“Insegnale la differenza. rendi la differenza naturale, rendila normale. Insegnale a non attribuire un valore particolare alla differenza. E il motivo per farlo non è essere giusti o carini, ma semplicemente umani e pratici. Perché la differenza è la realtà del nostro mondo. E insegnandole la differenza, le fornisci gli strumenti per sopravvivere in questo mondo così vario.
Deve sapere e capire che le persone percorrono sentieri diversi nel mondo e che, se non creano danni agli altri, tutti quei sentieri sono validi, degni del suo rispetto. […]
Insegnale a non universalizzare mai i suoi modelli di esperienza. Quei modelli valgono per lei, non per gli altri. È l’unica forma necessaria di umiltà: capire che la differenza è normale.”
Il binomio maternità-femminismo è molto discusso, ma Chimamanda Ngozi Adichie sa proporlo in maniera essenziale e soprattutto nuova. Con Cara Ijeawele ovvero Quindici consigli per crescere una bambina femminista, la scrittrice torna con un pamphlet in forma di lettera dedicata ad una sua amica d’infanzia, la quale chiede all’autrice come crescere femminista la figlia appena nata.
Adichie, che ha già alle spalle diverse pubblicazioni di fama mondiale, si conferma pratica: risponde in modo lucido e attento, arrivando a stilare un vero e proprio manifesto.
Il suo compito è tutto fuorché facile: da dove partire per crescere ed educare una bambina femminista? Sicuramente, suggerisce Adichie, reclamando l’importanza e l’integrità necessarie a livello individuale, e una volta acquisite, trasmettendole in modo sano. Saper mettere in guardia senza terrorizzare, saper educare senza paralizzare, saper accompagnare senza prevaricare.
“Anziché insegnare a Chizalum a compiacere gli altri, insegnale a essere onesta. E gentile. E coraggiosa. Incoraggiala a essere franca, a dire quel che pensa davvero, a dire la verità. Esortala a difendere quel che è suo. Dille che se qualcosa la mette a disagio deve alzare la voce, deve esprimersi, deve urlare.”
Attraverso le parole di Adichie si delinea immediatamente una mappa chiara del suo pensiero femminista, priva di universalismi utopistici e fastidiosi intellettualismi. I quindici capitoletti, che oscillano tra massime e situazioni realmente vissute dall’autrice, compongono uno slalom che si fa strada tra gli ostacoli posti dalla cultura dominante; percorso che può essere compiuto anche a ritroso, viaggiando tra flashback del suo trascorso nigeriano, ricordi che conferiscono al libro un’accezione estremamente totalizzante e coinvolgente.
Sono analizzate infatti le catastrofiche conseguenze dell’ansia di compiacere insieme al paradosso dei ruoli di genere e della santificazione degli oppressi: “nel parlarle di oppressione, sta’ attenta a non trasformare gli oppressi in santi”; con essi sono affrontati anche i temi dell’indipendenza economica, della violenza e del demansionamento.
L’autrice scrive ad un’amica e così facendo diventa amica di tutte, con tono intimo eppure deciso; con frasi semplici eppure dense, scegliendo un ritmo delicato eppure incalzante; è un sussurro che vuole però toccare punti assai spigolosi, quasi come se l’intento fosse quello di pungere e far riflettere.
Una breve lettura di buon senso, lucidità e intelligenza; una radicale critica alla cultura sessista e alla cristallizzazione dei ruoli e delle tradizioni, un amalgama di delicatezza ed esperienza.
Recensione di "Il mio idolo in fiamme" (Usami Rin)
Rivangando nel passato della civiltà occidentale, in particolare nell'antichità classica, si possono individuare le prime…
Scegliere. Un verbo apparentemente semplice. Sembra sicuramente molto più semplice di parole che sono diventate…
"Affamata" è un termine che rappresenta chi ha fame, ma anche chi è ridotto alla…
Gli oggetti che mi circondavano ora sono gli unici che mi tengono compagnia. Le bambole…
Ormai da diversi anni la questione dello schwa /ə/ raccoglie fautori e oppositori, tra gli…
View Comments