Cerca
Close this search box.

Il Salone Internazionale del Libro di Torino: un reportage di genere

Alla tastiera, con le mani sudaticce per il caldo bolognese, ci sono io, Elena Morrone, per raccontare la prima esperienza di Viole – e la mia – al Salone Internazionale del Libro di Torino.

L’avventura inizia Venerdì 10 Maggio in un bagno, nello specifico quello dello spazio rispervato alla sala stampa e alle case editrici nel Padiglione Oval della Fiera e, nell’unicità di questa esperienza, principia con una discussione alquanto comune: ma quanta fila c’è per il bagno?

Infatti, ero arrivata da poco al Salone e, ancora confusa per le enormi dimensioni del posto dove mi trovavo e sudata per il caldo, quella volta torinese, mi ero diretta in bagno. Dopo essermi messa ordinatamente dietro la persona che era prima di me, ho iniziato a osservare l’ambiente. Tre bagni, due a destra e uno a sinistra. Dalla mia posizione riuscivo a intravedere il piccolo spazio a destra dove c’era il lavandino per lavarsi le mani e, subito dopo, due toilette per entrambi i sessi, mentre a sinistra c’era direttamente la porta per il bagno delle persone con disabilità. Ho atteso. Ho atteso ancora. Poi ho continuato ad attendere. Spoiler: ho atteso circa venticinque minuti, ma avrei potuto attendere anche di più se non avessi deciso, dopo un vaglio dei miei sensi di colpa, di utilizzare il bagno per le persone con disabilità.

Mentre ero intenta a fare pipì in squat, come ogni brava persona di sesso femminile ha imparato a fare, ho iniziato a far caso al vociare che proveniva da dietro la porta: «Quei due bagni fanno schifo, sto aspettando questo», «Si, credo lo farò anche io». Intuendo l’accumularsi di persone in fila fuori dal bagno, ho provato ad accellerare i tempi, stando ben attenta a non far toccare nemmeno un centimetro del mio corpo con qualsiasi superficie del bagno che, per quanto decente, non brillava certo come una stella. Nel frattempo, le voci delle donne fuori continuavano ad aumentare: «Sai che hanno inventato gli imbuti? Così puoi farla senza toccare». La donna oltre la porta mi aveva forse letto nel pensiero? Si riferiva a un pratico oggettino, che i miei amici mi suggeriscono da anni, per poter urinare senza che il getto arrivi ovunque. Geniale.

Poco dopo, sono uscita dal bagno, sorridendo di fronte a questi discorsi con un familiare senso di complicità. Infatti, un gruppo di quattro o cinque donne mi stava guardando per chiedermi come fosse stata l’esperienza di liberazione della vescica, come un feedback su Tripadvisor, terrorizzate dall’idea di usare il bagno da cui gli uomini continuavano a uscire velocemente, placidi e soddisfatti. Le ho guardate, le ho rassicurate, e sono andata via.

Così iniziava la mia giornata – e quindi quella di Viole di Marzo, per cui ero inviata come blogger al Salone del Libro di Torino – con una banale riflessione su quanto ogni situazione sia passabile di una analisi di genere, anche fare la pipì in un bagno pubblico (le origini di questa problematica potete approfondirle qui). Ma, al netto delle ingiustizie urinarie, ero pronta: c’era un mondo di libri da assaporare.

Claudia Durastanti

Come una novella Bella Baxter, dopo aver abbandonato il rassicurante nido della sala stampa, mi sono addentrata subito nella folla per fare tutte le esperienze necessarie a vivere appieno il valore di quella giornata: sono andata allo stand dei gadget. Ovviamente, non potevo tornare a casa senza un grazioso souvenir che testimoniasse che io, Elena Morrone, ero stata al Salone del Libro di Torino. Tuttavia, il desiderio di lasciare ai posteri il ricordo di questa mia presenza è svanito molto velocemente, dopo aver osservato i prezzi – me ne andrò con tre segnalibri e una spilla, rispettivamente per mia sorella, mio padre, mia madre e mio zio. Ma possiamo rivoluzionariamente dire che la mia è stata una scelta anti-consumistica, perchè suona meglio.

Subito dopo, sono andata al primo incontro che avevo individuato quando ho iniziato a pianificare la mia spedizione sul territorio piemontese: Claudia Durastanti presentava il suo ultimo libro, Missitalia. Scrittrice e traduttrice italiana con cittadinanza statunitense, da Brooklyn a Gallicchio con furore, avevo già avuto modo di apprezzarla durante un incontro, a Bologna, in occasione della ristampa del libro di Carla Lonzi, «Sputiamo su Hegel», di cui potete leggere qui. In quell’occasione, come curatrice del libro per la casa editrice «La Tartaruga», del gruppo «La nave di Teseo», la stessa con cui ha pubblicato il nuovo libro, il suo intervento era stato magistrale: non aveva solo spiegato quello che voleva comunicare Carla Lonzi, l’aveva riportata al nostro tempo e alle nostre battaglie.

Totalmente estasiata dalla sua bravura, mi sono diretta verso la Sala Magenta, mettendomi in fila, di nuovo.

Missitalia, La Nave di Teseo

Missitalia è la storia di Amalia Spada, un’avventuriera che non si fida del progresso portato dall’industrializzazione, in Lucania. Ed è la stessa Lucania che, nel periodo del dopoguerra, sconvolgerà la vita di Ada, la seconda protagonista del racconto, un’antropologa che si avventura in Basilicata. Infine, cento anni dopo, A. osserva lo stesso territorio da cui, ora, partono le navicelle spaziali per conquistare la Luna.

I personaggi femminili che sono usciti dalla penna di Claudia Durastanti sono complessi, multidimensionali e che non si incasellano nella polarizzazione della donna supereroina o della donna santa. Al contrario, come ha raccontato la stessa scrittrice durante la presentazione, sono ambivalenti, si muovono su un continuum mentre tentano di raggiungere il proprio scopo, fallendo inesorabilmente. D’altronde, è lo stesso titolo che ispira questo senso di mancanza nel centrare l’obiettivo e che fa uscire le personagge dalla narrazione monotematica, mentre prendono le misure della propria libertà.

Applausi, tanti. Ma anche tanta rapidità nel lasciare la Sala, per far posto allə prossimə ospitə. Prima dell’incontro successivo, ho bazzicato per i vari stand, puntando quelli dove sarei tornata domenica, con più calma. Era solo venerdì: avrei avuto tutto il tempo per dar fondo ai miei risparmi per due, tre, quattrocentoventisette libri.

Progetto ORA: Osservatorio regionale antidiscriminazioni

Dopo aver mentalmente segnato le case editrici che mi avevano incuriosita, passando da un padiglione all’altro, sono giunta alla Sala Argento. Ad aspettarmi, c’era la presentazione dei ultimi dati di ricerca del Progetto ORA, nato da una collaborazione tra il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino e GiULiA Piemonte. Finanziato dalla Regione Piemonte, è un lavoro unico in Italia che sta fungendo da apripista per future ricerche: si occupa di monitorare l’informazione locale in Piemonte, in tema di discriminazione e inclusione. Marinella Belluati, docente di Analisi dei Media dell’UniTo, Stefanella Campana, del direttivo di GiULiA, Marco Berton, giornalista e Stefano Tallia, Presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte, hanno condiviso i risultati aggiornati con il pubblico.

Questo rapporto tenta di rispondere a una domanda vitale nella lotta alla discriminazione: come si comportano i media dell’informazione nel raccontare le identità del territorio? Discriminazioni, stereotipi, pregiudizi possono influire fortemtente sulla rappresentazione delle donne e delle persone con disabilità, entrambi focus principali della ricerca. Ed è per questo che l’osservatorio monitora i canali di informazione piemontese, dando un contributo più che valido alla lotta alle diseguaglianze. La rappresentazione delle donne e delle persone con disabilità passa proprio attraverso i media, dalla tv alle piattaforme mainstream, agli ambienti digitali e i social network, in un’ibridazione che concorre a costruire l’immaginario collettivo di questi soggetti e che, quindi, deve essere analizzata integralmente. Nel farlo, il progetto adotta un approccio intersezionale, proprio per far emergere le narrazioni di tutte le soggettività che, secondo l’ultimo report pubblicato dal Progetto, sembrano ancora essere ignorate dai giornali.

Gino Cecchettin

Il secondo giorno di Viole si apre con una stretta al cuore. Mentre ero in coda per entrare nella sala Azzurra, una donna davanti a me esclama alla sua amica: «Guarda, è lì!». Ho girato la faccia e, a pochi passi da me, c’era Gino Cecchettin. Certo, non era una sorpresa, d’altronde ero lì per ascoltare proprio il suo intervento.

E in quel momento, ho iniziato a sentire emozioni contrastanti: volevo andar lì, stringergli la mano, forse salutarlo. Ma sarebbe stato un gesto fuoriluogo: chi ero io per avvicinarmi a lui? E non era un sentimento di riverenza nei suoi confronti, anche perchè non emanava nessuna aura altezzosa o scostante, sebbene circondato da alti personaggi dell’editoria. Piuttosto, a fermarmi è stato il riconoscimento che, per quanto il suo dolore fosse di dominio pubblico, era una sofferenza impossibile a cui accostarsi emotivamente. Un «mi dispiace tanto» certo non avrebbe potuto esplicitare tutto ciò che sentivo dentro. Oppure, un «grazie per quello che fa» sarebbe sembrata una frase di gratitudine per una situazione in cui, certamente, non ci si sarebbe trovato se Filippo Turetta non avesse ammazzato Giulia Cecchettin. Silenziosamente, ho aspettato il mio turno per entrare, con gli occhi lucidi.

Cara Giulia, Rizzoli

Assieme allo scrittore Marco Franzoso, Gino Cecchettin ha presentato il libro Cara Giulia, edito da Rizzoli. A essere protagonista del libro è lei, la figlia Giulia Cecchettin, che ormai è, come afferma Cecchettin durante l’incontro, «diventata il simbolo dei femminicidi». Ma nel libro c’è anche una denuncia alla cultura patriarcale che l’ha uccisa e che a tuttə, nessunə esclusə, suggerisce infidamente nell’orecchio come comportarsi, persino a lui. Ha raccontato, con un aneddoto, che era stata proprio la figlia a farlo riflettere su cosa significasse essere un maschio alpha e su come invece si dovesse sforzare per decostruirsi.

E Filippo Turetta è uno dei tanti, tantissimi uomini che ne sono esempio, e nel libro è solo un nome, sullo sfondo, sbiadito. Proprio Gino Cecchettin ha detto che preferisce non parlarne – richiesta vana, visto che una spettatrice, che ha la fortuna di poter porre l’unica domanda consentita, per questioni di tempo, ha chiesto a Gino Cecchettin proprio cosa ne pensasse di «Filippo». D’altronde, la morbosità per il gossip non muore mai. Ma Gino Cecchettin non si lascia scalfire e risponde, lapidario, che se avesse accettato il «no» di sua figlia Giulia Cecchettin, ora si troverebbe in un posto migliore, piuttosto che nel luogo dove si trova ora.

Le plurali editrice

Dopo l’incontro, sono finalmente riuscita a ritagliarmi un po’ di tempo per girare gli stand, con un budget ben fisso nella testa: non più di tre libri da acquistare. Non più di tre libri da acquistare. Non più di tre libri da acquistare. In stile Harry Potter che ripete al Cappello Parlante: non Serpeverde, non Serpeverde, non Serpeverde. Operazione difficile ma non impossibile.

La prima tappa è stata Le plurali editrice, casa editrice femminista, indipendente, intersezionale e curiosa, come si legge nella loro presentazione. Nata nel 2021 da un progetto editoriale di quattro socie, allo stand mi hanno spiegato le loro quattro collane. Le bussole, ovvero dei comodissimi manuali tascabili sul femminismo, che raccolgono i più importanti fondamenti del movimento con uno stile particolarmente fruibile. Le sagge, opere di saggistica firmate da accademiche e studiose sui più svariati temi, dalla performance di genere all’ecologia, dall’utilizzo del linguaggio sessista al razzismo. Le radici, che invece riportano al presente il nostro passato, recuperando testimonianze di pioniere del femminismo che, altrimenti, andrebbero perse. Infine, Le cantastorie, libri di narrativa firmati da autrici di ogni provenienza, storia, etnia, con una storia da raccontare squisitamente unica.

Ad attirare l’attenzione, specialmente, con una sgargiante copertina gialla, è stato il libro «Sette peccati necessari», di Mona Eltahawy, un vademecum che la scrittrice ha composto per aiutare le donne nel loro percorso di liberazione. Gli step da attraversare? Rabbia, attenzione, volgarità, ambizione, potere, violenza, lussuria. Non potevo essere più d’accordo.

Capovolte

Travolta dai colori appariscenti e luminosi, sono passata al secondo stand, quello di Capovolte, casa editrice indipendente e femminista, nata nel 2019, con lo scopo di offrire nuove lenti di lettura ai veloci cambiamenti che sta attraversando la nostra società. Sin da subito, si è vista l’impronta di un femminismo intersezionale che prova a farsi carico di tutte le istanze femministe, in ogni angolo del mondo, o globo terracqueo, che dir si voglia: a scrivere sono voci di donne che fanno sgretolare la logica coloniale e oppressiva su cui si basano le, gentilmente dette, avanzate democrazie occidentali, smascherando un sistema di potere molto più complesso e intersecato.

Mentre spulciavo tra libri a me già noti, come Per una politica della dignità, di Laura Fano Morrissey, che è sulla mia lista da un bel po’ – la mia attenzione è stata catturata da un altro titolo. In mezzo c’è the border – Storie al confine di silvia b. L’ho preso in mano e ho letto la sinossi. Poco dopo, la libraia dello stand, che se n’era accorta, mi ha sorriso e mi ha detto «Se vuoi c’è la scrittrice, puoi farle qualche domanda».

In mezzo c’è the border – Storie al confine, Capovolte

La domanda mi devasta, come direbbe l’ultimo degli intellettuali, alias Zerocalcare. Presa alla sprovvista – ho ancora qualche difficoltà a riconoscere la valenza del mio ruolo di blogger, maledetta sindrome dell’impostora – mi armo di telefono per registrare la conversazione, dopo aver chiesto il consenso dell’autrice a poter conservare l’audio. Ma il ghiaccio si è rotto subito: abbiamo scoperto di abitare entrambe a Bologna, di essere state tutte e due alla conferenza di Judith Butler, di frequentare gli stessi luoghi senza esserci mai incontrate prima. Ah, la magia di Bologna. E così, tra un aneddoto e l’altro sulla città universitaria per eccellenza, ci addentriamo oltre i confini del suo libro.

In mezzo c’è the border è un reportage – a metà tra narrazione e linguaggio poetico – che racconta di quei confini che da un lato proteggono l’Occidente nella sua gabbia dorata, e dall’altro vengono imbrattati del sangue di chi tenta di oltrepassarli. Dalla rotta balcanica, tra Serbia e Croazia, poi tra Serbia e Ungheria, passando per il mar Mediterraneo, sull’isola di Lesvos, fino ad arrivare alla frontiera italiana, a Trieste: i margini sono il luogo in cui questa opera prende vita, per raccontare le storie di chi li attraversa.

Nel farlo, la scrittrice silvia b. – il suo cognome è una lettera, per una scelta politica che sfida il patriarcato, come lei stessa specifica durante l’intervista – si pone in una posizione di ascolto per lasciare il giusto spazio tutte queste narrazioni, ma anche di critica e autocritica, ben conscia della posizione privilegiata in cui si trova, da donna bianca ed europea, rifiutando un approccio colonialista ed eurocentrico.

silvia b.

Come ha raccontato silvia b., «Questo libro è nato dall’urgenza di agire, dal momento che ho visto io stessa, in prima persona, qual è la situazione dei confini. E dopo una esperienza del genere, non si può non mettere in discussione tutto il sistema in cui viviamo e denunciare la condizione di disumanità in cui si costringono queste persone. Citando il regista Fassbinder, “É molto più facile compatire, mentre è molto più difficile capire“. In altre parole, anche se siamo consapevoli di quello che succede sui nostri confini, non ci mettiamo in discussione come società politica ed economica: abbiamo l’ipocrisia di voler esportare la democrazia, mentre lasciamo morire persone nel mar Mediterraneo“.

Silvia b. mi ha spiegato poi le scelte stilistiche che ha preso, perfettamente coerenti con lo scopo per cui questo libro è nato: «All’inizio ho avuto un barlume di presunzione: ho pensato di poter fare un reportage ogettivo, partendo dai miei diari di viaggio. Ma, oltre a essere impossibile, sarebbe stato pregiudizievole: è più onesto confrontarsi fino in fondo con se stesse e le proprie impressioni. Per questo, il libro presenta parti in corsivo che rappresentano miei retro pensieri»

Da questo ruolo ambivalente di ascoltatrice e narratrice, silvia b. parla della sua esperienza di «persona bianca privilegiata che durante il Covid poteva attraversare le montagne o entrare tranquillamente in Serbia con una carta d’identità. Nel frattempo, continuiamo a togliere diritti alle persone migranti, per preservare a tutti i costi una società che si crede un luogo dove vige, apparentemente, uno stile di vita basato sul benessere. Ma se questa società è in grado di togliere agli altri il diritto a vivere, in un modo così impietoso e crudele, sarà in grado di toglierli anche a noi in futuro».

Per questo, è importante agire, ora, per noi e per loro, per fare in modo che non ci sia più nemmeno questa distinzione tra noi e loro, quindi «l’unica cosa che si può fare è favorire la contaminazione reciproca, mettendo in discussione la nostra idea di persone bianche portatrici di valori inestimabili e smettendo di presumere che le persone non bianche non abbiano valori altrettanto importanti».

Non sto nemmeno a dirlo: libro comprato immediatamente.

Paesi edizioni

Poi via, verso un altro padiglione. Dopo essermi guardata un po’ attorno, mi sono fermata a sfogliare un libro che già conoscevo, Figlie di Eva, edito da Paesi Edizioni. Qualche mese prima, infatti, ero andata alla conferenza organizzata dall’Alma Mater Studiorum di Bologna, “Giornalismo d’inchiesta e story telling”, dove l’autrice, Liliana Faccioli Pintozzi, era intervenuta per presentare la sua opera e ne ero rimasta incuriosita. Per aver pubblicato una scrittrice del genere, la casa editrice doveva senz’altro essere altrettanto interessante. Così, ho osservato meglio lo stand e i libri esposti sembravano chiaramente volermi indurre in tentazione.

Paesi edizioni, infatti, è una casa editrice che si occupa di pubblicazioni internazionali, coinvolgendo idealmente tutti i paesi del mondo nel suo lavoro di promozione della cultura e della letteratura internazionale e italiana. Dalla geopolitica alle relazioni internazionali, dallo spionaggio al terrorismo, dall’economia alla finanza, dalla sicurezza alla storia politica, dalla sociologia alle arti, dal giallo al thriller, dal romanzo storico al biografico: Paesi edizioni abbraccia i più svariati generi con un approccio profondamente curioso nei confronti del mondo e di tutte le sue più remote storie.

Figlie di Eva, Paesi edizioni

Mentre scorrevo con lo sguardo i titoli espositi, domandandomi come avrei fatto a scegliere, in completa adorazione, mi sono accorta che l’autrice di Figlie di Eva era lì davanti a me. Il libro mi aveva già affascinata a Bologna: raccontare in un’unica opera le proteste delle donne di tre paesi diversi, Afghanistan, Iran e USA, era un progetto articolato, chiaramente il risultato di una profonda conoscenza e di una ricerca meticolosa.

Nel libro, infatti, l’autrice, ha raccontato delle donne seppellite sotto il burqa che ogni giorno devono negoziare per conquistare delle briciole di una quotidianità sopportabile; ha raccolto le testimonianze delle donne che lottano per il proprio diritto di scelta, togliendosi un velo, un gesto che fa tremare un’intera Regione; ha narrato dell’involuzione di un paese che, da faro per la democrazia, si è dimostrato uno specchio per allodole, ribaltando una sentenza che ha riportato indietro il paese di cinquant’anni. In Figlie di Eva, i diritti delle donne, ma in realtà diritti di tuttə, sono il fulcro centrale da cui si deve partire.

Già durante l’incontro a Bologna, Liliana Faccioli Pintozzi era la concreta realizzazione del mio sogno di ragazzina: giornalista, corrispondente estera, esperta nel campo della geopolitica – anche se, a scuola, la geo di geopolitica rappresentava un lungo elenco di capitali e di luoghi dove si produceva la barbabietola da zucchero, grazie ancora sistema scolastico italiano. E in quell’istante, era proprio di fronte a me, di nuovo. Avevo il suo libro in mano. Occasione irripetibile.

Liliana Faccioli Pintozzi

Anche qui, Bologna è un metodo rompighiaccio infallibile che dovrebbe essere brevettato. Dopo un breve riferimento alla conferenza a cui ero stata, la scrittrice è passata direttamente alla presentazione del suo libro: «Ho preso questi tre paesi perché è dove si protesta, in alcuni di più e in altri di meno, e dove alcune proteste stanno cambiando la storia della politica, in alcuni di più, in altri di meno e in altri per niente, come in Afghanistan. E questo deve essere un monito per noi a ricordarci che basta poco a tornare indietro e che i diritti delle donne non sono diritti di serie B».

Quello di Liliana Faccioli Pintozzi è un inno all’agire, senza accontentarsi delle briciole che cadono dal tavolo dei centri di potere di tutto il mondo: «È assurdo e incredibile che ancora si dica “avete avuto tanto, abbiate pazienza!” perché non c’è nulla per cui avere pazienza. Quando i diritti delle donne non sono rispettati, la democrazia non è compiuta. Ed è il caso di rendercene conto al più presto».

E un altro libro è entrato nella borsa di Elena.

Mondi possibili e pianeti lontani: Ersilia Vaudo e Anthea Comellini

Subito dopo aver parlato con Liliana Faccioli Pintozzi, la mia agenda segnalava un evento che avevo prenotato, chiamato Mondi possibili e pianeti lontani, all’Arena Bookstock. Mi ricordai che avevo scelto quell’evento per la mia passione per lo spazio e le stelle. Chi me lo avrebbe detto, poi, che l’evento avrebbe riguardato le donne nello spazio e tra le stelle? Chiamiamolo sesto senso femminista.

Sul palco, Ersilia Vaudo, astrofisica dell’Ente Spaziale Europeo (ESA) e Chief Diversity Officer, ha raccontato i primi passi delle donne sulla luna, con un aneddoto che ben spiega l’astrosessismo. In occasione del primo lancio di una donna americana nello spazio, l’astronauta Sally Ride, nel 1983, la NASA chiese all’esploratrice dello spazio se, per una missione di sei giorni, cento assorbenti le sarebbero bastati. Cento assorbenti. Cento. Oltre a questo, le fornirono anche trucchi e altri prodotti beauty perchè chiaramente ne avrebbe avuto bisogno.

Insomma, esplorazione dei più reconditi angoli dello spazio 10, conoscenza di base del corpo delle donne 0.

Da allora, come ha illustrato Vaudo, le cose sono cambiate. Anche all’ESA, dove lei stessa spinge per una cultura inclusiva che riesca a rendere le materie STEM attrattive anche per le ragazze. Infatti, lo zoccolo duro del pensiero tradizionalista patriarcale si affida a un determinismo biologico, pensando che le ragazze non siano portate per queste materie per confromazione naturale. Ma, come sappiamo, la realtà è ben diversa. E volendolo riassumere nella frase dell’astrofisica, «la narrativa testoteronica degli anni ’70 non funziona più». Nonostante questo lavoro, purtroppo, ovunque continuano a persistere degli stereotipi di genere, che impediscono alle donne di avventurarsi anche in questo ambito. Il compito di saldare questo Dream-gap – in Europa per cento bambine che desiderano essere una principessa, solo una vuole fare l’astronauta, spetta non solo all’ESA, sul pianeta Terra, ma anche a chi va nello spazio oscuro.

Anthea Comellini, seduta accanto a Ersilia Vaudo, è un’ingegnera aereospaziale, laureata presso il Politecnico di Milano e dottorata in Navigazione autonoma per rendez-vous nello spazio, presso ISAE-SUPAERO. Ma specialmente, Anthea Comellini è una delle due persone di provenienza italiana che è stata selezionata, tra 22.500 aspiranti, come partecipante della riserva degli Astronauti e delle Astronaute dell’ESA. Un’impresa eccezionale, non c’è che dire. E Comellini ha raccontato della sua brillante esperienza in agenzia, obiettivo che è riuscita a raggiungere, parafrasando le sue parole, credendoci fino in fondo. Poi, ha specificato che episodi di sessismo non ne ha mai nè visti nè subiti.

A onor di cronaca, anzi, di reportage, devo dire che sono uscita dall’incontro, oltre che con una gran fame – era pur sempre ora di pranzo -, anche con qualche perplessità.

Infatti, per quanto ammirassi la sua innegabile bravura e forte determinazione, durante i saluti finali riflettevo sul fatto che in generale la retorica del «se vuoi, puoi» non tiene conto di tantissime barriere che le donne devono affrontare, a partire anche da quelle economiche, dato che non tutte possono permettersi di credere in un sogno, o, banalmente, di iscriversi all’università. Ma anche passando per le barriere burocratiche e finanziarie, visto che non tuttə hanno la possibilità di iscriversi a un dottorato.

Così come il fatto che Comellini testimoni che lei, fortunatamente, non è venuta in contatto con manifestazioni di sessismo, non significa che ad altre donne non sia successo: un po’ a voler dire ho tanti amici non sessisti.

Insomma, di strada se n’è fatta, anche grazie al lavoro dell’ESA che sicuramente non fornisce cento assorbenti per sei giorni di missione ma adotta delle politiche di diversità e inclusione ben precise e strutturate. Tuttavia, in queste occasioni, mi ricordo di quanto la liberazione della donna dagli stereotipi e discriminazioni debba passare attraverso molteplici stadi e livelli e rivolgersi verso l’intera collettività di donne, non solo una singola.

Come ultimo pensiero – il Salone del Libro me ne ha dati tanti, come un evento letterario e culturale che si rispetti – riflettevo anche sul fatto che, mentre le più potenti nazioni tentano di abbattere i confini spaziali chiudono quelli territoriali. Le due scrittrici incontrate prima avevano decisamente lasciato il segno.

Quanto senso può avere accorciare la distanza tra la Terra e la Luna se nel frattempo allunghiamo la distanza tra le persone?

Enciclopedia delle donne

Non avevo tempo, però, per rimanere a riflettere. Dopo aver riempito il mio stomaco, era il momento per il prossimo evento, considerando anche non era stato possibile prenotarsi e che sicuramente ci sarebbe stata una fila infinita di persone. Infatti, poco dopo, ci sarebbe stato La guerra si scrive al presente: giornaliste al fronte, ovvero Annalisa Camilli, giornalista per Internazionale, esperta in questioni migratorie, Cecilia Sala, giornalista per il Foglio e speaker del podcast Stories e Francesca Mannocchi, giornalista e documentarista per diverse testate nazionali e internazionali. Nella mia corsa contro il tempo, mentre sfrecciavo tra i padiglioni, mi sono bloccata di colpo.

Enciclopedia delle donne: è questa la casa editrice che mi ha immediatamente incuriosita. A parlarmene approfonditamente, è stata la fondatrice Margherita Marcheselli che, assieme all’altra fondatrice Rossana di Fazio, ha dato vita a questo progetto.

L’Enciclopedia delle donne raccoglie e promuove, testimonia e ispira, narra e crea. Tramite un lavoro di ricerca certosino, la casa editrice si occupa di pubblicare opere che ricordano nomi e cognomi, itinerari di vita e relazioni delle donne, restituendo loro sia l’individualità di una persona, sia la collettività della storia delle donne. L’elenco delle biografie di donne pullula di presenze storiche, artistiche, letterarie di ogni tipo, per un’azione di divulgazione senza pari. Il lavoro del progetto editoriale vuole sradicare le generalizzazioni sul passato e sul presente che hanno oscurato le vite delle donne, creando nuovi percorsi da intraprendere nel prossimo futuro.

A casa con me, per mia madre, ho portato S’avanza la mia ombra a passi di lupa. Romaine Brooks e les Amazones: viaggio tra artiste incendiarieiornalista, di Valeria Palumbo, giornalista, attualmente caporedattrice del settimanale Oggi, e storica delle donne che ho avuto la fortuna, pochi giorni fa, di ascoltare direttamente dal vivo al Salerno Letteratura Festival.

Centro Antiviolenza EMMA

Dopo l’incontro con Mannocchi, Sala e Camilli, di cui purtroppo mi è impossibile scrivere perchè dopo la fila interminabile è stato difficile seguirlo dall’ultima fila, nell’angolo più lontano, mi sono diretta allo stand del Centro Antiviolenza Emma, dove lavora una delle mie colleghe ricercatrici.

Grazie al suo aiuto, ho avuto l’occasione di parlare con la Presidente Anna Maria Zucca che ha portato la testimonianza preziosa e unica di chi lavora in una realtà del genere e lo fa adottando un approccio femminista. Quest’ultimo è assolutamente necessario nel voler contrastare la violenza di genere aiutandone le vittime: riconoscere il continuum della violenza maschile e tutte le conseguenze che essa può avere contribuisce ad aiutare la donna che subisce forme di violenza, dalle più latenti a quelle più manifeste, nel suo percorso di autodeterminazione, riconoscendo il suo diritto di scelta e di realizzazione come persona libera all’interno della società.

Nel dettaglio, come ha raccontato la Presidente, le azioni del centro si basano su quattro parole chiavi: «LibErtà, autodeterMinazione, eMancipazione e Autonomia. Questo è il percorso che proponiamo: la libertà è fondamentale perché il centro si propone come primo spazio dove esercitarla, dove lei ha finalmente il diritto di scegliere e di sbagliare, che è un dritto altrettanto importante. In questo modo capisce che può essa stessa autodeterminarsi e, nel momento in cui capisce che può scegliere, riacquista la sua autostima, riscoprendosi portatrice di talenti e abilità, avviando un percorso di emancipazione».

Appeso alle pareti dello stand, un lungo elenco di diritti, che, chiaramente, la società ancora fatica a riconoscere alle donne: il diritto a non essere toccate senza il consenso, a ripensarci, a sbagliare, a chiedere aiuto, a stabilire le proprie priorità. A spiegarli, però, non erano solo le parole: ciascun diritto era accompagnato dalle illustrazioni di Anarkikka, fumettista e blogger femminista – per intenderci, la stessa che ha ideato la copertina di Stai zitta di Michela Murgia. Le vignette sono riprodotte anche nel gioco “I Diritti di Emma”, che è possibile ricevere tramite un contributo minimo (per avere più informazioni si può scrivere all’indirizzo mail del Centro: info@emmacentriantiviolenza.com). E direi di non perdere la meravigliosa occasione di litigare con qualche parente tradizionalista a Natale, perchè anche il cenone è politico.

Fuori Salone: quello che non ho visto ma so

Dopo aver salutato il Centro Antiviolenza, la mia esperienza di blogger al Salone del Libro di Torino giungeva al termine. Ma mi sembra giusto riportare, in questo articolo, gli eventi che non ho visto ma di cui ho avuto qualche scorcio, non essendo provvista del dono dell’ubiquità ma di tanta voglia di raccontare si.

Saltellando tra uno stand e l’altro, in mezzo a una folla di persone che erano in fila o che a loro volta saltellavano tra uno stand e l’altro, sono accadute due cose: la contestazione a Elena Cecchettin e la manifestazione a favore della Palestina. Anzi tre, perchè è giusto citare anche questa, per quanto non strettamente legata alle tematiche di genere: la contestazione a Filippo Ceccarelli.

Elena Cecchettin, sorella di Giulia Cecchettin, aveva da poco iniziato il suo intervento quando all’improvviso una donna si è alzata, interponendosi tra lei e il pubblico e iniziando a recitare l’Ave Maria per impedirle di parlare. Con il noto dono della comprensione cristiana, ha poi iniziato a urlare «Assassini! Vade Retro Satana! L’aborto nella carta dei diritti fondamentali? Sono meglio i cani di voi, sono meglio le bestie che hanno mantenuto l’istinto materno. Voi, invece, uccidete i vostri figli. Vade retro satana.» Ma quant’è bella la religione, Johnny! Ah, no, scusate, quella era la mafia.

Fuori dal Salone, invece, un corteo di manifestanti ha provato a entrare a Lingotto, fermato, come spesso capita ultimamente, dalla presenza delle forze dell’ordine. L’oggetto della protesta era l’assenza di spazi dedicati per discutere della situazione palestinese che sta diventando sempre più critica – come se già non lo fosse prima. Poi, è intervenuto anche Zerocalcare per difendere i manifestanti e, in segno di solidarietà alla delegazione palestinese, alcune (poche) case editrici hanno chiuso il loro stand per qualche ora. Inoltre, la scrittrice Valeria Fonte ha usato lo spazio dell’incontro durante il quale avrebbe dovuto presentare il suo ultimo libro Vittime mai per dare la parola allə attivistə, in netta contrapposizione rispetto ad altrə, che hanno speso poche (zero) parole sulla protesta.

Ultimo, ma non per importanza, la contestazione allo scrittore e giornalista Filippo Ceccarelli che, mentre presentava il libro B. Una vita troppo, su Silvio Berlusconi, assieme al giornalista Zoro, è stato interrotto da una nostalgica del Cavaliere, sdegnata per il discredito che l’autore gettava sull’amato Silvio. E poi dicono che non si può dire più niente!

Dal Salone del Libro di Torino 2024 è tutto. Le mie tasche un po’ piangono – non siamo state sponsorizzate da nessuno per quest’articolo, ci tengo a dirlo – ma il mio cervello ride. E si scioglie anche, assieme alle mani sudaticce, per quel famoso caldo bolognese.

Picture of Elena Morrone

Elena Morrone

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ultimi Post

Dal bookclub Storie di corpi – “Corpi ribelli” a cura di Giulia Paganelli

Attualità, Letteratura, Recensioni

Coraline e la porta magica – una storia di formazione atipica

Arte, Cinema

Arcano numero uno: il Mago.

Arte

Le escluse: Eugénie Grandet e Marta Ajala fuori dalla porta paterna

Letteratura

Cookie & Privacy

Noi e terze parti selezionate utilizziamo cookie o tecnologie simili per finalità tecniche e, con il tuo consenso, anche per altre finalità come specificato nella Privacy Policy
Puoi acconsentire all’utilizzo di tali tecnologie utilizzando il pulsante “Accetta”. Chiudendo questa informativa, continui senza accettare.

Arcano numero due: la Papessa

Luci e ombre: Il magico studio fotografico di Hirasaka di Hiiragi Sanaka