«… Ho fatto un sogno».
O piuttosto sono una serie di incubi a cambiare la vita di Yeong-hye, la protagonista di questo romanzo di Han Kang.
Immagini notturne che si trasformano in piccole ma potenti esplosioni all’interno di Yeong-hye e modificano tutto. La deflagrazione colpisce ogni cosa: il suo modo di vedere la vita, la sua alimentazione, il suo corpo, il suo rapporto con gli altri. E a macchia d’olio questo ha un’influenza inequivocabile sulle sue relazioni e sul suo ruolo nella società.
“Siamo ingranaggi della grande macchina“, scriveva Murata Sayaka: ebbene, qui, Yeong-hye decide di staccarsi dalla catena di montaggio e fermarsi a riflettere.
Come poteva essere così egocentrica? Fissai i suoi occhi abbassati, la sua espressione fredda e imperturbabile. L’idea stessa che avesse quel lato diverso, egoistico, e facesse semplicemente come le pareva mi lasciò stupefatto. Chi mai avrebbe pensato che potesse essere così irragionevole?
L’incredulità è la riluttanza a credere, ad accettare per vero qualcosa. Sono suoi sinonimi, diffidenza, scetticismo, dubbio, perplessità, sospetto.
È la prima reazione del marito quando Yeong-hye comincia a comportarsi in modo autonomo uscendo dalle norme di ciò che ci si aspetta da lei. Questa sua condotta genera confusione e destabilizza. E lui non si chiede mai, mai, neanche una volta, come lei si senta o se abbia bisogno di aiuto, non cerca nemmeno di leggere le espressioni del suo volto quando le sue risposte non colmano lo spazio vuoto delle richieste inappagate.
«… Ho fatto un sogno» non basta, ma lui non va oltre, non gli interessa. E la sua unica preoccupazione, da lì in avanti, risiede su quanto questa scelta ha e avrà ripercussioni su di lui e sul mondo che lo circonda.
Il passo successivo è la rabbia verso questo nuovo modo di essere. E alla rabbia si aggiunge molto presto la violenza generata dall’incapacità di accettare quello che non comprende. Poi, le due cose si miscelano e alimentano l’una con l’altra fino a generare azioni imperdonabili. Il tentativo illecito di rimettere in quell’ordine che crede indissolubile i pezzi ormai rotti di un vaso, in maniera coercitiva.
L’offesa è la risposta al silenzio.
Come potrà mai ribellarsi chi non ha voce?
Fino a che punto riusciamo a giustificare le nostre azioni?
Ma questa è solo la parte di questo romanzo così ricco di fili stretti e controversi.
Il seguito si estende come una ragnatela toccando le paure e i dolori di tutti i personaggi principali coinvolti. Un sentiero di fili che una volta tirati rendono impossibile liberarsi dalla morsa e dalla ferocia che li sostengono. Sofferenze generate dall’infanzia, dal ruolo prestabilito, dai limiti della società, dal senso di colpa, dall’insoddisfazione, e chissà da quanti altri tasselli che insieme costruiscono una prigione sempre più serrata.
C’era qualcosa sulla sua faccia, sudore o lacrime, non ne era sicura, e se l’era asciugata con il dorso della mano. Il dolore era come un buco che la inghiottiva, una fonte di paura intensa eppure, al tempo stesso, una strana, silenziosa pace.
Più leggo questo romanzo e più scopro dettagli che vanno ben oltre le parole scritte. E se si decide di intraprendere quel sentiero si svelano pensieri e domande che sanno mordere e tormentare, ma di cui non si può fare a meno.
Buona lettura.
La vegetariana di Han Kang.
Da questo libro è stato tratto nel 2009 il film omonimo diretto da Woo-Seong Lim e nel 2024 ne è stato tratto uno spettacolo teatrale, portato in scena dalla regista Daria Deflorian.
L’incredibile produzione di questa autrice le ha fatto vincere il Premio Nobel per la Letteratura del 2024.
Tradotto in italiano da Milena Zemira Ciccimarra.