“La donna invisibile”, per la tematica trattata, è un testo particolarmente attivante: tutt* noi siamo entrat* in contatto, almeno una volta nella vita, con la vecchiaia. Che sia un parente, una persona conosciuta o un* sconosciut* per strada, una parte di noi terrà sempre a distanza l’invecchiamento, anche se si tratta di un destino, se non anche un privilegio, comune.
La narrazione della vecchiaia è socialmente ben definita: alle persone anziane associamo spesso le immagini della solitudine, della tristezza e dell’amarezza. In termini del tutto capitalistici, inoltre, la gente vecchia, ormai in pensione, non è più parte del sistema di produzione sia poiché ha concluso gli anni della sua vita dedicati al lavoro, sia perché il corpo anziano non è più in grado di reggere la velocità e i ritmi di quello giovane. Ovviamente, in una società fortemente capitalista, questo distacco dal sistema spinge le persone anziane ancora più al margine. Per quanto riguarda la relazione con l* più vecch*, inoltre, sembra che siamo talmente spaventat* da questa fase della vita che risulta difficile, a volte, stare al fianco de* nostr* car* in questo momento, e in “La donna invisibile” questo distacco è molto presente: il muro di silenzio e mancanza di cura che separa i personaggi giovani da quelli anziani sembra invalicabile; anche se si scorgono delle fessure, vengono sempre ignorate, se non brutalmente riempite, da un allontanamento ulteriore. C’è anche una grande componente di paternalismo: quante volte, dinnanzi una persona anziana, in quanto giovani abbiamo dato per scontato alle sue necessità e alla sia voce, solamente perché riteniamo di saperne o di capirne di più?
Ma non è solamente il rapporto gioventù-vecchiata ad essere estremamente incrinato: l’autrice descrive una relazione complessa tra la persona che invecchia e il suo corpo che, inevitabilmente, perde lentamente il controllo. Come la protagonista della prima parte del racconto, la persona non riesce quasi a riconoscersi più allo specchio poiché il riflesso è distaccato dall’immagine che si ha del sé. Quante volte vediamo rappresentate delle persone anziane? E quante volte, l’idea di vecchiaia, viene accostata alla bellezza? Ovviamente, questa mancanza di una rappresentazione positiva pesa ancora di più sul corpo delle donne, non più un oggetto degno di essere sotto costante osservazione, ma un mobilio abbandonato, ormai impolverato e messo da parte. Il male gaze, in questo senso, è ancora più criticabile: è così subdolo e presente nella vita delle donne o delle persone socializzate come tali (sempre giovani) che una volta venuto a mancare, si trasforma in un disvalore, come se valutassimo il nostro potenziale attraverso gli occhi degli uomini.
Mai come questa volta, davanti alla storia nuda e cruda raccontata da “La donna invisibile”, ci siamo messe in discussione e abbiamo sentito ancora più forte la necessità di creare una comunità di persone consapevoli e in grado veramente di accogliere e di ascoltare tutte le individualità, a prescindere anche dall’età. Il lavoro che dobbiamo fare con la vecchiaia e la sua percezione è sicuramente tanto. Ci sono tantissime questioni da imparare ad accettare e tanta attenzione da rivolgere, ma sono sicura che la lettura di “Le donne invisibili” sia già un grande punto di partenza.