Arte

Etel Adnan e la forza del colore

Quando acquistai il biglietto per la mostra dedicata ad Etel Adnan (1925-2021) al Van Gogh Museum di Amsterdam non avevo mai sentito parlare di quest’artista. Eppure, appena entrata nella prima sala dell’ala sono rimasta affascinata dall’esplosione di colore non solo dell’allestimento, ma soprattutto delle opere esposte.

Untitled, 2010

Le campiture di colore che, dalle piccole cornici, luccicavano quasi ammiccando, ai tappeti multicolore e alti fino al soffitto. Pensando a come avrei voluto parlare e rendere un piccolo tributo a questa artista, non sapevo come approcciarmi alla scrittura. Ho, infine, optato per un racconto autentico, sincero, dell’esperienza di questo primo incontro con il suo lascito artistico. Non mi soffermerò che su alcuni aspetti della sua biografia, determinanti per la sua carriera; preferisco siano le immagini stesse a parlare per lei.

Dopo lo stupore e l’attrazione suscitata in me da questa esplosione di colori delle sale, è entrato in gioco l’udito. L’audioguida non è diventata, come accade per tante volte in altri musei e in altre mostre, una voce che ti accompagna per le sale, facendoti sentire altro dai dipinti, altro dai reperti, dalle sculture esposte sui piedistalli e nelle teche. In questo caso, la voce è stata una guida che mi ha permesso di accedere al mondo e al modo in cui Etel Adnan è vissuta e ha creato, ha esperito il mondo e l’arte. 

La potenza è l’umiltà del lavoro di Adnan risiede in questo: da professoressa di filosofia estetica percepiva che qualcosa mancava, nel suo lavoro. Si chiedeva come potesse spiegare la filosofia che risiedeva nell’arte se non aveva mai sperimentato lei stessa cosa significasse, concretamente. Così, grazie al consiglio di una collega, Adnan ha cominciato a trentaquattro anni, da autodidatta, a dipingere.

Etel Adnan, poetessa, saggista e artista, nasce a Beirut, da genitori di origini diversissime: la madre è greca ortodossa, il padre è, invece, musulmano di Damasco, alto ufficiale dell’esercito ottomano. Cresciuta in Libano e frequentando le scuole francesi, la piccola Adnan cresce tra le lingue dei genitori, turca e greca, il francese e l’arabo, formalmente proibito ma che riesce a sentire per strada. L’artista ha sempre portato dentro di sé una commistione di culture e tradizioni. 

Viaggerà molto intraprendendo una brillante carriera universitaria: da Parigi, dove studia filosofia alla Sorbonne, ai dottorati di ricerca a Berkley e poi ad Harvard. Diventa professoressa di filosofia dell’arte e dell’estetica dal 1958 al 1972 al Dominican College in Claifornia, poi passerà alcuni anni come giornalista a Beirut e, infine, tornerà a San Francisco nel 1980 per dedicarsi interamente alla carriera di artista. I suoi anni a Parigi le permisero di assorbire il clima artistico della città, approcciandosi al mondo jazz, dell’arte; fu anche l’occasione in cui conobbe per la prima volta Van Gogh. Le opere dell’artista la impressionarono a tal punto da diventare fonte d’ispirazione continua per la sua estetica e per la sua produzione.

The Mountain, 2014

Uno dei soggetti ricorrenti è la montagna, frequentemente accompagnata dal sole. La serie The Mountain (2014) mi ha colpita particolarmente. Si tratta del Monte Tamalpais, nel nord della California. QUesta montagna assume un profondo significato per Adnan perchè era considerato sacro dalle popolazioni autoctone, poi colonizzate dai conquistatori europei. Ciò che il monte rappresenta, dunque, è come la natura, le sue forme, i suoi colori, possano essere privati della loro magia. Ognuno di noi, nel profondo, se prova a ricondurre “casa” ad un’immagine, ricorda un particolare, un paesaggio, un frame della sua infanzia, della sua giovinezza o dell’età adulta. Adnan ripropone questo soggetto pensando anche alle terre della sua infanzia; modificando la tecnica, dall’acquerello su carta alla pittura spremuta direttamente dal tubetto sulla tela, sempre cogliendo l’essenza della natura che la circonda, connettendola alla propri interiorità, proprio come faceva Vincent van Gogh.

Il piccolo formato dei dipinti delle montagne è solo una parte della produzione di Adnan. L’artista sperimenterà molto anche con gli arazzi, frutto dei suoi viaggi in Nord Africa con il padre. Ad un primo sguardo paiono morbidi e soffici come i tappeti a casa della nonna, il tutto contrasta con i vividissimi colori di cui Adnan si è servita per comporli. Quando si fa un’escursione in montagna, e si fissa per molto tempo il sentiero, sollevando lo sguardo e alzando gli occhi al cielo, per un attimo le fronde degli alberi sono fuse con il cielo in un mare di verde, azzurro, marrone e mille altri colori. Autumn Forest (Forêt automnale, 2015) mi ricorda esattamente questa sorta di disorientamento, è la pulsazione vibrante dei colori che la compongono.

Forêt automnal, 2015

La forza e, allo stesso tempo, la delicatezza di quest’artista risiede nella sua capacità di far percepire quanto tutto ciò vedeva attorno a sé, che si incideva nella sua memoria e nella sua anima come un’impronta, rendendo poi possibile tracciare queste “impressioni” attraverso la pittura, gli inchiostri o il tessuto. La sua compagna Simone Fattal (1942) la ricorda così: «A painting by Etel Adnan not only tell us about the universe at that particular time and day, but how she perceived that moment of that particular day, the tenderness she felt and experienced, or the anger».

Per saperne di più sull’artista, le sue opere e le sue pubblicazioni, ecco il sito ufficiale: www.eteladnan.com/art/

Le citazioni e le note bibliografiche sono ricavate dal catalogo Etel Adnan Vincent Van Gogh Colour as Language, catalogo della mostra a cura di Sara Tas (Amsterdam, Fondazione Roma Museo 20 maggio – 4 settembre 2022), Amsterdam, Van Gogh Museum 2022.

Gaia Zordan

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