donna. Scrittrice, poetessa e giornalista italiana, si è impegnata fin dagli esordi per i diritti delle donne, e dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in campo sociale e politico, come collaboratrice del PCI e del giornale L’Unità. La sua riscoperta, così come quella di molte altre scrittrici italiane, risale però soltanto agli anni ’70 del ‘900.

Una donna

Una donna, romanzo d’esordio della Aleramo, contiene già molte delle tematiche che saranno sviluppate negli scritti successivi.

Come molta della produzione della scrittrice è un libro fortemente autobiografico (è stato scritto a partire da appunti diaristici del 1901) che segue la vita della protagonista dall’infanzia al matrimonio.

La narrazione inizia con le poche fugaci immagini di bambina che la protagonista ricorda. Emergono l’amore per il padre e il disagio verso una madre con la quale non si instaura mai un vero rapporto.

Dopo le scuole elementari, gli studi della giovane si interrompono per il trasferimento della famiglia da Milano in “una cittaduzza del Mezzogiorno”, dove il padre ha iniziato un nuovo lavoro. A dodici anni Sibilla inizia a lavorare nella stessa fabbrica come segretaria.

L’entrata nel mondo del lavoro segna per la giovane l’entrata nel mondo adulto. La ragazza conosce un giovane impiegato, il quale le rivela una presunta relazione clandestina del padre. Questo fatto segna l’allontanamento della giovane dal genitore, e il progressivo avvicinamento al ragazzo. L’accendersi del sentimento amoroso è però brutalmente interrotto dalla violenza subita dalla ragazza che, credendo ormai di “appartenere” a un uomo, finisce per sposarlo.

La vita coniugale continua per anni tra maltrattamenti e soprusi, tra i quali solo la nascita del figlio sembra portare una nuova luce nella vita della donna, che si immerge totalmente nel suo ruolo di madre.

Soltanto il trasferimento a Roma per il nuovo lavoro del marito e l’inizio della collaborazione con una rivista femminile le permetteranno di prendere realmente coscienza del proprio isolamento. Inizia così un percorso di rigenerazione interiore che porterà infine Sibilla ad abbandonare il figlio adorato per scampare al giogo del marito.

Tra autobiografia…

L’io narrante racconta quindi a partire dall’esperienza personale dell’autrice. La scrittura diventa il modo di Aleramo per riflettere sulle tappe fondamentali della propria vita, nonché rendere fecondo il dolore subito. Questa visione della scrittura come conforto privato è caratteristica della scrittura diaristica femminile che si diffonde a partire dal XIX sec. Una consuetudine caratteristica soprattutto delle classi medio-alte e che accompagnava le ragazzine dall’infanzia all’adolescenza, ma che per molto tempo rimarrà però un’occupazione privata senza ambizioni professionali ed economiche.

Il ruolo autoriflessivo della penna emerge chiaramente in Una donna dal racconto della violenza.

“Appartenevo ad un uomo, dunque? Lo credetti dopo non so quanti giorni d’uno smarrimento senza nome”.

Dello stupro la protagonista non riesce a fare parola con nessuno: l’avvenimento si confonde nella sua mente, visto da una prospettiva completamente stravolta.

La scrittura si rivela invece un modo postumo per prendere coscienza sull’avvenimento e denunciare attraverso la propria esperienza un fatto tragicamente frequente nella società dell’epoca.

Ameno fino alla fine dell’800 però la violenza di genere resterà un problema tanto diffuso quanto taciuto, al punto da diventare un topos letterario più che una consapevole confessione/denuncia del trauma subito. Nel romanzo sentimentale ottocentesco spesso, dopo aver subito l’abuso sessuale, le protagoniste stravolgono l’evento “giustificandolo” come frutto di un amore-passione impulsivo dell’uomo.

Tuttavia tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 in contemporanea alla maggiore attenzione verso la letteratura femminile, il racconto veritiero della violenza diventa ricorrente. I romanzi di Annie Vivanti, Elsa Morante e Sibilla Aleramo testimoniano un fenomeno fino ad allora accettato in silenzio, diventando dei veri e propri documenti storici.

Aleramo si inserisce quindi in un panorama novecentesco fatto di autrici che decidono di iniziare a scrivere il Vero, creando una letteratura impegnata in una missione morale di rigenerazione della società.

…e romanzo

Nonostante l’esperienza personale sia alla base di questo romanzo, non possiamo però definire Una donna propriamente un’autobiografia. Aleramo non si limita infatti a una mera confessione del proprio vissuto, ma mira a rendere la sua vicenda un esempio di liberazione per altre donne. Questo proposito è evidente fin dalla scelta del titolo: non l’autobiografia di Sibilla Aleramo, ma la storia di una donna, portavoce di quella di tutte le donne a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

Altri espedienti stilistici sono per esempio l’uso degli imperfetti che “spersonalizza” l’azione, mentre luoghi e personaggi rimangono privi di nomi propri, diventando autonomi ed esemplari: “mio padre”, “la mamma”, “mio marito”, “la cittaduzza”.

Per un nuovo modello di donna

Il romanzo segue il farsi della coscienza della protagonista alla ricerca di un modello di donna diverso, ed estremamente personale. Questo è evidente nelle riflessioni su di sé e sulla propria società che spesso interrompono la narrazione della vicenda, creando un andirivieni tra romanzo di formazione e saggio.

L’autrice mette a fuoco il proprio isolamento culturale e morale nella società italiana del primo ‘900, che per la donna non prospettava altro che la maternità, la crescita dei figli e il governo della casa.

Ma la scrittura fornisce un’indipendenza non solo mentale, ma anche materiale. Le collaborazioni alle riviste permettono alla protagonista di raggiungere quell’indipendenza economica attraverso la quale elle riesce a sfuggire al vincolo coniugale e ai reiterati ricatti.

La stanza tutta per sé di Aleramo

La volontà che sembra spingere Aleramo a scrivere è “riformare la coscienza dell’uomo, creare quella della donna!”.

Centrale è in questo senso la solitudine, percepita dalla protagonista fin da bambina, riflesso della differenza che percepisce rispetto alle coetanee e originata dal conflitto tra le proprie aspirazioni intellettuali e l’incomprensione da parte degli altri, primo fra tutti l’adorato padre.

“Certe volte mi sentivo proprio sola. M’avvolgeva allora uno di quegli stupori meditativi che costituivano il secreto valore della mia esistenza.”

La solitudine si rivela fondamentale, un tempo proprio che la protagonista cerca e ricrea in ogni situazione della propria vita per leggere, scrivere, e riflettere su di sé. La cultura è lo strumento per capire la propria strada e “trovare una causa di salvezza” dopo il tentato suicidio.

È la stanza tutta per sé, l’indispensabile spazio di riflessione e tempo proprio dove tutte le donne possono sviluppare la propria autocoscienza, e diventare individui autonomi dal punto di vista sociale ed esistenziale.

Una concezione certamente dirompente se pensiamo che è del 1903 il saggio di Otto Weininger Sesso e carattere, che ben esprime la visione della donna dell’epoca:

“[…] le donne non hanno né essenza né esistenza; esse non sono, o sono nulla. […] La donna […] non ha nessun segno, è priva di direzioni, né buona né cattiva, né angelo né demonio […], è amorale così come è alogica. Ma tutto l’essere è morale e logico; la donna dunque non è.”

L’obiettivo ricercato dall’autrice è quindi quello di un’uguaglianza rispetto agli uomini non solo morale e sessuale, ma anche intellettuale. Per questo la scrittura della Aleramo è sessuale: la produzione artistica femminile dipende da una “propria visione della vita” e ha delle “leggi estetiche” proprie.

La forza propulsiva dell’amore nella società

La straordinaria originalità di Aleramo sta nell’aver creato sì un documento storico sui soprusi delle donne dell’epoca, ma senza limitarsi a una denuncia ideologica e militante, che impartisce al lettore una lezione razionale. In quello che è considerato il primo romanzo femminista scritto in italia, l’autrice lascia spazio a una narrazione poetica, dalla quale emerge la sua personalissima visione del femminismo come rivoluzione personale e atteggiamento morale.

L’arte femminile è per lei una forma ‘organica’ di creazione: permette di conoscere la realtà e allo stesso tempo di agire su di essa, trasformandola.

“Amo dunque sono”, così Sibilla Aleramo si contrappone al “cogito ergo sum” cartesiano. Alla visione dell’uomo come essere che pensa razionalmente, ella sostituisce un individuo che trova la sua totalità solo attraverso l’amore, sentimento universale che ha il potere di cambiare il mondo.

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Sistema Critico

2 risposte

  1. Un articolo commovente in cui traspare la forza
    di riscatto della protagonista che ha saputo portare una svolta alla condizione femminile del tempo. Uno scritto dove si può leggere la speranza, il desiderio del cambiamento e la convinzione che l’amore, nonostante l’esperienza negativa della protagonista, abbia il potere di cambiare il mondo. Grazie

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