
Questa raccolta di racconti inizia con il silenzio pacifico del mattino, quel silenzio che conosce bene un genitore già sveglio, intento a preparare la colazione quando la casa sta ancora dormendo. Quel silenzio che solo la sveglia oserà disturbare. E quando lo farà, tutto sarà pronto per accogliere i bambini pronti per l’asilo, i ragazzi che cercano in casa l’ultimo libro da portare con sé all’università che non si fa trovare e che riduce il tempo per sedersi e mangiare qualcosa, che fa correre verso l’autobus che non li aspetterà. Quel silenzio che quando si rompe accoglie il plauso di una colazione preparata tenendo conto di tutte le preferenze, di una tavola apparecchiata che sappia strappare al sonno con delicatezza, malgrado tutto.
Il silenzio ha innumerevoli volti.
Scompone le memorie che è meglio non portare con sé ma non si possono dimenticare, e le tiene strette, almeno fino a che i colpi sulla porta non diventano troppo fragorosi.
Nasconde domande e mimetizza risposte che trovano una nuova voce in gesti della mano, espressioni del volto, movimenti dello sguardo.
Freme nell’agonia del parto e ritrova la sua dimensione nelle vite che si spengono e che lasciano dietro di sé una scia di smarrimento e attaccamento alla terra e al sangue e a tutto ciò a cui ci si può ancora aggrappare.
Conserva gelosamente segreti che si intrecciano alla nostra esistenza a filo doppio, diventando parte integrante dei sorrisi, del dolore, del mondo in cui ci spostiamo nel mondo.
“La casa si chiama “Il segreto”. I segreti tengono dentro la gente, proteggendola o rendendola prigioniera, pensa Belinda. Ogni casa potrebbe chiamarsi così. Passiamo dal segreto dei genitori a uno tutto nostro con la persona che scegliamo.”
E queste sono alcune delle sfumature in cui Alejandra Kamiya sceglie di scriverne, in racconti che penetrano nelle ossa anche nella più apparente delle semplicità. È difficile chiudere il libro e smettere di veder correre in campagna Belinda e Guillermina, smettere di sentire l’odore del pesce appena pescato, sentire alcune note di Liszt provenire dal balcone vicino.
“L’assenza di colori è una specie di silenzio.”
Ma il silenzio è anche uno spazio di scoperta. È tempo lasciato alla mente e il corpo per elaborare e comprendere cosa ci succede intorno.
Alejandra Kamiya si definisce “giapponese in Argentina e argentina in Giappone” (Soy japonesa en Argentina y argentina en Japón, así, con las minúsculas para mí y las mayúsculas para el país) e questa indefinitezza così come la ricchezza, sono parte dei suoi racconti, pur non essendo questi sempre autobiografici.
È il cammino di chi non poggia entrambi i piedi su un solo terreno, di chi cresce abbracciando differenze e potenzialità che alle volte sono in contrasto pur convivendo all’interno di una stessa famiglia, di una sola persona.
Si tratta probabilmente di uno dei punti di forza di questa raccolta che contiene spiragli di storie che strattonano e inquietano per poi tacere e offrirti una tazza di tè, che raccontano l’amarezza della solitudine e dell’abbandono, che si sia soldati, orfani o nei ricordi lontani di qualcuno.
Buona lettura.
Anche gli alberi caduti sono il bosco, di Alejandra Kamiya.
Argentina di nascita, da padre giapponese, ha pubblicato dal 2007 tre raccolte di racconti. La sua opera racchiude l’essenza delle due culture di cui fa parte e affronta le tematiche delle relazioni affettive, della vita quotidiana e della morte. Ha vinto il premio Konex nel 2024.
Tradotto in italiano da Serena Bianchi.