Marie Laure De Decker

La fotografia è la mia vita, la mia voce, la mia memoria.

Nulla mi ispira più di scoprire una nuova artista che amo. Oggi è il momento di parlarvi di Marie Laure De Decker, fotografa francese nata nel 1947 e deceduta un paio di anni fa. Non l’avrei mai scoperta se un’amica non mi avesse parlato di lei e di una sua mostra, che mi sono catapultata a vedere. 

Nata in Algeria, De Decker avrebbe potuto fare una vita diversa, se lo avesse voluto, poiché la sua famiglia era molto abbiente e ad appena 18 anni le viene proposto un lavoro come modella. Capisce ben presto che non è la sua strada e sceglie di dedicarsi alla fotografia. Ad appena 23 anni, parte per il Vietnam come fotogiornalista, diventando una delle pochissime donne a scegliere questa vita, in un ambito dominato dagli uomini.

Marie Laure de Decker fa una scelta consapevole, seppure difficile. Ribelle e femminista, sceglie una vita scomoda, che richiede coraggio, a contatto con alcune delle realtà più violente di quegli anni. Lo fa sapendo a cosa va incontro, sapendo che si tratta di uno stile di vita che richiede spirito di attatamento e di sopravvivenza, fatta di rischi e rinunce. Si trattava della sua vocazione, per questa ragione la fotoreporter sceglie di ascoltarla.

C’è la tendenza a definire Marie Laure De Decker come una fotografa di guerra, ma è molto di più. Se è vero che ha trascorso gran parte della sua vita a fotografare zone di conflitto, sarebbe riduttivo non considerare il suo lavoro come molto più ampio. 

Tra i suoi reportage più significativi troviamo quelli che rappresentano la guerra in Vietnam, l’apartheid in Sudafrica, i campi di profughi palestinesi in Giordania e la lotta anticoloniale in Chad. De Decker ritiene che le cose più piccole, i dettagli più trascurabili e insignificanti, raccontino molto di più che immagini esplosive e violente. L’artista ama immortalare le persone nella loro vita quotidiana, i loro sguardi, i loro gesti. Lo fa anche in zone dove la pace è ormai un ricordo lontano, per ricordarci che l’umanità esiste, da qualche parte, anche tra le armi, le bombe e i cadaveri.

Non so se De Decker si sia mai definita come un’attivista, ma a me piace pensarla in questo modo. Non a caso, il suo interesse per le questioni sociali è stato ciò che ha dato il via alla sua carriera. Questa brillante fotoreporter è sempre stata interessata ai conflitti del suo tempo, a capirli, immortalarli e diffonderli. Che si parli di lotte femministe per il diritto all’aborto, proteste di giovani studenti o rivolte contro la dittatura, la fotografa è sempre in prima linea. Lei si trova con queste persone per strada a protestare, innazitutto, e allo stesso tempo le fotografa. Per anni, De Decker ha girato il mondo immortalando persone che, tramite i loro corpi e le loro voci, sono scese per strada a lottare contro le ingiustizie del loro tempo.

Un’altra serie che ho trovato particolarmente evocativa e intima è quella dei suoi autoritratti. Durante tutta la sua vita, De Decker ha sempre scattato fotografie di lei stessa allo specchio, con le sue macchine fotografiche. Le considero molto belle perché vere, sincere, umane, come del resto ogni sua foto. I suoi autoritratti sono estremamente intimi e sinceri. L’artista immortala il suo corpo e il suo volto che cambiano negli anni, senza vergogna esenza giudizio.

Mi piace pensare a questi ritratti come un ricordo che De Decker vuole avere di sè stessa. Questo non è poi cosi diverso rispetto a cio che facciamo oggigiorno sui social network. Trovo molto poetico che tutte le fotografie che scatta di sé stessa siano sempre di fronte allo specchio. La sua macchina fotografica – che cambia, nel corso degli anni – è l’altra protagonista di questi scatti, quasi una parte di lei.

De Decker, durante la sua carriera, ha lavorato molto con figure di spicco nel mondo della cultura, dello spettacolo e della politica. Specialmente nell’ultima parte della sua vita, De Decker decide di dare un taglio diverso al suo lavoro e di fotografare personaggi di spicco. Tra i suoi ritratti, troviamo il regista Federico Fellini, Marcel Duchamp, l’artista Federico Fellini, il presidente francese François Mitterrand e Nelson Mandela.

Ciò che Marie Laure De Decker ha fotografato è soprattutto l’essenza dell’essere umano. A mio avviso, ciò che distingue le sue fotografie e ciò che traspare è il fatto che non ha mai voluto fare quella che viene definita pornografia del dolore. Nonostante lei stessa dica di aver assistito a scene disumane, violente e strazianti, non ha mai voluto immortalare scene di questo tipo. Ha sicuramente catturato il dolore, che traspare in molti suoi scatti, ma non abusando mai di esso.

La dignità umana è al centro di ogni sua immagine, così come l’integrità di ogni uomo, donna o bambino che si è trovato di fronte al suo obiettivo. De Decker, tramite le sue foto, dimostra che la vita, seppure nella miseria e nel dolore, continua. Questa è la forza delle sue fotografie e il messaggio che, secondo me, ha voluto trasmettere.

Immagine di Elisa Manfrin

Elisa Manfrin

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