La compositrice Linda Feki ha di recente denunciato sui social la sua esperienza drammatica di interruzione volontaria di gravidanza all’ospedale San Paolo di Napoli risalente a tre mesi fa. Dalle domande fuori contesto del ginecologo – “che lavoro fai, hai un compagno?” – fino ai falsi parametri biometrici del feto, dichiarati in eccesso rispetto alla rilevazione ecografica allo scopo di sovrastimare l’età gestazionale: la Feki ha raccontato di come si possa strumentalizzare la medicina per avvalorare certe convinzioni ideologiche.
Non solo. Ha raccontato di come le sia stata negata la profilassi anti-D prevista in caso di aborto indotto entro 72 ore da questo. Ha inoltre reso noto di essere stata “rimproverata” dopo la procedura.
L’ecografia nell’ultimo mezzo secolo ha rivoluzionato la salute riproduttiva femminile ma ha anche permesso a una parte politica di scomporre in pezzi il corpo della donna, di scrutarne il ventre e su questo ventre di decidere e deliberare, come fosse affare collettivo.
L’ecografia in campo sanitario nasce per approfondire lo sguardo clinico al di là di ciò che è obiettivabile attraverso la visita medica. Essa offre l’opportunità di affacciarsi a una finestra immediata e non invasiva sui tessuti interni, di cui è capace di discriminare la natura. Il supporto offerto dall’ecografia va inquadrato in quello che dovrebbe essere l’unico fine medico: salvaguardare la salute del/della paziente nella sua interezza. Ne studia le parti allo scopo di tutelare la persona intera.
L’operato del ginecologo dell’ospedale San Paolo rispecchia una serie di convinzioni collettive: il presunto dilemma etico dell’attribuzione di “vita” al feto, dell’umanizzazione del feto, dei “diritti” del feto. Declinare questa parabola equivale a compiere una condanna speculare nei confronti della donna: attribuzione di “non vita” autonoma alla donna, disumanizzazione della donna, perdita di diritti per la donna.
L’ecografia impugnata nelle mani degli antiabortisti salvatori di feti è diventata una foto-feto-feticcio. Come a dire: sventoliamo pure l’immagine “scientifica” e inconfutabile di una parte del corpo della donna, non interroghiamoci su cosa lei voglia fare a riguardo, ma orientiamo lo sguardo collettivo sul suo ventre e dichiariamo che sì, sei un’assassina se dopo aver visto la “fotografia” di tuo figlio tu voglia liberartene. Ma l’umanizzazione dei feti non finisce qui… poi ci sono i cimiteri dei feti con i nomi delle donne che hanno abortito. E no, non sono i nomi delle “madri” come molti titoli dichiarano: la maternità è, al pari della sua rinuncia, una scelta libera e consapevole. Almeno così dovrebbe essere, ma al G7 di Borgo Egnazia Giorgia Meloni non ha voluto riferimenti in materia di aborto nella dichiarazione finale, sebbene queste fossero presenti nella dichiarazione finale del G7 tenutosi nel 2023.
Se sei una donna o una persona afab che ha avuto accesso o ha tentato di avere accesso all’IVG in Italia e vuoi condividere con noi la tua esperienza potremmo pubblicare in anonimo la tua testimonianza per dare visibilità e rilevanza al mancato adempimento e/o alle criticità della legge 194.