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Ching Shih: come una donna arrivò a comandare più di 70.000 uomini

Quando si parla di pirati si pensa subito a uomini minacciosi. Uomini come Barbanera o, sul piano cinematografico, a Jack Sparrow. Ma in mezzo a tanti nomi maschili pare si sia dimenticato che il pirata più temuto e famoso non fu un uomo. Infatti, nel film Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo, compare un personaggio molto interessante: Madame Ching. Nel film svolge un ruolo importante, è un personaggio femminile che detiene molto potere. E la parte intrigante è che la sua figura si ispira alla storia di una donna realmente esistita che fu la regina della più grande flotta di pirati che terrorizzarono il Mar della Cina durante il 1800. Il mito di una donna che governò per interi anni una flotta che vantava l’egemonia nelle acque cinesi.

Le origini della regina dei pirati

Nata nel 1775 nella provincia di Guangdong da una famiglia poverissima, Ching Shih (nome che significa vedova Cheng, che sarà il suo primo marito) venne costretta a prostituirsi all’età di 13 anni. La zona, proprio a causa della dilagante povertà, era piena di giovani ragazze che, col sopraggiungere della pubertà, erano costrette a prostituirsi per poter aiutare la famiglia (spesso venivano vendute ai bordelli). Ching lavorava in un bordello galleggiante nella città portuale di Canton e la sua bellezza e i suoi modi di fare la resero famosa.

Bordello galleggiante della città di Canton

Ching fu tanto famosa che alcuni raccontano che fece innamorare di sè Cheng Yi, il più famoso pirata dei mari della Cina. Lui le chiese di sposarlo e lei accettò solo in cambio di metà dei suoi averi e del comando di alcune delle sue flotte. Avrebbe accettato il matrimonio solamente se fossero stati sullo stesso piano. Nel 1801 si sposarono e lei, che voleva essere pare attiva della gestione e dell’organizzazione delle flotte, contribuì all’unificazione di molte bande di pirati sotto un’unica bandiera: fu così che nacque la Red Flag Fleet. Una coalizione senza precedenti e destinata a crescere ancora sotto il successivo comando di Ching.

La morte di Cheng e l’ascesa al potere

Nel 1807, Cheng morì ed è da qui che Ching si trovò ad affrontare l’ostacolo più difficile: seppure avesse lei stessa contribuito alle alleanze che avevano formato la flotta più grande e temuta mai esistita, ora era solamente una donna vedova che doveva riaffermare il suo status come capo. La sua posizione come regina dei pirati.

Un problema per le donne in Cina era proprio la mancanza di accesso al potere e di partecipazione alle istituzioni. Erano gli uomini ad occupare le posizioni importanti e a prendere le decisioni. Di conseguenza, per molte, l’espediente migliore era il matrimonio: sposare qualcuno in una posizione di potere avrebbe permesso loro di muoversi meglio e cercare di esercitare la propria influenza. Il successo di Ching fu dato soprattutto dal suo essere donna, una donna che insieme al marito gestì le alleanze coi pirati e diventò un’importante leader.

Ma, a seguito della morte del marito, l’ottenuta unificazione dei pirati era a rischio e così Ching cercò subito di assicurarsi la sua posizione come capo. Il cambiamento permise a Ching di dimostrare le sue eccellenti doti di leadership e, attraverso le giuste amicizie, si confermò come successore del marito. Si assicurò di rendersi indispensabile alle bande di pirati che lei e Cheng avevano unito. La lealtà giurata dai comandanti al defunto marito fu estesa a lei e le permise, insieme al matrimonio con il figlio adottivo Cheung Po Tsai di costruire un robusto sistema di comando. Ma soprattutto, stabilire un severo e ben applicato codice di leggi fu ciò che la contraddistinse. Sotto il suo comando aveva 1800 navi (contro le 300 di Barbanera) e più di 70.000 uomini.

Il codice della Red Flag Feet

La morte di un capitano comportava sempre grandi scompigli. Il modo più semplice pe assicurarsi una solida lealtà ed evitare diserzioni era quello di stabilire delle regole severe ben precise. Ching non doveva solamente comandare migliaia di uomini, ma anche persuaderli a farsi comandare proprio da una donna. Tutto ciò doveva essere garantito dalla presenza di persone di fiducia e che fossero rispettate dagli altri comandanti. Per questo la donna scelse di sposare il figlio adottivo Cheung Po Tsai. Dopo essere stato catturato dalla flotta, si era arruolato e aveva velocemente scalati i ranghi fino a farsi adottare dallo stesso Cheng come suo figlio ed erede. La figura di un uomo aiutò Ching a farsi valere in certe situazioni seppure era da lei che provenivano tutti gli ordini.

Il codice della flotta era molto severo e prevedeva pene quale il taglio delle orecchie, lo squartamento e la fustigazione. Ai pirati era proibito razziare i villaggi che li rifornivano, pena la decapitazione immediata. Le regole dei bottini erano molto chiare: venivano versati tutti in un fondo pubblico e il sequestratore poteva tenere solamente il 20%. Questo permetteva di dividere il bottino in parti uguali e permettere l’acquisto di forniture per le navi danneggiate. Chi rubava dal fondo pubblico rischiava la morte. Anche diserzione e disobbedienza erano considerati reati capitali: chi non obbediva agli ordini o ascoltava ordini che non arrivavano direttamente da Ching era destinato alla morte. L’offesa, per la regina dei pirati, non stava tanto nel valore, quanto nel non rispetto delle regole.

Ching Shih

La gestione delle prigioniere

Oltre a questi aspetti, Ching cambiò anche molte delle vecchie dinamiche di genere: sulla sua nave erano presenti sia uomini che donne (a dispetto del detto che una donna su una nave porti sfortuna). Gli stupri erano severamente puniti. Ai suoi uomini era proibito approfittare delle donne fatte prigioniere durante le razzie e, anche nel caso si fosse trattato di un rapporto consensuale, da Ching non era accettato. La pena era la morte per entrambi. Le donne catturate dovevano essere liberate, anche se quelle più belle venivano spesso sposate dai pirati. La legge però parlava chiaro: se il pirata prendeva moglie doveva esserle fedele.

Un ritiro in grande stile

Se molti pirati vantano storie di grandi morti in battaglia, di Ching non si può dire lo stesso. Non fu così stupida da attendere una morte violenta. La marina imperiale cinese non fu mai in grado di abbattere la Red Flag Fleet, ma nemmeno l’impero portoghese e quello britannico riuscirono ad affrontare e sconfiggere la più grande flotta di pirati mai esistita.

Nel 1810, dopo molte trattative, Ching si sentì pronta a lasciare la pirateria ed accettò l’offerta di amnistia dell’impero cinese, assicurandosi anche di mettere in salvo i suoi uomini. A lei fu garantito il diritto a mantenere le proprie ricchezze, le fu dato un titolo nobiliare e le assicurarono il comando di navi della marina imperiale e navi commerciali. Pochissimi pirati ricevettero punizioni per i crimini compiuti e Ching morì di vecchiaia a 69 anni dopo aver aperto una sala di gioco d’azzardo.

Ching Shih rimane la dimostrazione di una donna che, nella società cinese, fu in grado di crearsi nuove strade per riuscire ad ottenere legittimazione e autorità attraverso le proprie relazioni.

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Erica Nunziata

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