Vi siete mai interrogate sulla vostra fede femminista? Avete mai cucinato per il vostro partner (maschio, etero, cis e possibilmente bianco) mentre lui era a lavoro o a giocare a tennis con un amico? Se almeno una volta vi siete sentite meno femministe del solito, questo è l’articolo che fa per voi. No, non perché troverete una risposta, ma un po’ di solidarietà.
Femminismo imperfetto: tra libertà, senso di colpa e auto-sorveglianza
Nel dibattito femminista contemporaneo, si tende talvolta a cercare coerenza assoluta tra pensiero e azione. Ma cosa succede quando ci scopriamo a compiere gesti che sembrano “tradizionali”? Prendersi cura dell’altro, fare la spesa, cucinare, accompagnare, occuparsi del benessere comune: sono azioni che il patriarcato ha storicamente assegnato alle donne, è vero. Ma oggi, se una donna compie queste azioni per scelta e non per dovere, può davvero considerarsi meno femminista?
Secondo Roxane Gay, autrice di Bad Feminist, il femminismo deve ammettere l’imperfezione: la libertà non è fare l’opposto di ciò che ci hanno imposto, ma poter scegliere cosa vogliamo fare, senza sentirci in colpa né giudicate. Non è il gesto in sé a essere “patriarcale”, ma la struttura che lo impone come obbligo o lo premia come virtù femminile.
Non sono straordinariamente versata in storia dei femminismi. Non ho letto quanto vorrei dei testi cardine dei femminismi. Ho certi… interessi e tratti del carattere e opinioni che potrebbero non essere in linea con il femminismo più mainstream, ma sono comunque una femminista. Non so esprimere quanto sia stato liberatorio accettare questo di me stessa.
Io abbraccio l’etichetta di cattiva femminista perché sono umana. Sono un casino. Non sto cercando di essere un esempio. Non sto cercando di essere perfetta. Non sto cercando di propormi come qualcuno che ha tutte le risposte. Non sto cercando di dire che ho ragione io. Sto solo cercando – cercando – di sostenere ciò in cui credo, cercando di fare qualcosa di buono in questo mondo, cercando di creare un po’ di rumore con quello che scrivo e allo stesso tempo di essere me stessa: una donna che ama il rosa e a cui piace scatenarsi, che a volte scuote il culo al ritmo di una musica che sa, sa, essere tremenda verso le donne e che a volte fa la parte della scema con i tuttofare perché semplicemente è più facile farli sentire machi che tenere il punto.
Sono una cattiva femminista perché non vorrei mai essere messa sul Piedistallo Femminista. Dalle persone sul piedistallo ci si aspetta che stiano in posa, alla perfezione. E poi vengono buttate giù quando fanno una cazzata. Io faccio regolarmente cazzate. Consideratemi già caduta. (Bad Feminist)
Questi passaggi, tratti dall’introduzione di Bad Feminist, rivelano la trasparenza con cui Roxane Gay si racconta: non per centrarsi su sé stessa, ma per partire da sé come luogo di verità. Non si espone per vanità, ma per offrire la propria esperienza come strumento di riflessione, con un gesto di vulnerabilità e condivisione autentica.
Tuttavia, è proprio nel vivere quotidiano che il giudizio si fa più sottile e feroce: non viene (solo) dall’esterno, ma da dentro. Come se un certo femminismo ci avesse insegnato che ogni azione deve essere politicizzata, ogni dinamica analizzata, ogni gesto giustificato. Così, può capitare di sentirsi “cattive femministe”: magari apprezzando una performance sessuale più spinta, perché il femminismo con la F maiuscola insegna che durante il sesso non devi essere lo sfogo fisico dell’altra persona (giustamente). Questa frase è volutamente provocatoria, ma è un dubbio lecito: è ovvio che non si deve accontentare il partner per “dovere”, ma mi è capitato di partecipare in discussioni in cui i gusti sessuali di alcune donne venivano demonizzati perché “frutto del patriarcato”. Naturalmente, si tratta di estremismi.
Esiste quindi una forma di auto-sorveglianza femminista che rischia di sostituire la gabbia patriarcale con un’altra, fatta di senso di colpa e rigidità? Si diventa guardiane di sé stesse, misurando ogni emozione con il metro della teoria. In questo contesto, anche l’amore diventa un terreno minato: è difficile distinguere tra libertà, bisogno, o condizionamento culturale.
Ruoli e negoziazione nella coppia: soldi, tempo e disuguaglianza invisibile
Un classico esempio dove potremmo far cadere le certezze femministe è la divisione economica in una coppia etero. Il femminismo in coppia non riguarda più solo chi cucina, ma anche chi paga, chi decide, chi organizza. Una delle disuguaglianze più trascurate – e ancora oggi tabù – è la gestione economica nelle relazioni eterosessuali.
Natalia Levinte, su Instagram @natalia_levinte, ha creato di recente un Excel per la divisione equa delle finanze di coppia, che sta circolando sui social come strumento utile ma anche provocatorio: non è scontato sapere chi paga cosa, o come bilanciare i contributi quando i redditi sono diversi. Spesso, anche nelle coppie in cui entrambi lavorano, sono le donne a sostenere più spese “invisibili” (regali, casa, figli), senza che questo venga riconosciuto come lavoro o contributo effettivo. Allo stesso tempo, in alcuni casi (testimoniati da Levinte) se l’uomo guadagna di più e sostiene più spese lo fa pesare alla compagna.
Questo disequilibrio è spesso alimentato da una cultura ancorata a ruoli tradizionali. Ruoli che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ultimamente sembrano essere tornati in auge. In rete, specialmente su TikTok e Instagram, circolano video virali che sostengono che “il ruolo naturale della donna” sia restare a casa a crescere i figli, e che l’emancipazione femminile sia stata un inganno. “Per anni ci hanno fatto credere che fosse sbagliato”, dicono, non si capisce bene se in maniera ironica, riferendosi alla maternità o alle occupazioni domestiche. Il pericolo di questi contenuti risiede nella loro patina rassicurante e “controintuitiva”: sembrano offrire una via semplice e tradizionale alla felicità, ma in realtà rinforzano dinamiche di dipendenza economica e potere.
Parlare di soldi in una coppia non è cinico, è necessario. Come suggerisce Levinte, non si tratta solo di “chi paga la cena”, ma di chi si prende carico del futuro. Un femminismo concreto passa anche da qui: dal diritto di sapere, negoziare e non dare mai per scontato ciò che si merita.
Una riflessione
Torno un attimo alle ragazze che sui social sponsorizzano la vita domestica come un nido sacro da cui le “femministe” le hanno allontanate a forza. La loro scelta di essere casalinghe può essere vista come antifemminista? Assolutamente no, altrimenti verrebbe meno il principio di libertà di pensiero e azione enunciato prima. Tuttavia, deve far riflettere il controattacco che loro propongono al femminismo estremo. Alcuni toni possono esser fraintesi, soprattutto se esasperati – nel femminismo come in ogni altra discussione ideologica – quindi una considerazione deve partire proprio da qui. Più che giusto essere femministe arrabbiate, ma fenomeni come quello delle “casalinghe social felici” possono far riflettere sulla radicalizzazione delle ideologie. Come sempre, un contenuto del genere messo in mano a chi ha gli strumenti per leggerlo criticamente non farà danni, ma l’utilizzo dei social da parte dei/delle giovanissimi/e è un allarme sempre più forte. Una ragazzina acerba come potrebbe interpretarlo?
Forse, il cuore della questione è proprio questo: poter abitare l’ambivalenza, fare domande scomode, e scegliere, anche rischiando. Il femminismo non è un’ideologia perfetta, ma una pratica viva. E, come ogni pratica, ha bisogno di spazio, dubbi e margini. Anche per sbagliare.
Fonti e approfondimenti
Roxane Gay, Bad Feminist
Wikipedia, Femminismo individualista
Intervista a Natalia Levinte su gravidanzaonline.it (10 gennaio 2022)
Podcast L’ora delle donne