Riflessioni, impressioni e pensieri della giovane protagonista Asia, una ragazza al confine tra l’adolescenza e l’età adulta. Le vicende relazionali si svolgono negli incontri con Artur e Aayan, storie d’amore che la conducono verso un sempre più profondo conoscimento di se stessa, verso la dissipazione di tutte quelle gabbie, retaggio da un passato in una famiglia con violenza domestica.
La mia coinquilina thailandese mi raccontava sempre che in Thailandia esiste un piatto molto particolare, legato alla saggezza religiosa del Paese, ma ad oggi estremamente costoso, poiché mangiato solo dalle persone molto ricche: il Balut, un uovo fertilizzato in fase di sviluppo, un embrione che viene cotto e gustato direttamente dal guscio. Una prelibatezza molto diffusa come cibo di strada, in tutto il Sud-est Asiatic. La durata dell’incubazione prima della cottura di solito oscilla tra i 14 e i 21 giorni.
Un essere a metà strada tra il suo stato embrionale, puro e immacolato, e quello di potenziale completamente realizzato, adulto, a sé stante.
Eppure tutto il suo amaro fascino non risiede solo nello stadio di sviluppo in cui si trova, ma nel fatto che è servito così. Il suo destino si svolgerà altrove da quello previsto dal suo percorso naturale e rimarrà tale nelle sembianze, cristallizzato per sempre in questo momento di passaggio della sua esistenza. O meglio, quella che sarebbe dovuta essere la SUA esistenza.
Nella coscienza che la sua crescita non avrebbe mai più potuto essere, nella coscienza che ora quel pulcino poteva essere soltanto quel crocevia di vite, nella tristezza e nella magia di vedere in un solo individuo essere così tante cose allo stesso tempo. Balut era mia nonna, malinconica umile lavoratrice che era stata portata via dal suo regno, l’accademia di pittura parigina, e che faceva sopravvivere con sè la sua passione a sprazzi, nei tempi liberi concessi dal lavoro come maestra che la vita con mio nonno la costringeva a fare, ma che non le permetteva più di far ruotare la sua esistenza attorno a ciò che amava e coltivava con grande maestria. Balut, era quell’angelo di mia mamma, che dipingeva anche lei nel poco tempo libero di quel lavoro ancora più umile, nei momenti scevri dalle costrizioni delle violenze domestiche, che le permetteva di mantenere il suo cuore così puro di fronte a tutte quelle difficoltà. Balut, ero io, nell’eta al confine tra la prigionia e l’emancipazione.
Ho fatto male a lasciarlo, oppure no?
È una domanda a cui ancora non ho trovato risposta.
È da quasi tre anni che non lo vedo e ancora mi chiedo come sarebbe la mia vita con lui oggi. Forse avrei avuto qualcuno costantemente al mio fianco, a supportarmi, come un fratello, come un padre, qualcuno che mi tratta come una principessa tutti i giorni, forse avrei avuto persino meno problemi economici. Ma forse avrei avuto anche meno tempo da sola per me stessa e per i miei sogni, più stress per i normali litigi che avvengono in una coppia, a maggior ragione con qualcuno di una cultura diversa, più tempo perso a spiegargli cose che io do per scontato, meno possibilità di raggiungere i miei sogni, essendo lui anche di un mondo, completamente diverso dal mio.
Insomma, mi chiedo sempre come sarebbe se non ci fossimo lasciati. Ma so che, anche se avessi mo continuato la relazione, così giovane ed intraprendente com’ero a 19 anni, oggi, a 23 anni mi sarei chiesta come sarebbe stata la mia vita senza di lui.
È un eterno dubbio a cui non riesco a trovare risposta.
So solo che da quella notte di paura e schock in cui vidi il mio precedente ex per l’ultima volta, fu solo lui, Aayan, a dissipare gli attacchi di panico, e i mostri che mi perseguitavano di notte, prima ancora che io potessi comprendere appieno la gravità di quell’evento scioccante.
Sembra incredibile ciò di cui noi umani possiamo avere il controllo e così grande anche ciò di cui non abbiamo il controllo. È sempre così angosciante e rabbrividente la natura delle cose. Spesso sai cosa stai facendo, e cerchi di guidare ogni singolo aspetto del tuo percorso affinchè vada tutto come vuoi tu, ma può capitare che il destino ti faccia piombare addosso qualcosa che non avevi programmato.
Ricordo in maniera distinta e senza consunzioni dal ricordo, come mi sentissi forte e indistruttibile subito dopo la delusione d’amore. Ma mi ci sentivo soltanto, non lo ero davvero. In realtà il mio mondo di colori mi era appena stato distrutto, ero a pezzi. Mi forzavo di visionare solo positività, energie e nuovi progetti durante le mie giornate, mentre la ricchezza che era solita derivarmi da tutte quelle attività a cui intendevo dedicare la mia vita, sfuocava.
La notte mi rivelava invece tutta la mia debolezza: durante la mia routine pre-letto, mi incoraggiavo e mi davo sicurezza su tutti i miei nuovi progetti. Ma appena mi coricavo sotto le lenzuola, ecco che venivo abbracciata da violenti e soffocanti strati di paure, ingiuriosi incubi ad occhi aperti.
Nel passaggio tra estate e autunno, durante la notte che separava l’ultimo giorno di vacanza e il primo giorno di lezioni universitarie, avvenne tutto ciò. Un momento fatale che mi portai nascosto nell’inconscio, negandolo alla “mia esplicità”. Ma che lasciò il segno sulle mie impressioni come un’incudine che si aggrappò alla mia coscienza nei giorni a venire, mentre mi aggrappavo a mia volta a una morale di negazione e disconoscimento della verità e della sofferenza.
Passai quel giorno tra altre ambiguità, questa volta le sue, di Artur, tra sorrisi e strette di mano, tra momenti di ignoramento da parte sua o di risposte scortesi,e poi per ultimo, quel gesto aggressivo la sotto che mi aveva scioccato. Poi un saluto cordiale come se non fosse successo niente, come se ci saremmo rivisti anche domani. Poi mai più niente, per il resto dei nostri giorni. Da quel momento, per circa tre mesi, appena mi coricavo sotto le mie lenzuola, mi attendeva un lungo terribile abbraccio di dolore, panico ed incubi. Lui aveva ricominciato la sua vita allegro e pieno di orgolio.
Volevo vivere in un mondo senza più aver paura, dove poter essere libera ed avere esperienze appaganti con le persone, con gli altri esseri umani. Non volevo più avere paura degli uomini, volevo vedere la bellezza della loro personalità senza dovermi proteggere dalle loro voglie e bisogni di conquista. E pur di vivere tutto questo mi convincevo che non c’era da avere paura, che comportandomi come se niente fosse, niente davvero sarebbe stato pericoloso.
Uscivo un giorno distrattamente dalla mia stanza per andare a lezione, i miei occhi cominciarono a guardare davvero quello che avevo intorno quando quel ragazzo con cui a volte chiacchieravo
Mi disse
“Ehi come stai?”
“Non ci siamo visti ieri, vero?”.
“No”
“Ok, allora buona giornata”
Perché era così importante se ci fossimo visti o meno ieri?
E poi c’erano i suoi messaggi
Di solito rispondeva subito ai miei messaggi.
Io lo ignoravo quasi sempre. Avevo paura che fosse
Una sera, mentre chiacchieravamo e cucinavamo nella cucina della residenza, sentii un’ improvvisa scottatura alla mano, e vidi dopo che mi ero scottata con la pentola. Me ne stavo già scordando, anzi forse non ci stavo dando tutta questa importanza nemmeno mentre mi accadeva, essendo un piccolo inconveniente da poco, e non essendomi fatta tanto male. Ma non appena mi voltai per cambiare compito, lui afferrò subito la mano che vide ingiurarsi.
La guardò poi la strinse e mi portò con sè verso la sua stanza.
“Vieni, ho dei cerotti”. “Ma non serve, per così poco”. Ma non mi ascoltò, e continuò a seguire la situazione con scrupolosa serietà. Non mi avrebbe lasciato andare nemmeno con una ferita nemmeno così piccola. Entrammo nella sua stanza, una luce febbrile con qualche nota di dolce giallo riempiva la camera, lasciando in ombra diverse zone. Tirò fuori un cerotto dal cassetto e mentre faceva così notai che le nostre ginocchia si toccavano. Una volta messo il cerotto, stavo quasi per concludere quella che secondo me era un’ inutile preoccupazione. Ma lui schioccò subito un bacio sulla mano, tra il punto della ferita e una parte libera della pelle. Ero imbarazzatissima. Sentii irrigidirmi tutto il corpo e non sapevo cosa pensare, se sorridere, se scappare, se prenderla con allegria e ridere o se preoccuparmi.
Effettivamente non si capiscono mai le vere intenzioni dei ragazzi a volte. E io ero troppo lucida, anzi no, troppo sull’attenti per sopportare di rischiare.
La mia pasta si stava sicuramente cuocendo troppo e io gli voltai le spalle con un frettoloso e formale “grazie”, fingendo di non aver capito le sue avances. Lasciandolo sicuramente con una amara tristezza, che percepivo pur avendogli voltato le spalle, per averlo scaricato così di fretta.
Eppure in cuor mio, c’era una bambina di tantissimi e immenori anni fa, che in cuor suo era felice.Avevo solo voci contrarie.
Ero troppo abituta a sentire il parere degli altri, avevo paura delle mie decisioni di spontanea iniziativa
Poi in realtà quell’immagine quasi senza parole mi tornò spesso in mente
Nei momenti in cui mi sentivo sola.
La scottatura, le mani intrecciate, il cerotto, il bacio sulla ferita.
“Dolce Benedetta.” mi scrisse un giorno
“Ogni volta che ti sentirai triste, o che ti sentirai giù, potrai semplicemente mandarmi un messaggio o chiamarmi, a qualsiasi ora del giorno e a qualsiasi ora della notte.
Terrò accesa la suoneria del mio telefono, così potrò sentirla quando mi chiamerai”.
Io risposi dopo un paio d’ore.
“Ti ringrazio ma penso che tu possa riposare tranquillo questa notte”.
In un battibaleno, lui:
“Non mi devi ringraziare. Ci tengo a te e voglio che tu stia bene”.
Un giorno lo stavo solo abbracciando. Quando lui ad un tratto pose le sue labbra sul mio collo.
Un sorriso leggero contornava le sue labbra, come di tenera serenità e rilassatezza, anzi come se volesse dare tutta a me quella pace. E con quelle labbra schioccò un tenue “smack”.
Parlavamo tanto.
Quando uscivamo era sempre un chiacchierio continuo.
Io mi sentivo così a mio agio che anche i silenzi non mi mettevano in imbarazzo, mi mettevano tranquillità e sicurezza.
Lui forse era un po’ più gongolante ed emozionato dai sentimenti che provava per me e quindi se c’era silenzio si agitava, inizia a a dire anche cose sciocche. Aveva giustamente paura di non essere abbastanza per me perchè non aveva un mio feedback.
Non ricordo esattamente di cosa parlavamo.
Anzi, sono davvero pochi i discorsi che ricordo e le cose che abbiamo detto. Ma sicuramente erano tutte cose che pensavo all’epoca, tutte cose che mi passavano per la testa e che lui commentava sempre con il suo parere, spesso in accordo con me, a volte . Ma era sempre un dialogo come tra pensieri e dialoghi interiori di una stessa persona.
So solo che ricordo alla perfezione come mi faceva sentire: al sicuro.
Che qualsiasi cosa avessi detto lui mi avrebbe rispettata, avrebbe arricchito quello che pensavo con qualcosa in più, avrebbe giocato con me quando mi sentivo una bambina
Lui si sentiva un re, un principe quando stava con me. Era molto fiero. Si sentiva fortunato.
Me lo aveva anche detto una volta.
Un giorno gli espressi il mio disinteresse e lui smise di parlarmi. Iniziò ad avere comportamenti strani: a volte urlava dalla sua stanza e non si capiva perchè, sprattutto se sentiva parlare me dall’altra parte del muro. Quando quel giorno urlò più del solito, raggiunse un volume spaventoso, sembrava di essere in un film dell’orrore.
Poi
PUM PUM PUM.
Dal nulla
Credevo che il muro tra di noi sarebbe caduto a momenti.
Non cadde il muro. Ma il mio stupore per ciò che fece, oltrepassò ogni giudizio che avevo su di lui e iniziai a chiedermi “perchè? Perchè ti è successo questo?”
Come se non fosse lui a gridare, ma qualcos’altro che si era impossessato di lui.
Con mio conforto e allo stesso tempo dispiacere, insieme a me, uscirono dalla stanza anche tutti gli altri nostri coinquilini. Tutti molto preoccupati della situazione.
Tutti mi confortavano e mi dicevano che non era colpa mia se tutto quello mi era successo.Finalmente trovavo qualcuno con cui parlare di questi problemi, persone che con i loro commenti concretizzano paure che pensavo fossero solo mie.
Forse è bene che cominci a rivolgermi più spesso a loro ogni tanto. Ma presto li vedo tutti sparire come amici e tornare conoscenti. Tutti cambiano vita, Paese, lavoro e amici senza avviso.
Alice mi dava sempre consigli che erano in sintonia con come mi sentivo…prima della guarigione.
Capiva sempre quello che pensavo e… forse però si limitava a ripetere come mi sentivo e a prolungare ciò di cui credeva avessi bisogno. Ma anche con lei, a un certo punto tutto finì con la sua ultima promessa non mantenuta.
E quando anche l’ultimo amico, di quello che mi erano stati vicino in quel momento così strano tra me e Aayan, se ne andò, tornò lui… pronto per trasferirsi in Italia solo per me, pronto per invitarmi a una cena fuori, a dimenticare tutto e ricominciare da capo, abbracciarci, baciarci e discutere sul futuro. Pronto a tutto solo per me. Ma ancora una volta lo temei, temevo soprattutto il re-incontro chiarificatore.
Non sapevo più come interpretare tutto quello che mi stava accadendo nella mia vita sociale. Da quando avevo cominciato le superiori tutto era diventato sempre più un mondo dove nessuno ti vuole bene, dove nessuno ti vuole male, come diceva quel famoso cantante italiano che mia mamma mi faceva sempre ascoltare per farmi addormentare. La gente era sempre più gentile nei modi, ma sempre più falsa. Le cose sembravano migliorare solo da fuori. Era tutto così complicato e cercare di consolarmi con le frasette che mi capitavano scrollando su Instagram, sembrava cercare di ricostruire un puzzle con granelli di sabbia. Erano tutti sforzi che mi ricordavano le stesse angustie che vivevo appena cominciata l’adolescenza a pieno titolo, alle superiori.
Angustie che sparivano invece quando stavo con lui, quel ragazzo a cui si illuminavano gli occhi ogni volta che mi vedeva. Come se potessi essere di nuovo libera, libera di essere bella e al sicuro.
.