“La condivisione genera empatia. E mi cura”.
La parola “Rokitansky”, fino a poco tempo fa, non mi diceva assolutamente niente. Non conoscevo il significato, l’entità e il vissuto che porta con sé questo nome che, in realtà, nasconde una moltitudine di storie. “Circo Rokitansky” ha colmato questa lacuna e, nondimeno, mi ha restituito tanta potenza.
Ho trovato che il filo rosso di questo libro fossero le aspettative: cosa ci si aspetta da un corpo, da un vissuto e dalle esperienze spesso viene imposto dall’esterno quando, in verità, la realtà è molto più complessa. Dalle bambine ci si aspetta arrivi il ciclo mestruale, accolto come fosse un rito di passaggio per diventare “signorina”, dalle ragazze ci si aspetta la rottura dell’imene al primo rapporto sessuale, come fosse una firma di autenticità, mentre dalle donne ci si aspetta la maternità, ma non la propria maternità, ma quella “vera”, quella biologica. Niente di più, niente di meno: ai corpi femminili o, più in generale, a qualsiasi corpo viene iscritto un destino sulla base dei propri genitali, che sia un pene o una vagina (e se c’è altro, bisogna ripararlo). A Olivia, la protagonista del racconto, niente va secondo i piani: la sindrome di Rokitansky modifica la strada che avrebbe dovuto percorrere.
La sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser è caratterizzata, come viene scritto nel libro, “da aplasia (ovvero la mancanza o il blocco dello sviluppo di un organo) congenita dell’utero e della porzione superiore (2/3) della vagina”, una malattia che colpisce una donna su 4500. Per quando si tratti di un organo che non c’è, l’assenza diventa una presenza costante nella vita di Olivia e nelle sue scelte, che devono forzatamente deviare dalla norma. Il ciclo mestruale non arriva, l’imene al primo rapporto sessuale non si rompe e i figli biologici non ci saranno. Ma tutto questo, dall’esterno, non si vede: la Rokitansky è infatti una sindrome invisibile, che, se non le viene data forma a parole, non si percepisce. Da fuori ovviamente. Dentro Olivia vive la grande sofferenza di non poter percorrere la strada che le è stata tracciata, soprattutto quella della maternità.
Ma se c’è una cosa che ho imparato da Olivia è che la maternità non è una strada a senso unico, ma tante vie diverse e altrettanto valide. C’è chi adotta, chi ricorre all’inseminazione artificiale e chi sceglie la procreazione medicalmente assista: nessuna di queste modalità invalida l’esperienza della maternità, a differenza di quello che ci fanno pensare. “Ti chiamo figlio mio ma sei piuttosto figlio legittimo della mia libera scelta”: un atto di amore consapevole e incondizionato. E non importa che scelta prenderemmo noi: nessun* ha il diritto di mettersi in mezzo all’autodeterminazione di un’altra persona.
Se volete farvi travolgere dal vissuto di Olivia (che potrebbe essere distante dal tuo, ma ti assicuro che ti restituirà tantissimo lo stesso) non toglietevi l’opportunità di leggere questo libro.