Copertina di "La sosia", di Aoyama Nanae

Echi concentrici: La sosia di Aoyama Nanae

Oskar Zwintscher, Riflessi, 1901

Si dice che per raccontare una storia, l’ideale sia cominciare dall’inizio. E c’è chi gioca d’anticipo, inserendo già i primi indizi nell’esergo del romanzo:

Se l’eroina di un romanzo non è sostenuta nemmeno dall’eroina di un altro, da chi potrà mai aspettarsi protezione e stima?

J. Austen, L’abbazia di Northanger

Ma lasciamolo da parte per un momento. Non voglio rivelare più di quanto l’autrice abbia già fatto con questo riferimento.

“La sosia” è un thriller psicologico che sfiora la storia di fantasmi, con una suspense che continua a crescere lentamente e ti risucchia quasi senza che chi legge possa rendersene conto.

Quest’estate succederà qualcosa di bellissimo, me lo sento.

Si sorride alla spensieratezza di Ritsu, una scrittrice esordiente che si muove nella precarietà della sua professione a passi di danza, senza perdere il legame con i dettagli che rendono la vita degna di essere assaporata. Un po’ ingenua e un po’ testarda, è semplice seguirla nelle svolte della sua esistenza tranquilla, nelle sue elucubrazioni sui giardini, nelle sue passeggiate in città.

Ma la verità è che si sta in questo libro come la celebre rana nella pentola di acqua fredda. Si comincia ad avvertire il malessere dell’aria che cambia, e sì, cominciano a comparire le prime grinze sui polpastrelli, ma si decide di ignorare tutti i segnali e di proseguire lo stesso.

Ritsu viene presentata a una sua fan, Kuki Kyōko, una donna dalle ingenti risorse e dalla bellezza e dai modi impeccabili. Madre di Sara, una bimba di nove anni piuttosto sveglia e moglie di Seiji, un uomo dal fascino irresistibile. La famiglia perfetta che l’accoglie in casa per interpretare un ruolo salvifico. Ritsu, infatti, assomiglia in modo incredibile alla sorella defunta di Kyōko, Yuri, e per questo le viene richiesto di prestarsi a una richiesta piuttosto stramba: se la sua immagine è in qualche modo una linea di connessione con Yuri, le incredibili somiglianze interiori con lei e le sue abilità da scrittrice saranno fondamentali per scrivere un romanzo biografico che possa portare conforto e chiusura per questa perdita.

E qui l’acqua comincia a intiepidire. In fondo si può fare del bene con le nostre capacità e un tale esercizio di stile potrebbe diventare una buona palestra per una scrittrice ancora alla ricerca di spunti per il suo prossimo romanzo da pubblicare. Le lacrime e la fragilità in vetrina aiutano ad accettare quella proposta inaspettata, ma forse ciò che più convince Ritsu è l’ammirazione con cui Kyoko le restituisce la sua immagine, il modo in cui Ritsu si rilegge artista nei suoi occhi.

Che cos’è una storia vera? Avendo iniziato a scrivere un brano della biografia di Yuri Kisaragi, avevo un piede in un passato che non era mai esistito, e l’altro ancora sospeso in aria. C’erano cose che si potevano vedere e sentire solo in questo stato sospeso, e l’atto della scrittura era il movimento dei miei piedi fluttuanti che danzavano nell’aria senza trovare alcun appoggio solido. Ero come un gigante che saltella su un piede solo, senza sapere cosa stia calpestando, e che deve riflettere questa sensazione sull’altro piede. Il mio corpo non era in grado di distinguere il vero dal falso, poteva solo reagire in modo fisico.

Che cos’è una storia vera? Cosa la distingue da ciò che non esiste? Qual è la linea di demarcazione che divide i due mondi? E chi siamo noi? Cosa scandisce la nostra identità? Cosa ci rende reali?

Sono tutte domande che cominciano a tormentare Ritsu durante il suo addentrarsi nelle storie e nelle finzioni di questa famiglia. E non è solo il calore ad annientare, ma la vischiosità delle immagini che non appaiono mai a fuoco, quell’incapacità di discernere davvero cosa sia accaduto in quel passato così ancorato al presente, ma così difficile da penetrare.

Aoyama cela con talento una serie di trappole che spiazzano fino a che non si è completamente incastrati nella sua rete. Ho immaginato tante possibilità per questa storia che continuava a proseguire, ma niente poteva prepararmi a quello che sarebbe avvenuto alla fine.

Ero diventata parte della storia per il semplice fatto di averla letta, e di essere stata iscritta nel testo? Se era così, allora, forse, la bambina che ero stata, la vera me stessa che era stata portata via nel sonno, era immortalata in queste pagine, e avrebbe continuato a vivere lì per sempre.

Se, come nella vita vera, talune domande hanno una risposta, mentre altri interrogativi continuano a galleggiare senza dimora, Ritsu resta nei miei pensieri anche dopo aver terminato la lettura. Chissà quale altra eroina di un romanzo potrebbe mai accorrere in suo aiuto.

Buona lettura

La sosia, di Aoyama Nanae.

Con il suo primo romanzo, pubblicato nel 2005, Aoyama Nanae ha vinto il Bungei Prize e nel 2009, a soli 26 anni, ha ricevuto il prestigioso Kawabata Literary Prize. L’autrice, molto famosa in Giappone, ha scritto anche Un bel giorno per rimanere da sola (Salani, 2010), che ha vinto il Premio Akutagawa nel 2007.

Tradotto in italiano da Rebecca Suter.



Immagine di Alessandra Marrucci

Alessandra Marrucci

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