Salii correndo al terzo piano dell’edificio. Fuori il tramonto e un’aria fresca come il ricordo di un prato al mattino. Dall’appartamento provenivano dolci note di jazz. Ero salita fin lì richiamata dal suono della musica e dal colore pieno e soave delle luci emanate dal salone.
La decisione di salire fino al terzo piano la presi dopo che, passeggiando un po’ persa e assorta nei miei pensieri, vidi questo salone. Dalla piazza che stavo attraversando, in una città che era la mia, ma non poi così tanto, vidi questa finestra in una casa d’angolo. Era l’immagine più calda che sperimentavo da un bel po’ di tempo a quella parte.
Quelle luci sul rosso e l’arancio, la finestra aperta e le note jazz mi spinsero a tornare indietro sulla collina. Da una posizione più in alto della piazza potei vedere meglio l’interno di quell’abitazione. Intravidi uno specchio sul quale si rifletteva la luce del sole che stava tramontando. Di lì a poco la piazza e i passanti avrebbero smesso di godere del calore del sole.
Potei scorgere un divano grigio con una coperta arancione stropicciata che pendeva da un lato. Era come se qualcuno si fosse appena alzato per versarsi una tazza di tè e avesse lasciato scivolare la coperta verso il pavimento soffice e dalle note scure e avvolgenti. Dal basso si potevano vedere degli oggetti decorativi in ottone che pendevano dal soffitto. Alquanto bizzarro – pensai <<perché appendere delle statuette di ottone al soffitto?>>, eppure davano alla casa un tocco ancora più magico.
Mi guardai dintorno e mi resi conto di non essere l’unica che stava commentando quella casa. Iniziai a fantasticare su chi potesse abitarvi. Decisi di sedermi su una panchina, prendere il mio libro, cambiare la musica che avevo nelle cuffie, e spiare un po’ gli inquilini del palazzo del magico appartamento. Iniziai a giocare, provando a indovinare se avessi scorto entrare qualcuno diretto a quel terzo piano.
Più il tempo passava e più quella piazza, quell’atmosfera e quella casa, che ormai osservavo da un po’ iniziavano a diventarmi davvero familiari. Complice la dolcezza dei colori e delle note di musica che quella finestra emanava iniziai a pensare di avere la possibilità di andare a conoscere chiunque avesse creato quell’atmosfera così magnetica e piacevole.
Continuai per un po’ a osservare bene il portone verde in legno con delicati disegni ornamentali in ferro. Mi immaginai che lavoro avrei mai potuto fare se quella fosse stata la mia casa. Pensai a che musica avrei ascoltato e se veramente avessi preso la difficile e laboriosa decisione di appendere al soffitto delle statuette di ottone. Pensai che l’idea di appendere i soprammobili non era male, infatti non si poneva il problema di doverli spostare per spolverare gli scaffali.
Immersa in quell’atmosfera, nonostante si fossero accese le luci dei lampioni e potessi scorgere le persone del piano terra che preparavano la cena, non mi stancavo di rimanere in quella piazza a osservare quell’appartamento al terzo piano.
Decisi di avvicinarmi al portone per fumare una sigaretta e, non appena qualche inquilino fosse entrato o uscito, avrei finto di star visitando qualcuno per poter entrare nell’edificio. Ad un certo punto, fu una signora, che vedendomi di fianco al portone, mi chiese se dovessi entrare. A tale domanda, facendo un gran sorriso le risposi che in effetti avevo già contattato il mio amico al terzo piano e che attendevo solo che mi aprisse.
Mentre la gentile signora, ignara delle mie bugie, mi teneva la porta per farmi entrare, mi feci spazio per accedere all’ingresso. Immediatamente dietro al portone, vi era uno spazio ben tenuto con tre gradini rivestiti da moquette rossa. Dopo gli scalini c’era un pianerottolo dal quale si accedeva ad un appartamento al piano terra e una porta a vetri che affacciava su un giardino che non ebbi il tempo di visitare, essendo ancora accompagnata dalla signora, che mi disse di abitare al primo piano.
Salii lungo le strette scale, con ripidi scalini rivestiti da una moquette verde parecchio rovinata. Le scale elicoidali, che spesso avevo visto negli stabili storici della città, anche in questo caso risultavano scomode, ma funzionali, dato lo scarso spazio a disposizione.
Salii rapidamente le scale, come se sapessi dove dirigermi e soprattutto come se qualcuno mi stesse aspettando. Mentre salivo, misi in pausa la musica e riposi le cuffiette in borsa. Non ebbi il tempo e, indaffarata a non inciampare sulle scale, neanche mi venne alla mente il pensiero di cosa avrei fatto una volta arrivata al terzo piano. Mi dissi che per una volta avrei improvvisato. Arrivai davanti all’appartamento, mi specchiai un attimo per darmi un po’ di forza e senza pensarci troppo bussai tre volte.