Quello che Lidia Poët dice solo in parte di Cesare Lombroso

Spoiler allert terza puntata della seconda stagione de La legge di Lidia Poët

Chi sta seguendo in questo momento la nuova stagione della serie La legge di Lidia Poët su Netflix, avrà presente un personaggio che compare nel terzo episodio, il medico legale che sembra aiutare Lidia e il suo compagno Jacopo nella risoluzione del caso attraverso l’autopsia del corpo della vittima. Dalla conversazione che Lidia ha con lui prima dell’esame del cadavere si percepisce una velata ostilità della protagonista verso alcune teorie del medico, che però (purtroppo) non viene approfondita.

Gli intenti della serie infatti sono altri. Bisogna andare avanti a ritmo incalzante con i casi, intessere la trama di ricerche, sospettati, indagini e indizi. Il tutto corredato dalle rivendicazioni femministe della protagonista che mischia alle indagini intenti volti a garantire parità, uguaglianza, dritto di voto alle donne. Tutto bellissimo e necessario, se pensiamo che la vera Lidia Poët, prima avvocata dell’Italia unita (prima di lei in realtà ce n’erano state altre, se pensiamo ad esempio a Giustina Rocca) è stata comunque una figura importante e attiva nelle battaglie portate avanti dal femminismo di prima ondata di quegli anni e che la serie tende sì a portare in scena, ma spesso in maniera troppo caricaturale.

A mio avviso è un’occasione mancata che la terza puntata ci mostri Cesare Lombroso e faccia trapelare una potenziale ostilità di Lidia Poët nei suoi confronti senza approfondire il personaggio o spiegarne le ragioni. Lidia dice solo: ” Lei ha una mentalità troppo aperta per credere a un rapporto così deterministico tra certi parametri fisici e la criminalità” per poi accettare il suo aiuto. Peccato. Probabilmente questione di scelte narrative e di focus, ma per una serie che non si preoccupa di essere storicamente troppo accurata e che anzi tratta questioni del tempo spesso con un taglio più contemporaneo, sarebbe stato calzante mettere in discussione Lombroso con più incisività.

Per questo mi piacerebbe provare a parlare qui di chi era Cesare Lombroso. In particolar modo delle sue teorie sulla razza, sulle donne e sulla criminalità, oggi riconosciute come ascientifiche, ma al tempo ampiamente diffuse e condivise e della pericolosità di mettere in scena un personaggio come il suo senza prenderne davvero le distanze.

Chi era Cesare Lombroso

Cesare Lombroso (1835-1909) è stato un medico, antropologo e criminologo realmente esistito, attivo a Torino e in altre città del Nord-Italia tra la fine dell’Ottocento e inizio Novecento.

Compiuti gli studi universitari in medicina a Pavia, Padova e Vienna, partecipò come medico militare alla campagna contro il brigantaggio successiva all’unificazione italiana. Incaricato di Clinica psichiatrica e di antropologia a Pavia, svolse ricerche sul “cretinismo” e sulla pellagra. Fu poi direttore del manicomio di Pesaro e ordinario di medicina legale nel carcere di Torino. Qui studiò i detenuti e i loro cadaveri per convalidare le sue teorie sull'”uomo delinquente”.

A Pavia gli venne richiesto l’insegnamento universitario a partire 1862. Nel 1898 inaugurò a Torino un museo di psichiatria e criminologia (più tardi chiamato “di Antropologia criminale”), oggi ancora visitabile.

Dopo il 1870 Lombroso si concentrò sullo studio dell’antropologia. E’ stato un forte sostenitore dell’inserimento della pena capitale all’interno dell’ordinamento italiano. Riteneva infatti che se il criminale era tale per la sua conformazione fisica e non fosse possibile alcuna forma di riabilitazione. E questa è una teoria che ci dà un po’ l’idea del tipo di “scienziato” di cui stiamo trattando e dei suoi posizionamenti, ma malauguratamente non l’unica.

La presunta inferiorità dei meridionali

Cesare Lombroso ha contribuito attivamente con il suo lavoro alla costruzione coloniale del Sud Italia e a quella razziale dei suoi cittadini. Come sostengono studiose quali Tatiana Petrovich Njegosh e Carla Panico, ha posto le basi scientifiche del pregiudizio verso le persone meridionali. Il metodo di Lombroso, come parzialmente vediamo in La legge di Lidia Poet, si basava su quella scienza che successivamente fu chiamata “fisiognomica”. Si tratta dell’analisi delle caratteristiche estetiche –  volto, ossa, crani, corpi – per determinare le caratteristiche morali e antropologiche dei soggetti.

Attraverso le misurazioni operate su numerosi individui quando era in Calabria nella campagna contro il brigantaggio, Lombroso teorizzò l’inferiorità razziale dei meridionali, appartenenti secondo lui alla razza “mediterranea”, piuttosto che alla razza “ariana” degli italiani del Nord.

Come oggi sappiamo queste misurazioni non sono per nulla fondate scientificamente, così come la razza è un’invenzione sociale e non una categoria naturalistica. La costruzione di questa presunta inferiorità ha creato la divisione tra italiani del nord e del sud e il mito delle due Italie. Mito tutt’oggi persistente nell’immaginario comune con una declinazione diversa ma con un peso non indifferente e con effetti ancora concreti in termini di scelte politiche ed economiche.

La donna delinquente, la prostituta e la donna normale

Nel testo La donna delinquente, la prostituta e la donna normale (1893, in collaborazione con G. Ferrero) Lombroso riporta i risultati delle sue osservazioni su centinaia di donne. Ritenne infatti che nel sesso femminile difettassero, rispetto a quello maschile, intelligenza e sensibilità. Affermava di poter distinguere una donna “normale” da una potenziale criminale grazie a determinate anomalie fisiche o “degenerazioni morali. Quest’ultime realizzantesi principalmente nella prostituzione.
L’ “antropologo” studiava le caratteristiche dei suoi soggetti anche in carcere, per capirne le “mancanze” psicofisiche. Elementi come la grandezza e il peso del cervello o persino zigomi e fronte sporgenti bastavano per delineare un profilo di “criminale nata”.

Per Lombroso un altro segno di devianza nella donna era la sua “mascolinità”. In presenza di caratteristiche fisiche o psicologiche ritenute tipicamente maschili, secondo Lombroso, era inevitabile che il soggetto in questione prima o poi commettesse qualche delitto.

La sua figura quindi è quella di un medico e di uno scienziato di dubbia validità, che anzi ha contribuito in parte attiva a dare un fondamento scientifico a moltissimi dei pregiudizi razziali e sessisti che permeano tutt’oggi la nostra società e per questo sono profondamente sentiti e combattuti ogni giorno per le strade, per le piazze, attraverso le narrazioni e le condivisioni social, solo per citare alcuni mezzi.
Portarlo in scena come un personaggio apparentemente innocuo e autorevole è sicuramente una scelta comoda e molto cauta da parte della produzione Netflix, che si sfila così di dosso la responsabilità di prendere una posizione più netta di quanto si sarebbe potuto fare, considerato che ormai oggi le sue teorie risultano destituite di ogni fondamento scientifico e anzi espressione pura di razzismo.

Immagine di Alessia Merra

Alessia Merra

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ultimi Post

La trama del silenzio: Anche gli alberi caduti sono il bosco di Alejandra Kamiya

Letteratura, Recensioni, Senza Categoria

Riflessioni su Gaza: la storia di un genocidio e il sogno di una Palestina libera

Attualità, Politica, Storia

Aggretsuko: sfogare la rabbia repressa con il metal

Senza Categoria

Come costruire un pozzo in Africa, la storia di Pietro

Attualità

Cookie & Privacy

Noi e terze parti selezionate utilizziamo cookie o tecnologie simili per finalità tecniche e, con il tuo consenso, anche per altre finalità come specificato nella Privacy Policy
Puoi acconsentire all’utilizzo di tali tecnologie utilizzando il pulsante “Accetta”. Chiudendo questa informativa, continui senza accettare.

Brava e pure mamma: dove si spinge la tutela della maternità

Il caso delle Radium Girls

Alla ricerca della felicità con “L’inventario dei sogni” di Chimamanda Ngozi Adichie