La canottiera gialla non mi piaceva più. La tiravo da un lato e ne spuntava una, la allungavo verso il basso e si vedeva l’altra. Avevano la forma a punta, erano piccole e sottili. Mia madre diceva che erano troppo minute per mettere il reggiseno. Così, con le magliette sbagliate, si notava un piccolo promontorio a forma di cono che cresceva sotto il tessuto. Odiavo quelle tette, o come le chiamava mia zia Fifa, le minnule.

Zia Fifa era una donna che si faceva notare. Il giorno in cui mi parlò delle minnule per la prima volta ero andata a darle una fetta di torta. Mia madre mi aveva detto di indossare proprio la canottiera gialla, quella nuova, la sua preferita.

“Ma mi sta male, mamma.”

“Metti quella e basta.” Non provai a ribattere, quello che diceva mia madre era legge.

Suonai il campanello e me la ritrovai di fronte come se già stesse aspettando qualcuno. L’odore nauseabondo di profumo di fiori di arancio mi fece subito starnutire.

“Sono venuta a portarti la fetta di torta che mi ha dato la mamma.”

Guardò il piatto con la carta stagnola come si guarda un volantino delle pubblicità.

“Vieni dentro che ho le unghie con lo smalto fresco.”

Le unghie color verde acqua facevano a cazzotti con il vestito a pois lungo fino alle ginocchia e le pantofole pelose. Camminava muovendo la coda a destra e a sinistra, con i riccioli rossi che le ricadevano sulle spalle a ritmo di musica. In effetti in casa c’era un gran rumore. Dovevano essere le Supremes oppure qualche altro gruppo anni 50’.

“So, you can’t hurry love. Mia cara, quanto hanno ragione queste qui.”

Aveva iniziato a canticchiare il ritornello mentre mi faceva gironzolare per casa, tra le poltrone piene di borse e gli specchi dalle cornici discutibili. Si voltò specchiandosi davanti a uno a forma di cuore con le borchie e fece un enorme sorriso. Poi baciò il vetro lasciando l’impronta rosso fuoco delle labbra.

“Oggi sono proprio felice, mia cara.”

Avevo ancora la torta in mano e camminavo tentennando, seguendola in un labirinto di tappeti persiani, cuscini vintage e bambole di porcellana.

“Cos’è che mi dovevi lasciare?”

Guardai il piatto.

“Ah, sì. La torta. Mettila qui.”

La poggiai su un tavolino basso ricoperto dalle riviste di spettacolo e moda.

“Da quanto tempo che non ci si vede, dolcezza. Sei cresciuta un sacco!”

Iniziò a fissarmi la maglietta, sulla scollatura.

“Una signorina, proprio una signorina.”

Iniziai ad arrossire e a sentirmi nel posto sbagliato. Lei se ne accorse subito, perché cominciai a guardarmi intorno per cercare l’uscita di emergenza.

“Vieni, siediti, cuore bello. Ti offro dei cioccolatini.”

“No, grazie zia. Torno a casa, mamma aveva detto di fare veloce.”

“La solita guasta feste! Rimani qui, prendiamoci un bel tè con i cioccolatini e parliamo un po’.”

Mi fece sedere su una di quelle poltrone ricoperte di borse e vestiti e io mi appoggiai sulla punta, l’unico spazio libero. Lei si allontanò qualche istante, lasciandomi sola a osservare quel posto strano e pazzo. Le pareti erano tappezzate di carte da parati sovrapposte con fantasie diverse e da fotografie, poster e istantanee. Tutte avevano come soggetto una bellissima donna alta e formosa, che sfoggiava sempre un abito diverso. In ogni foto posava davanti un palco di quelli che si vedono nei film. Tendone rosso, luci colorate, piume e coriandoli sparsi per il palco. Portava dei tacchi vertiginosi e delle calze trasparenti. Sotto a ogni foto, la scritta “LA SUPREMA”.

“Cosa stai guardando, cara?”

Mentre teneva in mano una scatola di latta rossa strabordante di cioccolatini, mi strizzò l’occhio e mi sorrise, come se avessi scoperto il suo inconfessabile segreto.

“Quelle foto sono molto belle!”

“Grazie zuccherino! Erano altri tempi, purtroppo.”

Fu lei a parlare. Io a quel punto la ascoltai in silenzio, con la bocca che sapeva di cioccolato al latte.

“Ballerina di burlesque, facevo questo nel tempo libero. Era iniziato tutto come un gioco. Sai, quelle volte in cui ti annoia la routine e hai bisogno di cambiare strada, dare un pizzico di brio. Un po’ di fascinoso charme.”

Lo disse allungando l’ultima sillaba, per dare enfasi a quella parola francofona a cui pareva tenesse molto.

“L’ho fatto per me, mi faceva sentire bene.”

Mi guardava con lo sguardo eccitato.

“Me ne hanno sempre dette alle spalle, eh. Troppo esuberante, troppo aggressiva. Eccessiva, abbondante. Vuole solo farsi notare, è schetta, senza marito. Pensa se avesse un uomo, starebbe a casa a fare la casalinga.”

Fece una pausa breve, riprendendo fiato. Sembrava non parlasse così da tanto tempo.

“Me lo dicevano tutti, se vuoi saperlo. Anche in famiglia. Io però me ne sono sempre fregata. E a dirti la verità, mi sento maledettamente bene, cara”, disse accavallando le gambe a tempo di musica.

“Il mio corpo adesso mi ringrazia!”

A quel punto riuscii a interromperla per un attimo.

“Perché?” Aveva le labbra sporche di cioccolato che si mescolava con il rossetto rosso fiammante.

“Perché l’ho amato. L’ho esibito, l’ho coccolato. Ho adorato le mie curve e le ho abbellite con i migliori vestiti in circolazione!”

“E la mia parte preferita sono le minne, mia cara. Le tue sono piccoline, delle minnuledde ancora.”

Cominciò a ridere e a dondolarsi sulla sedia.

Le sentii rimpicciolirsi ancora di più. Mi tirai su l’orlo della scollatura e le guardai di sfuggita, per non fare notare l’imbarazzo.

“Io le mie le ho sempre chiamate minnule perché mi ricordano la forma delle mandorle. Un po’ a punta e allungate. E se hai preso da me le avrai anche tu così!”

Ricominciò a ridere.

“Un altro cioccolatino, zuccherino?”

“Ora devo proprio andare, zia.”

“Ma ci sei rimasta male? Non ti devi vergognare delle tue minnule. Sono così belle. Sei ancora piccolina, ma vedrai che un giorno te ne vanterai.”

La radio adesso passava Diana Ross e zia Fifa aveva ricominciato a ballare sulle note di una “I’m coming out” a volume altissimo. Mi prese per un braccio e mi fece girare attorno al tavolo del tè, in un vortice sempre più veloce. Mostrava i denti bianchissimi e cantava, guardava il tetto come si ammira il cielo d’estate pieno di stelle e poi tornava a sorridermi. Sentii il suo profumo in quel turbinio di melodie di altri tempi e di pois. Mi immaginai sul palco, per un attimo, con le sciarpe di piume attorno al collo e le gonne plissettate, piene di brillantini e lustrini. Eravamo insieme sulla scena, senza freni.

La musica poi si fermò, Diana Ross smise di cantare e anche zia Fifa di ballare.

“Ah, quanto mi sono divertita, mia cara! Non ballavo così dai tempi dell’università!”

Ripresi fiato. Quel ballo aveva fatto stancare anche me. Avevo investito la stessa energia che avrei impiegato per una lunga corsa e la sensazione al traguardo era la stessa: il cuore che batte all’impazzata e un magico sollievo.

“Ti sei divertita anche tu, vedo!”

Mi guardai la maglietta. Lo scollo si era decisamente abbassato e si intravedeva la linea fra le due minnule, quella che tanto odiavo mostrare e guardare.

“Torna a casa, adesso. La mamma starà pensando che ti ho rapita.”

Iniziò a dirigersi verso l’uscita, poi però si fermo.

“Ah, aspetta. Prendo una cosa.”

Mi lasciò di nuovo sola per qualche istante, poi tornò con un cofanetto in mano.

“Apri.”

Aprii quella piccola scatola luccicante e trovai dentro un fermaglio a forma di libellula.

“Questa l’ho indossata per il mio primo spettacolo, me l’ha regalata una vecchia amica. Diceva che sta a simboleggiare il cambiamento, il nuovo. Sarà, ma io da quel giorno non l’ho più tolta. Adesso è tua.”

“Ma zia, non dev…”

“Certo. Attaccala a questa maglietta, così ti ricorderai della volta in cui una matta ti ha fatto ballare e le tue minnule ballavano con te!”

Rise con quella risata rumorosa, che riempiva ogni angolo della casa. Me la attaccò lei, sull’orlo sinistro della maglia.

“Vicino al cuore e sopra la minnuledda!”

Poi aprì la porta e mi diede un bacio sulla fronte.

“Ringrazia la mamma della torta. E rassicurala: abbiamo solo fatto due chiacchiere.”

Mi strizzò l’occhio e richiuse la porta, spostando il dolce profumo di fiori di arancio.

Nel tragitto verso casa provai uno misterioso senso di pace. Avevo il suo profumo tra i capelli e quella canzone nelle orecchie. Non volevo che tutto si dileguasse, volevo tenerlo per sempre, fermare quel momento nel tempo. Guardai la spilla e mi sentii leggera. Lieve muovevo i miei passi verso casa, portando a spasso il mio corpo con delicatezza e convinzione.

Se una libellula avesse due minnule sarebbe come me: fiera e libera.

Sara Noto Millefiori

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