Femminismo

Il mito del multitasking femminile

Le chiacchiere da ufficio possono essere un ottimo spunto di scrittura: si mescolano opinioni, pezzi di vita quotidiana e questioni di principio. Specialmente se il tutto avviene tra colleghe donne, di età diverse e con esperienze differenti. “Gli uomini proprio non ce la fanno, devono fare una cosa alla volta o vanno in tilt!”, esordiscono un giorno due mie colleghe, sottolineando poi come le donne riescano a fare più cose contemporaneamente grazie al dono del multitasking.

Tento di ribattere, ma subito mi chiedono della mia esperienza con il genere maschile e il mio – di solito – sacrosanto desiderio a ricondurre tutto alla pressione del patriarcato si scontra contro la dura realtà: effettivamente, la maggior parte degli uomini che ho conosciuto ha difficoltà a fare più cose contemporaneamente o, comunque, a terminare un unico, semplice e inoffensivo compito assegnatogli. E già solo scrivendo questa frase, mi rendo conto non solo di quanto sia problematica ma anche di quanto, alle donne, al contrario, venga richiesto molto di più. Puntualità, precisione e l’ultraterrena capacità di svolgere non uno, non due, non tre ma tutti i compiti della giornata. In altre parole, una sorta di dea dalle mille braccia, mille occhi e mille cervelli che tutto vede e tutto può.

Multitasking: cos’è?

Il termine multitasking trae la sua origine dal mondo informatico e indica la capacità di un computer di svolgere più operazioni o comandi contemporaneamente. Per le persone, significa concentrare i propri sforzi verso più attività nello stesso momento per essere più produttivi ed efficienti.
Questa particolare abilità sembra essere innata nel genere femminile o almeno viene frequentemente presentata come tale. Ma è davvero una capacità da lodare?

Il mito del multitasking femminile

Sin da quando la figura della donna era comunemente relegata al focolare domestico, ella era in grado di occuparsi di più compiti casalinghi in contemporanea. Dall’allattare i neonati a cucinare la cena, dal rassettare casa a rammendare i calzini. Insomma, una tuttofare senza stipendio che si beava del ruolo che era stato scelto per lei. Con il tempo, si è affermato nell’immaginario comune l’idea di una donna in carriera nello spietato mondo capitalista. Così, la nostra tuttofare ha dovuto trovare il tempo non solo di cucinare il pranzo per i figli ma anche di fatturare – ovviamente non troppo, perché pagata sì ma non quanto un uomo.

Questa superdonna ha tutte le caratteristiche a cui ogni donna normale deve aspirare. Ad esempio, è la perfetta padrona di casa che accoglie i suoi ospiti in un soggiorno splendente, ma mentre non guardate sfugge via per rispondere a una mail di lavoro. Oppure, i suoi manicaretti serali stuzzicano le papille gustative del marito mentre deve preparare il pranzo per i figli per il giorno seguente. Il risultato? “Ma che brava, riesci a fare tutto!”. A volte. Altre volte invece è così naturale che una donna sappia far tutte queste cose che non le si riconosce nemmeno questo merito.

Le conseguenze

In questo turbinio di attività, compiti, lavori, bisogna tener presente che la donna non è un computer. Mentre il software riesce a risolvere tutte le sue operazioni, voler portare a termine tutto e bene per una donna significa caricarsi di responsabilità e pressione sociale. La sola aspirazione di voler raggiungere la perfezione è controproducente. Infatti, dover incassare risultati ottimali genera ansia da prestazione, rendendo vani i tentativi o, comunque, insopportabili gli effetti futuri. Che poi, controproducente: ma cosa stiamo tentando di produrre soddisfando le aspettative altrui? Così, sobbarcarsi le attività affidate alle donne in quanto donne comporta uno stress emotivo non indifferente. E questo non è l’unito punto negativo della faccenda.

Il risvolto della medaglia

Mentre le donne si incespicano nei loro compiti e il dono dell’ubiquità diventa superfluo, un’altra conseguenza è la continua, legittimata e beata possibilità per gli uomini di non occuparsi di queste attività. I lavori di cura, domestici, sono da donna e tali devono rimanere. Tanto è in grado di farli tutti, perchè preoccuparsene? Nella remota possibilità di una richiesta d’aiuto, infatti, sarà l’uomo a essere lodato per aver aiutato a casa, per aver lavato una pentola o aver fatto la spesa. Tanto, poverini, non sono in grado di fare altro e questo privilegio maschile va conservato. Certo, se continuiamo a crescerli imboccandoli con il cucchiaio forse forse non crescono così indipendenti e responsabilizzati. D’altronde, perché farlo se la donna è multitasking?

Spoiler: le donne non sono multitasking per opera di Madre natura

Nel nostro DNA non esiste un gene che ci fa essere multitasking. La superdonna, l’avvocato in carriera, la mamma tuttofare non è così perché così è stata creata. Crederlo è un errore. E, allo stesso modo, rassegnarsi mestamente all’incapacità maschile di concludere attività domestiche per cui non è richiesto un QI altissimo continuerà ad alimentare questo circolo vizioso. Decostruire l’immaginario comune che abbiamo della donna impegnata a cucinare, stirare, allevare un figlio, inseguire i suoi sogni, costruire la macchina del teletrasporto e trovare una cura per il cancro e dell’uomo inabile a comprare un pacco di pasta potrebbe essere il primo passo per liberarci del mito del multitasking.

Elena Morrone

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