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Prima che finisca

Ha scelto di partire una domenica pomeriggio. Ha preso una valigia di pelle dall’armadio delle cose vecchie e ci ha messo dentro due magliette, dei jeans e un paio di scarpe da ginnastica. Rimango in città solo per qualche giorno, così ha detto. Ha salutato Tina, Ludo e Ornella, un abbraccio veloce sotto casa e poi è partita, un autobus preso al volo e un viaggio lungo tre ore. Il paese cambia forma ogni secondo e dal finestrino la campagna si trasforma rapida in grigio asfalto e case fatiscenti, fabbriche e ciminiere fumanti. Il cielo è racchiuso da una cornice metallica di cantieri abbandonati e la musica che esce dai suoi auricolari cerca di donare un pizzico di bellezza a quel paesaggio che sa di metallo e acciaio. Freddo e squallido.

Le persone che le fanno compagnia sul bus sono uomini in giacca e cravatta, donne in tailleur che parlano al telefono con i mariti, figli, madri. Pensa alle sue tre sorelle, alla nonna rimasta a letto ad aspettarla e a nessun altro. Non ha nessun altro, solo quel piccolo cerchio di donne che si raccoglie attorno a un tavolo apparecchiato e pieno di cibo che preparano loro tre, per la donna che le ha cresciute.

La musica continua a suonare e si mischia con quella che proviene dalla radio del bus, una sinfonia caotica che fa da colonna sonora al suo arrivo in città. Alza lo sguardo al cielo. È rosso fuoco e le fa lacrimare gli occhi.

C’è già qualcosa in quel cielo che fa paura. Così abbagliante non si è mai visto. Il sole deve essere già tramontato, eppure la luce accecante non si spegne, illumina l’asfalto della strada che sembrava carta stagnola. Sta attraversando un mare di carta stagnola infuocato e l’autobus diventa un traghetto che trasporta i passeggeri da una riva all’altra di un mondo che fra poco non esisterà più. Vede le luci della città che brillano da lontano, fari che indicano la strada. Le illuminazioni natalizie si dissolvono nel cielo. Non c’è bisogno di altre luci, basta quella che proviene dall’alto. È appena iniziato gennaio ma fa davvero caldo, un caldo anomalo, così ripetono alla radio, in tv, così scrivono sui giornali da giorni.

Ha scelto di andarsene sotto quel cielo così rosso, ha scelto di ricominciare in un altro luogo dopo le vacanze di Natale, l’ultimo pranzo cucinato da loro tre insieme, gli ultimi regali scartati sul tappeto rosso e verde delle feste. Adesso vede quel tappeto sulla sua testa, ma non è rassicurante e non sa di casa.

Ripensa a quello che non ha preso, a cosa le servirà, alla nuova casa.  Guarda sul cellulare la mappa della città e ripassa il tragitto che dovrà fare. Forse dovrà chiedere indicazioni, o chiamare la proprietaria del monolocale. La batteria si sta già scaricando, spegne lo schermo e spera di arrivare prima possibile.

Alla radio adesso qualcuno sta parlando, l’autista ha messo il volume più alto e le altre persone parlano tra di loro, gesticolano, si alzano e si avvicinano al posto di guida. Poi l’autobus si ferma all’ingresso della stazione e tutti scendono di fretta. Non ha capito cosa sta succedendo, vede solo valigie rotolare, zaini finiti per terra dalla foga, qualcuno che spinge, qualcuno che chiede di fare una telefonata con il cellulare di qualcun altro.

Lei non può usare il suo per chiamare nessuno, non può prestarlo a chi glielo chiede, deve guardare la mappa di una città nuova che ancora non conosce. Prova a farsi strada tra la gente che corre, una mano sul cellulare, una che spinge.

Sgomita, ferma qualcuno che le pesta i piedi, cosa sta succedendo, chiede. Nessuno le risponde, tutti continuano a correre. Guarda la mappa. Ora l’unica cosa che può fare è trovare quella via. L’ha cerchiata su un foglio di carta con un pennarello arancione. Arancione scuro, come il cielo. Non si è scurito nonostante si sia fatto tardi. Sente caldo lì in mezzo. Ma il calore proviene dalla calca oppure da terra? Sembra che l’asfalto sia rovente e che il sole stia picchiando sulla superficie della strada come se fosse mezzogiorno, ma sono le sette di sera e non ci dovrebbe essere il sole, no?

Da lontano vede la strada segnata sulla mappa. È una lunga via, stretta e piena di automobili abbandonate in coda. Cosa stanno aspettando, si chiede. Cammina sul marciapiede, non guarda in alto. È proprio quello che dice una mamma al bambino che tiene per mano, non guardare il cielo, piccolo, guarda la mamma. Eppure, è così bello, un cielo di quel colore non si può non guardare. Lei continua a macinare chilometri, a pestare l’asfalto che sa di cartone bruciato e di gomme da masticare. Le luci della città non sono mai state così invisibili.

C’è un’insegna blu e rosa con su scritto Mystic Pizza, e un’emoji gialla con la faccia di Pac-Man che morde una fetta di pizza, ma si vede appena. Quanto le piacerebbe entrarci dentro con Ludo, Ornella e Tina. Mordere il cornicione e poi guardarsi negli occhi e dire in coro la facciamo meglio a casa. Ma oggi è sola, sola in una città che non conosce. Guarda dentro il locale, non c’è nessuno. Sono tutti davanti agli schermi del cellulare, fuori dalle loro case, fuori dalle loro macchine e non sanno dove andare. Nel frattempo, segue con lo sguardo la successione di numeri sulle porte, cerca il 22. Eccolo, è disegnato su un mattone bianco con il bordo nero.

Sarà questa casa sua. Un piccolo monolocale in un angolo del corso principale, una via che di notte si riempie di giovani con le birre in mano, seduti sugli scalini davanti alla sua porta, con i volti appannati dal fumo che esce dalle loro sigarette. Li avrebbe visti ogni sera, quando avrebbe portato fuori la spazzatura, quando sarebbe rientrata a casa con lo zaino pieno di libri, li avrebbe salutati di sfuggita e poi sarebbe ritornata a casa. Lo immagina così, il suo futuro da sola.

Avrebbe fatto amicizia con qualcuno di loro, forse l’avrebbero invitata a uscire e a scoprire la città di notte, seduta anche lei sullo scalino sotto la sua nuova casa, con la testa all’insù a guardare dal basso la finestra della sua camera da letto. Una finestra che fra poco non esisterà più, ma lei ancora non lo può immaginare. Che ne sanno le persone, ancora.

Intanto apre il portoncino e sale le scale. Arriva al terzo piano, prende le chiavi. Le infila dentro la serratura ed entra in casa. La stanza è vuota e fa freddo, le pareti bianche e c’è odore di polvere. Si guarda intorno. Scaffali vuoti, armadi spalancati, un divano ricoperto di cellofane trasparente. Da lontano un materasso senza lenzuola. Una stanza tutta bianca. Sulle pareti una sfumatura di rosso proviene da fuori. Il cielo ha dipinto anche quelle pareti, sta riscaldando quel posto spoglio. Adesso sembra quasi accogliente.

La nonna avrebbe messo uno specchio davanti il letto, a lei piaceva specchiarsi. E allora dovrà comprarlo, così ripenserà a lei mentre si pettinerà i capelli, forse. Oppure prima di andare a studiare, o prima di uscire con le sue nuove amiche. Ludo, Tina e Ornella cosa direbbero? Le mancheranno per qualche giorno, ma poi si abituerà. Almeno così pensa, mentre guarda dalla finestra la città sotto quel cielo. Le macchine sono ancora ferme e le persone non smettono di parlare tra di loro. Il rumore delle sirene, dei clacson, le voci della gente entrano fino a casa. Si abituerà anche a quello, pensa. La sera non sarà un problema, ascolterà la musica con le cuffie e metterà la tv al massimo. Poi si addormenterà, a pancia in su, e penserà a Ludo che la prendeva in giro per quella posizione. Sembri mummificata, diceva.

Intanto decide di sporgersi dalla finestra, c’è uno schermo grande sul palazzo di fronte. Dice qualcosa come emergenza e c’è sopra un triangolo giallo e rosso. Prende il cellulare e prova a chiamare casa. Nessun servizio, in alto a sinistra.

A quel punto si sente veramente sola. Cosa puoi fare, pensa, puoi tornare indietro, magari. Ma gli autobus non partiranno, saranno in coda come tutte automobili che ci sono davanti casa sua. Può chiedere aiuto a qualcuno per strada, entrare in casa di un vicino, correre a fare provviste. Sembra che il mondo stia per finire, è tutto così precario. Il cielo cambia colore, diventa sempre più rosso. Scariche elettriche si staccano dalla massa di materia infuocata, piovono verso il basso, scendono e sfiorano l’atmosfera.

È uno spettacolo meraviglioso, ma gli occhi bruciano. Le viene voglia di abbracciare le sue tre sorelle, in cerchio, davanti a quel cielo fatto di particelle che ribollono e scoppiettano sopra la sua testa. Se le immagina farle compagnia, riempire quella stanza dei loro oggetti, borse, vestiti, piatti sporchi, briciole sul pavimento. Adesso la casa è subito piena, sente quasi il profumo della nonna. Mentre il mondo sta per finire lei riempie gli scaffali dimenticati con i suoi vecchi oggetti e le persone che non rivedrà più. In quei pochi giorni saranno con lei, ne sentirà la voce e se vorrà potrà anche parlarci. Non è sola.

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Sara Noto Millefiori

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