“«Voi con queste gonnelline mi provocate». Un formatore della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia si rivolgeva così alle sue alunne durante le lezioni.”
“Moira ci ha raccontato di avere contattato un formatore per ricevere consigli professionali, ma lui invece ha iniziato a chiederle dettagli sulla sua vita sentimentale, a raccontarle le sue esperienze sessuali e a videochiamarla a qualsiasi ora.”
“Un’altra alunna di Urbino, Benedetta, ci ha riferito di essere stata molestata durante uno stage da due caposervizio (…) hanno iniziato a mandarle messaggi prima per aiutarla con dei pezzi, poi per invitarla a uscire, scrivendole anche molto tardi la sera. Inizialmente, Benedetta ha risposto ai loro messaggi: «Non mi sentivo nella posizione di non rispondere, erano comunque dei capi». Aveva paura di incontrarli di persona, perché non sapeva che cosa sarebbe potuto accadere.”
Queste sono solo alcune delle tante testimonianze di studentesse di giornalismo raccolte dal collettivo Espulse – La stampa è dei maschi, in otto mesi di indagine, per denunciare le molestie contro le giornaliste nel settore della stampa. Si tratta di un fenomeno diffuso e radicato che trova, nel mondo del giornalismo, terreno fertile per attecchire. Difatti, è qui che i luoghi di formazione e crescita professionale, presidiati da uomini, diventano spazi in cui giovani donne sono esposte a molestie, ricatti e allusioni da parte di colleghi o superiori uomini. Ed è sempre qui che il fenomeno viene normalizzato, etichettato come goliardia o come «normale amministrazione» da parte di chi ci è passato – probabilmente dalla parte di chi queste molestie le ha agite.
Proprio questo tema sarà il focus dell’incontro Come attraversiamo gli spazi? Corpi che rac(contano), domani, 24 agosto alle 19.30, presso la Sala Conferenze del Complesso Monumentale di S. Giovanni, in occasione del Festival MAC Fest, a Cava de’ Tirreni (SA) per una tavola rotonda che coinvolgerà Espulse e la giornalista Camilla Valerio, esperta di Studi di Genere e sport.
Espulse. La stampa è dei maschi.
Espulse – La stampa è dei maschi è un collettivo di giornaliste, scrittrici, fotografe, videomaker e attiviste, nato nel 2023, che indaga il problema delle molestie sessuali e degli abusi di potere nel mondo del giornalismo italiano. Molestie, ricatti, abusi e discriminazioni in questo settore rappresentano ancora un tabù persistente, le cui conseguenze si possono osservare tanto a livello individuale che collettivo. Difatti, un tale ambiente di lavoro ha un impatto sulle singole giornaliste, tanto per la loro carriera quanto per la loro vita personale. Invece, a livello collettivo preserva uno status quo di rapporti di potere ancora difficili da scardinare. E che, ancora, vedono gli uomini nelle posizioni apicali. Questo fenomeno non può quindi non essere guardato da un duplice punto di vista, per affrontare entrambi gli effetti: come ennesima manifestazione della violenza maschile contro le donne e come ostacolo per il pieno esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di stampa.
L’inchiesta «Voi con queste gonnelline mi provocate»
La prima inchiesta pubblicata da Espulse nel 2024, «Voi con queste gonnelline mi provocate», è stata realizzata con IrpiMedia, acronimo per Investigative Reporting Project Italy, primo centro di giornalismo investigativo non profit in Italia, fondato nel 2012.
La ricerca ha raccolto 239 testimonianze anonime di molestie sessuali e abusi di potere subite da studentesse e studenti in dieci master riconosciuti dall’Ordine dei giornalisti che danno accesso all’esame di stato per praticare la professione. Nell’inchiesta, circa un terzo delle persone intervistate avrebbe riportato di aver subito discriminazioni, molestie verbali e sessuali in classe e negli stage svolti presso le testate. Inoltre, metà delle persone che hanno parlato con Espulse ha riferito di aver assistito o di essere a conoscenza di molestie sessuali e verbali, tentate violenze sessuali, atti persecutori, stalking, ricatti e discriminazioni di genere. E, infine, nessuna persona interpellata ha sporto denuncia.
L’inchiesta, svolta seguendo un’etica e una metodologia femminista, non si è fermata alla sola raccolta dei dati: il lavoro è stato portato anche di fronte alle stesse scuole, agli Ordini regionali e all’Ordine nazionale, l’ente pubblico che in Italia regola la professione giornalistica, tenendo l’albo e svolgendo, tra le altre, anche funzioni di vigilanza. Questi si sono impegnati per migliorare la situazione delle studentesse e degli studenti ma, come spesso accade per i fenomeni al potere e al rapporto tra i generi, la strada è tutta in salita.
Corpi che raccontano
Molestie sessuali, ricatti e abusi di potere non sono un fenomeno recente o sconosciuto, eppure mancano ancora ricerche che se ne occupino. Solo un‘altra indagine, stavolta a opera della FNSI, Federazione Nazionale Stampa Italiana, insieme a Casagit, INpgi, Usigrai, Ordine dei giornalisti, Agcom e con la consulenza della statistica Linda Laura Sabbadini, pubblicata nel 2019, ha riportato che circa l’85% delle giornaliste intervistate, su un totale di 1132 professioniste, ha subito molestie sessuali almeno una volta nel corso della sua vita professionale. Le forme più comuni di molestia includono commenti a sfondo sessuale, “avances” indesiderate, ricatti, minacce fino a tentativi di violenza e diffusione di contenuti intimi. In 3 casi su 4, gli abusi avvengono in redazione, mentre il 20% dei ricatti sessuali si verifica durante la ricerca di lavoro. Similmente a quello che ha riportato Espulse, anche da questa indagine emerge che solo il 2% delle vittime ha sporto denuncia.
Questo fenomeno non può essere letto meramente come una serie di comportamenti individuali inadeguati o sconvenienti o, peggio, giustificati come normale “spirito da redazione” : è, piuttosto, il riflesso di una cultura professionale e sociale ancora fortemente a stampo patriarcale, dove la disparità di potere tra uomini e donne viene mantenuta anche attraverso la sessualizzazione e l’umiliazione delle professioniste che vi lavorano. Le vittime scelgono poi il silenzio, rispetto alla denuncia, per timore di ritorsioni, per mancanza di fiducia nelle istituzioni o per l’assenza di un reale sostegno da parte delle strutture preposte, come si legge anche nell’indagine di Espulse. Ma non solo: in un ambiente dominato da una forte presenza maschile, pesa anche il rischio di rimanere isolate o essere etichettate come isteriche o esagerate.
Che genere di rappresentazioni
Ma le radici di questo fenomeno affondano nel terreno ancora più in profondità. Difatti, coinvolge anche il modo in cui i media raccontano le questioni di genere, spesso in modo distorto, parziale o superficiale — soprattutto quando si tratta di violenza maschile contro le donne.
Diverse ricerche in ambito sociologico, come il report ORA, realizzato dall’Università di Torino, o le ricerche raccolte nel volume «L’amore non uccide», curato dalla Professoressa dell’Università di Bologna Pina Lalli, confermano che, nel mondo giornalistico, abbondano narrazioni altamente discriminatorie e invisibilizzanti, che non restituiscono un’immagine veriteria del fenomeno. Infatti, le rappresentazioni giornalistiche spingono verso l’empatia nei confronti dei carnefici, verso la colpevolizzazione secondaria nei confronti delle vittime e verso la spettacolarizzazione dei dettagli considerati più notiziabili e appetibili.
Ed è così che, a dispetto delle carte deontologiche e del Manifesto di Venezia sul rispetto e la parità di genere, sui giornali si racconta di giganti buoni, di femminicidi che cucinano i biscotti o di vulcani di idee che vengono malauguratamente spenti per colpa di una denuncia per violenza sessuale. Non solo: a questo quadro già ampiamente preoccupante si aggiunge l’uso scorretto del linguaggio, con titoli professionali declinati al maschile anche quando riferiti a donne, contribuendo a rafforzare stereotipi e invisibilizzare le figure femminili nei diversi ambiti della società.
Un settore precario
Ma non è solo una questione di genere. Difatti, non bisogna dimenticare anche che si sta parlando di un settore altamente precario, che risente forse più di altri delle condizioni politiche ed economiche globali e locali.
Sebbene vi siano molte più donne giornaliste rispetto al passato, le posizioni apicali – direzioni di testate, ruoli di comando, visibilità nei media – restano in larga parte occupate da uomini. È una dinamica che riflette non solo un retaggio culturale patriarcale, ma anche un sistema professionale ancora costruito su logiche escludenti e verticali.
Con questa problematica, si interseca il tema della precarietà, che nel settore giornalistico ha raggiunto livelli cronici. Percorsi per accedere alla professione altamente costosi, contratti atipici e collaborazioni malpagate, sono all’ordine del giorno, aggiungendo, oltre alle disuguaglianze di genere, anche disuguaglianze basate sulla condizione economica. E se anche questi sono fattori che colpiscono l’intera categoria, gravano in modo particolare sulle donne. Difatti, le giornaliste spesso si trovano a lavorare in condizioni instabili e con minori possibilità di crescita professionale, che hanno poi conseguenze anche sulla vita personale. La combinazione tra precarietà e disparità di genere crea un terreno fertile per abusi, pressioni indebite, e discriminazioni – ancora una volta, è bene ribadirlo, agite da uomini nei confronti delle donne.
Quello del giornalismo, quindi, è un mondo che non è solo in netto ritardo sul piano dell’uguaglianza di genere, ma che è anche costruito su fragilità strutturali che rendono difficile per molte donne avviare una carriera solida, libera e rispettata.
Che genere di libertà?
Un settore affetto da precarietà, un settore costruito su dinamiche di discriminazioni e disuguaglianze di genere. Tutto questo succede in uno Stato che, nel 2024, è retrocesso dal 41° al 46° posto 2024 del World Press Freedom Index di Reporter Senza Frontiere per quanto riguarda la libertà di stampa in tutto il mondo.
La Costituzione italiana riserva alla libertà di stampa una attenzione molto particolare, se paragonata ad altri media o forme di comunicazione sociali. Difatti, nell’articolo 21, fa espressamente divieto di autorizzazioni o censure. E la ragione ha sicuramente una natura retrospettiva: evitare quelle forme di controllo autoritario che nel ventennio fascista repressero totalmente questa libertà. La fondamentale importanza della libertà di stampa viene spesso accomunata a quella della stessa libertà di manifestazione del pensiero. Questo perchè non possono essere viste come un semplice e naturale frutto dello Stato democratico. Al contrario, sono queste libertà che ne assicurano il funzionamento. Eppure, l’arretramento dell’Italia nel World Press Freedom Index è una fotografia impressionante che non può essere ignorata. Non solo segnala una crescente pressione sulla libertà di espressione, ma anche un deterioramento delle condizioni in cui operano lə giornalistə.
Giornaliste e libertà di stampa
In questo contesto, la condizione specifica delle giornaliste – soprattutto giovani, precarie e spesso isolate – diventa un indicatore chiave dello stato di salute dell’informazione nel nostro Paese. Le molestie, il sessismo, le discriminazioni strutturali non sono episodi marginali né eccezioni. Piuttosto, sono il sintomo di un sistema editoriale che troppo spesso tollera, minimizza o silenzia questi abusi sui corpi delle giornaliste, contribuendo a perpetuarli. Come si assicura la libertà di manifestazione del pensiero tra molestie e aggressioni? Tra invisibilizzazioni e marginalizzazioni?
Parlare di libertà di stampa significa interrogarsi su chi ha davvero voce all’interno del panorama mediatico, su come viene raccontata la realtà che ci circonda e ciò che riguarda le donne, e su quali barriere impediscono una reale parità di accesso, rappresentazione e sicurezza nel fare informazione. Perché senza una stampa libera anche dalle disuguaglianze di genere, la democrazia non può essere realmente considerata tale.
Di questo e molto altro ne parleremo durante l’evento Come attraversiamo gli spazi? Corpi che rac(contano), domani, 24 Agosto alle 19.30 presso la Sala Conferenze del Complesso Monumentale di S. Giovanni, a Cava de’ Tirreni (SA), organizzato dal MAC Fest, con Espulse e Camilla Valerio, giornalista esperta in studi di genere e sport.