Eccoti nei tuoi tre atti.

Tu di fronte allo specchio immobile, tu di lato, prima a destra, poi a sinistra. La cipria è stesa sulla pelle lucida, il mascara ha coperto di cenere nera le ciglia costrette a inarcarsi innaturalmente, le labbra aspettano il quotidiano velluto porpora. Pettini i capelli dalla radice alle punte, dalla radice alle punte. Sono scompigliati a destra, vicino all’orecchio. Guardati, girati, dannazione! Non te ne sei accorta? Eppure, ripeti quel rituale ogni sera. Ogni maledetta sera.

Adesso scommetto che spruzzerai il profumo sul collo e poi sul polso. Lo annuserai aspirandone le essenze, come se fosse nuovo. Poi prenderai l’orecchino di brillanti, quello che ti ha regalato tua madre e che tanto detesti, lo guarderai da ogni sua angolazione, lo girerai su se stesso e poi lo indosserai, infine solleverai il ciuffo biondo che è rimasto incastrato dietro l’orecchio. Sì, fai esattamente così. Nessuna nuova espressione, nessuno stravolgimento. Un metodico copione da seguire alla lettera e tu ti attieni alla perfezione. In fondo è il tuo lavoro.

Ma cosa fai adesso? Hai scelto il rossetto, quello giusto, l’hai applicato sulle labbra secche, stanche, tristi. Segui il contorno, ti soffermi sul centro, ripassi sui bordi. La mano ti trema, sei distratta, si vede.

A cosa stai pensando? Sei approssimativa. Ecco, la disattenzione ti ha fatto sbagliare e adesso hai il rossetto fuori dal contorno sinistro. Un beffardo sorriso truccato che stride con il tuo stato d’animo.

Con il mignolo provi a sistemarlo, togli l’eccesso, sistemi il profilo con rapidi movimenti. Non hai tempo. Adesso guardi l’orologio sul comò: è tardi. Ti alzi, afferri il soprabito e il blocco di fogli sul tavolo, ripassi le battute.

Primo atto

Questa è la mia debolezza, questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno[…]”

La voce è roca, insicura, tentennante. Perché non riesci a essere convincente? Di solito ti fanno pure i complimenti per il tuo carisma. Quella battuta la provi da mesi, dicono sia il tuo cavallo di battaglia. Dai riprova, forza! Riprova!

Perché non reagisci? Cos’hai che non va? Hai deciso di indossare quella maschera e adesso devi portare avanti il tuo compito, lo scopo della tua vita. È la trama scritta sul libretto, quel foglio inutile che sai benissimo che viene usato solo per sventolarsi durante lo spettacolo. Perché tu stai sopra il palco e osservi ogni sera quel movimento cadenzato ripetuto a schiera.

Adesso squilla il telefono. Ma che fai, rispondi pure? Devi correre! Ti catapulti sul telefono inciampando sul tappeto. Ti cadono per terra i fogli. La prima pagina è sotto la sedia, la seconda è sulla quarta.

Secondo atto

Pronto

Dove sei?”

Non puoi dirmelo così. Non puoi!”

Dovevi capire che qualcosa sarebbe andato per il verso sbagliato. Troppi piccoli stravolgimenti della sceneggiatura. Riagganci con forza, cominci a piangere. Il trucco scivola sulla pelle candida, lascia una traccia nera indelebile che divide in due il tuo viso come una maschera bipolare.

Calpesti il copione per terra e ne riscrivi un altro. Togli il soprabito e ti siedi per terra.

Cos’hai combinato? Come hai potuto ridurre la tua vita così? Hai mandato in fumo tutto e la miccia l’hai gettata tu. Sei stata tu ad alimentare il fuoco indomabile della tua vita. Tra meno di un’ora dovresti essere sul palco, con il tuo vestito a balze bianco e rosso, il fiocco in testa, i capelli a boccoli intrecciati. Invece stai lì a piangerti addosso, immobile sul pavimento.

Sei stata una moglie sbagliata, una madre sbagliata, una figlia sbagliata. Se avessi recitato bene il tuo ruolo senza sovrapporlo al tuo lavoro non sarebbe andata così e adesso saresti su quel palco che puzza di naftalina, indosseresti quel vestito sudicio di ogni sera – non lo lavi forse dalla scorsa settimana? -, ascolteresti con superficialità le battute dei tuoi colleghi, cantilene cadenzate che accompagnano i preparativi. E invece ti scompigli i capelli, ti togli il trucco con il palmo della mano, ti spogli e lanci i vestiti in aria. Vai in bagno, ti fai una doccia fredda.

Cerchi il buco nella trama, forse, mentre strofini la spugna con rabbia? Pensi alla frattura, alla falla irrazionale? Sposti la tenda, il sipario cala e ti guardi allo specchio. Sei nuda, adesso. E il pubblico ti sta scrutando. Lui sa dove hai sbagliato perché ha seguito attimo per attimo la tua trama, battuta dopo battuta.

Nessun suggeritore appostato dietro le quinte a consigliarti, nessun gobbo salvifico. Solo tu, la tua immagine viva e reale immortalata sullo specchio appannato.

Terzo atto

Il pubblico pagante applaude, si alza dalle poltroncine e, tra gli schiamazzi, si spegnono le luci di scena e tu rimani sola.

Sara Noto Millefiori

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Sara Noto Millefiori

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