Proseguio e introspezioni dal racconto “Carolina”
SOGNO DA ADOLESCENTE
Una notte di una fase della mia vita in cui andava tutto stranamente in modo “normale”, senza quindi recenti danni ingenti, senza lui che alzava le mani, sognai mia mamma che mi accompagnava alla fermata dell’autobus e ci sedevamo lì. Vedevamo passare le ragazze più belle della mia classe dal cui sguardo trapelava un’agghiacciante snob.
Io non ero come loro, non sapevo intonare i vestiti e non sapevo niente di unghie, ero troppo gentile e non avevo abbastanza carattere, qualsiasi cosa accadeva nelle loro vite sembrava avesse più valore di ciò che accadeva nella mia.
“Mamma ma perché ti è successo questo?”. Chiedevo a quella donna che avevo sempre visto come la mia fata, che da un giorno all’altro aveva perso quasi tutto. Non avevo mai visto nessuno dover sopportare tutto questo, così dal nulla. “Mamma, perchè ti è successo questo?”. Chiedevo a quella donna così dolce che mi aveva cresciuto con un sorriso da fata, con parole velate, che rendevano splendide le mie giornate, che mi cullava quando piangevo. Quella donna con cui allo stesso tempo ero tanto arrabbiata, la cui fragilità tanto delicata e maledettamente bella non era riuscita a reggere i soprusi della maledizione della mia vita: quell’uomo. Non mi aveva difeso contro di lui e anzi stava cominciando addirittura a difenderlo. Perchè doveva succedere questo al mio angelo? Perchè nessuno ti aiuta a uscire da questa situazione? Mia mamma aspettava sempre il principe azzurro. Era la fanciulla di cristallo. Forse lo aspettava crescere dentro di lui, cercava di nutrirlo amando anche le sue bestemmie, i suoi insulti, le sue urla spaventose, le sue mazzate.
Per me invece non esisteva persona che odiassi di più al mondo.
No, non ero grata di tutto quello che mi è successo.
Ma comunque, anche se non avessi vissuto tutte queste vicende, non avrei voluto crescere così insensibile come lo sono i più fortunati della terra.
“Il trauma, la perdita di fiducia nel padre, il lutto. Tutto questo ti sta portando a sviluppare una maturità che pochi avranno sviluppato alla tua età. Non hai nemmeno nulla da condividere con la gente normale della tua età, Carolina, di questa società intendo, così avvinghiata al benessere e al lusso, che non solo non sa nemmeno cosa significa ma non sa nemmeno come accogliere, come concepire tutte queste esperienze che a te invece sono capitate. Tutte queste persone non hanno nulla da darti”.
Diceva questo tra un tintinnio e un altro di una tazza di caffè,tra le note aromatiche che questo emanava.
“non sa nemmeno cosa significa ma non sa nemmeno come accogliere, come concepire tutto questo” echeggiava nella mia testa “proprio come la mafia al nord. Al sud è nata la mafia ma al sud è nata anche la resistenza alla mafia. Noi, quelli più “civili” non abbiamo nemmeno gli anticorpi a tutto questo”. Ma forse erano solo i collegamenti astrusi che facevano costantemente i miei pensieri sempre gorgoglianti.
Ada era un’amica di famiglia, che mi guardava dalla sua posizione, affacciandosi dal confine con i miei legami familiari, con l’ammirazione e tenerezza di un mentore. Una donna determinata e gentile, ex professoressa universitaria, composta, riflessiva e magnanime, proferiva queste parole, sfaldava una volta per tutte anche la mia costante e timorosa angoscia di rimanere senza amici e di non essere abbastanza adatta agli altri.
Non volevo però isolarmi solo per via di tutto questo. Capivo finalmente che avevo io qualcosa da offrire, non (solo) loro da offrire a me. E vorrei che tutte le ragazze che hanno avuto una storia simile alla mia non si dimentichino mai ciò.