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Vita da strega

Sono una strega. Vivo in una casa con il tetto che pende da un lato più che dall’altro, le tegole sono color fango, ma una volta erano state arancioni, credetemi. Le pareti di muffa verdi non ci sono sempre state, ma ora da fuori ci sono così tante chiazze che a volte quel colore penetra fin dentro, e mi tocca prendere una pezza e strofinare, pulire più che posso. Ho due gatti che mi fanno compagnia, neri, con gli occhi verdi. Sono un maschio e una femmina, Roxanne e Police. Ho scelto questi nomi perché mi è sempre piaciuto ascoltare la musica, ora però non ne ascolto più.

A casa non c’è musica, c’è silenzio e l’unico rumore che sento è il verso dei lupi nel bosco, la notte cantano alla luna, e il verso di qualche gatto randagio o dei gufi, civette e altri uccelli notturni che bussano alla mia finestra. Forse vogliono compagnia. Io mi sveglio sentendo quel suono, mi alzo, prendo una torcia e controllo ogni santa notte di cosa si tratta, come se già non sapessi. Guardo dalla finestra e li trovo appollaiati sul davanzale della finestra. Mi guardano con gli occhi neri e vivaci, poi sollevano le ali e volano via.

Ritorno a dormire, rannicchiata su un letto che cigola se mi sposto a destra o a sinistra. Mi sveglio al mattino sempre allo stesso orario, con i raggi del sole che mi pizzicano gli occhi e che penetrano dalla finestra come saette. Non ho persiane e devo accogliere la luce.

Non sono una strega come quelle dei libri o dei film dell’orrore. Però ho il mio calderone di terracotta sul fuoco che la mattina mi riscalda, soprattutto nella stagione fredda, a Police e a Roxanne piace. Si avvicinano perché scoppietta e vogliono acchiappare quelle scintille che arrivano in alto, come se fossero mosche. Dentro il calderone mescolo zuppe e preparo i miei intingoli da strega. Uso bacche nere e rosse, rosmarino, valeriana e liquirizia. Poi gusci di lumache, funghi selvaggi che raccolgo sotto il Grande Salice e le more che nascono sui rovi spinati che sono spuntati sul retro. Spezzetto ali di libellula, di solito me le portano Police e Roxanne, ci giocano fuori casa e poi me le mostrano come trofei.

Non sarei capace di uccidere, come tutti credono. Non sono una di quelle streghe che lanciano maledizioni o che mangiano i bambini. Io di bambini non ne ho mai visti qui intorno e non voglio fare del male a nessuno.

Preparo i miei intingoli solo per me, non voglio invecchiare. Mi spaventa avere la pelle rugosa, le gambe che scricchiolano, le ginocchia che cedono, la schiena che fa male. La pelle la voglio liscia, le mani morbide.

I capelli neri neri neri, come li ho sempre avuti. A volte li tingo con un impacco di foglie di Indaco per eliminare i fili grigi che mi spuntano dietro le orecchie. Sul viso e sul collo metto una crema fatta di bava di lumaca e olio di oliva, che al supermercato o nei negozi in città pagherebbero un occhio della testa. Io invece me lo faccio da sola, pesto gli ingredienti dentro un mortaio e poi verso la crema, densa e vellutata, come piace a me, dentro delle piccole boccette. Le tengo tutte in fila, le mie boccette. Ci scrivo sopra la data e le ordino dalla più vecchia alla più recente.

Ogni giorno sembra uguale all’altro, descritto così. Invece io mi diverto a renderlo più speciale di quello prima aggiungendo qualcosa di strano. Capita di andare nel bosco e lasciare delle pietre in fila, oppure disegnare delle forme che tra gli alberi e i sentieri non si vedono spesso. Delle stelle, per esempio, oppure le lettere che compongono nomi o brevi frasi. Una volta ho scritto Police con tante pietruzze nere piccole.

Altre volte lascio la mia casa per qualche ora e mi addentro tra gli aceri e le querce, negli angoli più nascosti. Scopro nuovi scorci che non avevo mai notato. Poi lascio un nastrino colorato attorno a un ramo, così so che sono passata di là.

A volte sento qualcuno che grida non andare lì, c’è la strega. Guarda cosa ha lasciato. È un avvertimento.

Io nascondo il viso sotto il foulard, rido e ritorno a casa. Continuo a lasciare quelle pietre, e anche i nastrini. Mi piace che credano in qualcosa. Mi piace che percepiscano il profumo della magia, anche se non esiste.

Guardo il sole che pizzica le foglie verdi e gialle, le formiche che si arrampicano sulla corteccia dei pini e schivano le lacrime di resina che scendono fino a terra: hanno il colore del cielo al tramonto.

Da qui è tutto più bello, e la città non mi manca per niente. Non mi manca il rumore dei cellulari, i taxi, gli autobus, i treni. La gente che corre, i ristoranti sempre aperti, gli uffici, il fumo delle sigarette, le file alle poste. Non mi manca l’immagine che bisognava rispettare ogni giorno.Metti un po’ di trucco qua, un paio di calze nere, il vestito più attillato, che non segni troppo altrimenti sei provocante, ma che faccia vedere le forme giuste al momento giusto. Un vestito nero, un tubino, un tailleur, una camicia bianca, un paio di decolleté color vinaccio. Non ricordo nemmeno più come si indossano.

Ho lasciato tutto dentro un armadio di cinque ante, in una stanza luminosa, piena di tappeti, quadri al muro. Ora non ho niente. Li ho lasciati lì perché nella mia vita da strega non me ne faccio niente.

Mentre mescolo le mie pozioni dentro il calderone sento ancora la voce bassa di mia madre, mi dice cosa devo fare e cosa non devo fare. Vorrei averla lasciata dentro l’armadio con tutti i vestiti, invece me la sono portata dietro. Più passa il tempo più diventa sottile, ma c’è sempre. Aumenta la muffa sulle pareti e scompare lei: è un tacito accordo che ho con la casa, un compromesso che mi sono fatta piacere.

Sei una piccola streghetta, mi ripeteva da piccola. Non ti piace mai quello che piace a me, e perché indossi sempre quei vestiti trasandati e tieni i capelli così lunghi? Tagliali, non lo sai che poi sembrano sporchi?

Chissà che mi direbbe se mi vedesse oggi. Una strega vera, con i vestiti strappati, senza trucco.

A volte sento anche la voce di alcuni uomini che ho conosciuto nella mia vita in città. Anche loro mi davano della strega, quando qualcosa non andava per come doveva andare.

Sei proprio una strega, come se fosse un dato di fatto, inevitabile.

E allora perché non diventarlo per davvero, no?

Non si diventa strega senza volerlo. Non badate alle storie che raccontano sui libri, o nei film. Strega si decide di diventarlo. Lo decido mentre cammino per strada, con i tacchi che mi scorticano le caviglie e la borsa così pesante che mi taglia la pelle della spalla. Ho i capelli annodati, sono sudata, sto correndo e sono in ritardo. Un altro colloquio di lavoro. Il telefono non smette di squillare. È l’uomo di ieri, vuole incontrarmi, mi vorrà dire che dobbiamo parlare. Parlare di cosa, non ho più voglia di sentire l’odore della sua pelle. Sa di sigaretta e sapone, non mi piace.

Cammino lungo la strada e sbucano due gatti neri. Porteranno sfortuna, al quadrato, addirittura. Mi avvicino perché non scappano, li accarezzo e non vanno via.

Non guardo più l’orologio, ignoro le chiamate, butto via la borsa. Adesso ci siamo io e quei due gatti. Decido di chiamarli Police e Roxanne, ascolto sempre Sting. Da quel giorno diventeranno i miei compagni di vita.

Sono diventata una strega, ecco come si fa.

Sara Noto Millefiori

Sara Noto Millefiori

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