Percorrendo le sale del Museo degli Strumenti Musicali al Castello Sforzesco di Milano, non si può far a meno di notare una serie di opere in vetro in dialogo con il mondo della musica: si tratta della mostra “Vetro e Opera Lirica. Soffi d’arte” curata da Fiorella Mattio e Sandro Pezzoli. È lo stesso Pezzoli, collezionista di vetri ed esperto di lirica, a voler legare questi due mondi, entrambi di per sé in grado di emozionare e raccontare attraverso il soffio dell’artista: così come il vetro si genera dal fiato, il canto lirico si diffonde attraverso il respiro. In più, lirica e vetro condividono l’Italia e, più nello specifico Venezia, come luogo cardine nella storia della loro fioritura.
Agli artisti, alle artiste e a* artist* espost*, che provengono da background differenti, viene chiesto di realizzare un’opera in vetro inedita strettamente legata al mondo della lirica per creare una sinergia che andasse oltre all’estetica. Mentre molt* di loro si sono concentrat* principalmente sulla tecnica o su una scena particolare, alcune delle artiste donne mi hanno offerto degli interessanti spunti di riflessione partendo da una loro rilettura personale e contemporanea di alcuni dei più celebri personaggi femminili dell’opera lirica. Due sono le opere che maggiormente mi hanno colpita: La Mala Madre di Montserrat Duràn Muntadas e Turandot dal Cuore di Vetro di Maria Christina Hamel, che riprenderò proprio per la loro originalissima reinterpretazione. Ma prima, giusto una postilla: generalmente, alle donne protagoniste dei racconti lirici viene assegnata la funzione di madre o di moglie, ruoli che, secondo le leggi del patriarcato, dovrebbero appartenere al genere femminile per nascita, concetto ancora oggi molto forte. Questa costrizione può generare ambiguità, caratteristica perfettamente rappresentata proprio dai personaggi femminili nella lirica, le cui uniche modalità di redenzione sembrano essere la morte o il matrimonio.
In La Mala Madre di Montserrat Duràn Muntadas il ruolo della madre in lirica viene raffigurato attraverso delle sagome in vetro e tessuto da cui fuoriescono dei frammenti di corpo umano. Questi oggetti ibridi, proprio per questa loro duplice natura, mi hanno trasmesso un senso di inquietudine, lo stesso rappresentato dalle protagoniste donne riprese dall’artista. Montserrat Duràn Muntadas riprende in primo luogo Cio-Cio-San in Madama Butterfly di Giacomo Puccini che, accecata dall’amore per l’ex marito, si suicida lasciando il figlio da solo e, di conseguenza, violando il suo ruolo di madre. Viene recuperata anche Suor Angelica dall’omonima opera, sempre di Puccini, che vorrebbe perseguire la sua volontà di essere madre, ma, essendo il figlio nato da un rapporto considerato illegittimo, non le è concessa questa possibilità. Lei e la sua prole moriranno. Altro personaggio qui riportato è la Regina della Notte nel Flauto Magico di Wolfgang Amadeus Mozart, la quale, mossa dalla vendetta, tradisce il suo ruolo di madre minacciando la figlia di morte per perseguire i suoi intenti. Anch’ella viene punita con la morte. Come si può notare in questi tre personaggi, l’essere madre non è un’esperienza univoca: c’è chi come Cio-Cio-San che ignora il destino del figlio andando contro il suo essere genitrice, chi come Suor Angelica vorrebbe esserlo, ma lo fa “male” (o meglio: al di fuori dei termini stabiliti dalla società) o chi come la Regina della Notte sfrutta questa sua funzione per realizzare i propri intenti. Ancora oggi l’essere madre è un concetto molto stereotipato e che viene inteso come caratteristica intrinseca al sesso femminile tanto da validare una donna come tale solo attraverso la maternità. L’ideale sarebbe scardinare questo principio e far diventare la maternità, proprio per la sua complessità, una scelta.
Nell’opera Turandot dal Cuore di Vetro di Maria Christina Hamel, invece, viene ripreso il personaggio di Turandot, solitamente visto come negativo. L’avversità verso questa donna, descritta come fredda e frigida, scaturisce dal suo iniziale rifiuto per il matrimonio: ella, infatti, ha giurato, a seguito di un trauma, di non concedersi a nessun uomo. Solamente il suo cambio d’intenti, quindi solo con le nozze, Turandot si redime e l’opera si conclude positivamente. In questa installazione si cerca di dare un’accezione positiva al personaggio non per la sua redenzione finale, ma per aver tentato di emanciparsi da un ruolo a lei imposto sia dalla società che, più nello specifico, dal padre che vorrebbe vederla nelle vesti di moglie. Agli aggettivi apposti a Turandot di donna “fredda”, contrastano i colori accessi e la lucentezza dell’opera realizzata in vetro di Murano. L’autodeterminazione femminile è tutt’ora non così scontata, ma, anzi, viene spesso ostacolata, e questa scultura rappresenta un inno alla ribellione alle leggi del patriarcato.
Queste due opere, come si è potuto constatare, sono di una grande forza espressiva e racchiudono in sé messaggi importanti che riguardano non solo la lirica e il vetro, ma anche la nostra società contemporanea. Nonostante manchino solamente pochi giorni alla chiusura della mostra, invito chi non è riuscito a visitarla ad andare a vedere le opere o, per chi non riuscirà, a dare un’occhiata all’omonimo catalogo: verrete sicuramente travolt* anche voi dalla potenza di quest* artist*.
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