Vorrei proporre oggi una riflessione sull’importanza del riso, a partire da una dichiarazione fatta recentemente in un’intervista dall’attivista per i diritti trans Porpora Marcasciano, che gioiosamente esclama: “La rivoluzione la si fa ridendo”.
Spesso fatta passare come sintomo di leggerezza o frivolezza, la risata esprime una sua carica sovversiva già a partire dall’etimologia della parola. Riso nel senso di risata deriva infatti dal latino risus, a sua volta participio passato del latino rideo, che tra i suoi significati figurati presenta, insieme a esser lieto, piacevole quello di splendere, brillare.
L’atto del ridere per come lo intende Porpora Marcasciano a mio parere ha proprio quest’ultima accezione. Spiega infatti l’attivista che la controparte di turno contro cui ci si batte vuole sempre vederci tristi e afflitti. La risposta migliore a questo tipo di attacchi non giustificati è proprio la risata come una delle possibili espressioni di quella forza uguale e contraria che ci fa emergere, brillare appunto in senso lato. Farsi vedere piuttosto che nascondersi. Non è forse lo stesso tipo di spinta che anima quelle manifestazioni di orgoglio della comunità lgbtq+ che chiamiamo Pride e per cui molti di noi stanno scendendo nelle varie piazze d’Italia proprio in questi giorni?
Non si tratta certo di un automatismo, né dell’unica risposta possibile alle ingiustizie sociali. Come in qualsiasi questione umana, rientra appunto in gioco una materia sociale che non segue regole fisse. Tengo a precisare che l’intento non è screditare altre forme di risposta, da quelle più abbattute a quelle cariche di rabbia e frustrazione, ma dare valore in particolare a quella che secondo Marcasciano sembra una meritevole di attenzione.
Storicamente la risata è stata quasi sempre giudicata male. Penso a quanto diceva Aristotele che, come Cicerone, pensava che il riso fosse suscitato dalla bruttezza e dall’abiezione. O ancora secondo Cartesio che manifestasse allegria mista a sorpresa e/o odio. Allo stesso modo il filosofo tedesco Kant trovava nella risata “un’aspettativa carica di tensione che si trasforma in nulla”
E’ soprattutto in tempi più recenti che si è iniziato a pensarla come un possibile atto di resistenza o addirittura di risposta rivoluzionaria e sovversiva. Ne è una testimonianza la storia dello slogan che lo stesso Porpora Marcasciano cita nell’intervista: “La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà!”. Si tratta di una frase di difficile attribuzione. Nasce come motto anarchico nell’Ottocento e alcuni ritengono che a pronunciarla per primo sia stato addirittura Michail Bakunin. Vista scritta sui muri di Parigi nel maggio del ’68, in Italia è nota soprattutto come motto del movimento del ’77. Veniva scritta o urlata durante le proteste studentesche prima degli anni di piombo. Una frase che faceva paura, non a caso a Bologna lo Stato inviava, oltre le normali forze di polizia, i carri armati come deterrente alle manifestazioni studentesche (suona forse familiare?).
Una costante in questa storia certamente però c’è stata: l’accezione di frivolezza automaticamente associata al riso quando si parla di donne. Si veda l’Ovidio dell’Ars amatoria che consiglia alle donne i modi di sorridere piuttosto che ridere come atto di seduzione. O ancora il trattato composto nel 1318, Reggimento e costume di donna, in cui Francesco da Barberino passava in rassegna tutti i comportamenti convenienti a una donna. Uno tra i molti: in nessun caso, quando provava gioia, doveva mostrare i denti. Esattamente come la parola, anche la risata, a seconda delle epoche e delle credenze, è stata rimproverata alle donne come sconveniente o al contrario riconosciuta quale sua peculiarità ma in senso strettamente negativo.
E invece bisogna alzarsi, se possibile ridere in faccia al nemico o ridere perché si ha voglia di farlo.
Lottare per i propri diritti è divertente, dice sempre Porpora Marcasciano. Frase che potrebbe apparire ossimorica, ma proprio per questo suona veritiera. E’ una delle arti della gioia.
Nella canzone Ridere i Pinguini tattici nucleari raccontano la fine di una relazione sul filo di una nostalgia umoristica. Ripensare a tutti i momenti belli suscita inspiegabilmente come risposta un riso piuttosto che un pianto, perché nonostante quella relazione sia finita e nulla ritornerà, è divertente pensare di essere comunque disposti a rifare tutto da capo per riviverne i momenti migliori. Anche pensare la fine in questo modo è un atto rivoluzionario.
In ultimo vorrei ricordare, seppur non strettamente connesso all’atto del ridere, il vento di rivoluzione seguito al femminicidio di Giulia Cecchetin. Tutto è nato grazie alla straordinaria forza della sorella e del padre della vittima, che hanno scelto di non fare ciò che sarebbe stato comunque comprensibile quanto legittimo in questo specifico caso, ovvero stare in casa a piangere il lutto per sé stessi, ma mostrarsi e rendere pubblico il loro dolore prendendo parola perché qualcun altro potesse ascoltare il messaggio e -si spera- comprenderlo.