Attualità

Maschile e femminile: esistono davvero come categorie?

Le differenze tra maschi e femmine dal punto di vista biologico e anatomico esistono e sono accertate dalla scienza. É necessario comprenderle e riconoscerle e sarebbe pericoloso non farlo. Infatti, i corpi maschili e quelli femminili funzionano indiscutibilmente in maniera diversa, soprattutto per il ruolo giocato dagli ormoni. Ne parla Antonella Viola nel suo libro Il sesso è (quasi) tutto, in cui dice, ad esempio, che le donne hanno possibilità più alte di sviluppare il morbo di Alzheimer e che le loro ossa si consumano più rapidamente, mentre gli uomini hanno possiblità maggiori di sviluppare il morbo di Parkinson e sono più soggetti alle infezioni. Queste diversià vanno considerate per curare le malattie in maniera adeguata e vanno tenute in considerazione durante le sperimentazioni cliniche dei farmaci.

Tuttavia, studi recenti rivelano che, contrariamente a quanto si pensa, il cervello umano non abbia caratteristiche propriamente maschili o femminili. Piuttosto, la maggior parte dei cervelli è formata da un mosaico di caratteristiche uniche. Alcune di queste sono più comuni nelle donne, mentre altre sono più comuni negli uomini, ma sono sempre condivise, almeno entro una certa misura. A tal proposito, la scienza ha a lungo ignorato le differenze legate al sesso, che invece sono state strumentalizzate ed esasperate dalla società. Ciò significa che se uomini e donne si esprimono, si comportano, reagiscono e agiscono in maniera diversa, questo non dipende da differenze nella struttura cerebrale, ma da sovrastrutture sociali e culturali. Le nozioni stesse di mascolinità e femminilità che, oltre a dettagli anatomici, includono discorsi, pensieri e comportamenti, sono quindi limitate e, per certi versi, controverse.

Se abbiamo sempre avuto una visione binaria di mascolinità e femminilità non dobbiamo farcene una colpa. Non siamo persone limitate o cattive, semplicemente il binarismo di genere impregna ogni aspetto della nostra società e ha origini antichissime, seppur nella storia abbia assunto varie forme. Già Aristotele aveva effettuato delle liste di termini che considerava opposti. Secondo lui “uno”, “maschio”, “luce” e “bene” erano il contrario di “pluralità”, “femmina”, “buio” e “male”. Un altro esempio interessante è quello del principio taoista dello yin e dello yang. Esso è nato attorno al V secolo a.C. in Cina, si basa sulla dualità del cosmo ed è considerato il principio cardine su cui è fondato l’intero universo. Secondo il taoismo l’universo è basato su categorie come “caldo-freddo”, “riposo-movimento”, “alto-basso” e “maschile-femminile”. Questi termini, sebbene siano opposti, sono anche complementari e tra di essi non esistono ostilità o tensioni.

I modi in cui può essere considerata la relazione tra maschile e femminile sono dunque numerosi, ma di fatto si basano tutti sul presupposto che il genere sia binario. E questa visione binaria è problematica. Innanzitutto, non tiene in considerazione il fatto che non esistano solamente due generi. Esiste piuttosto una molteplicità di generi che intersecano il binarismo, che lo superano e lo mettono in discussione. Esistono ad esempio persone non binary, ma anche persone intersex. Queste ultime, infatti, sono persone nate con variazioni delle caratteristiche sessuali che possono riguardare gli ormoni, i cromosomi, i genitali o gli organi riproduttivi.

Oltre a ciò, siccome il genere è un costrutto culturale e sociale, ciò che è visto come femminile o maschile da una determinata cultura, potrebbe non essere considerato allo stesso modo da un’altra. Ad esempio, diversi gruppi etnici hanno sfidato o sfidano il binarismo di genere, riconoscendo e accettando altri generi. I nativi americani offrono esempi interessanti in questo senso. I Berdaches della società navajos, pur essendo anatomicamente uomini, venivano visti come appartenenti a un terzo genere e sposavano altri uomini. L’idea che la dicotomia sessuale costituisca un immutabile dato biologico non è necessariamente condivisa da tutte le società, o perlomeno non allo stesso modo.

Muriel Dimen (1941-), studiosa e professoressa di psicologia, sostiene per esempio che mascolinità e femminilità siano entità discontinue e disomogenee, determinate culturalmente e che la percezione di esse dipenda dal luogo e dal periodo storico. Lei dice che:

Come femministe, una volta chi chiedevamo “Che cos’è il genere?”. Ora, ci chiediamo: “Esiste il genere?”. Queste domande, una moderna e l’altra post moderna, indicano il percorso del concetto di genere: dal dualismo alla molteplicità. Il concetto di genere, che è venuto alla ribalta sulla base della contrapposizione tra mascolinità e femminilità, si è ora trasformato fino a comprendere una vasta gamma di possibilità.

Un altro esempio indicativo riguardo a ciò ci viene fornito dal medico tedesco Manus Hirschfeld (1868-1935), che fu uno dei primi scienziati ad occuparsi di sessualità. Lui, infatti, all’inizio del XX secolo intervistò diverse centinaia di persone per studiarne le fantasie sessuali. Hirschfeld scoprì che la linea di demarcazione tra maschio e femmina, così come quella tra eterosessualità e omosessualità, era sfocata. Arrivo addirittura alla conclusione che esistesse un numero pressoché infinito di combinazioni possibili di generi e orientamenti sessuali, sostenendo che:

In ogni persona c’è una diversa miscela di sostanze maschili e femminili. Così come è impossibile trovare due foglie identiche su un albero, è molto improbabile che troveremo due esseri umani le cui caratteristiche maschili e femmibili combaciano perfettamente in genere e numero.

In queste parole si nasconde un mondo, poiché la mutevolezza di ciò che definiamo maschile e di ciò che definiamo femminile vienne a galla. Il genere, infatti, con tutte le sue categorizzazioni e sovrastrutture, è determinato culturalmente e non biologicamente. Il binarismo di genere è dunque una trappola, così come tutti gli stereotipi che esso racchiude. Mascolinità e femminilità sono due entità sovrapponibili e, concedetemelo, talvolta addirittura inutili, se si considera quanto fragili siano i presupposti su cui si basano. In conclusione, la visione secondo la quale maschi e femmine siano distinti in forma e sostanza, potenza e atto, attitudini e ruoli, non è attinente alla realtà. Prenderne atto consente di vivere più liberamente, giocando col nostro genere e abbracciando tutti i lati “maschili” e “femminili” di noi.

Elisa Manfrin

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