“Corpi ribelli” curato da Giulia Paganelli è uno splendido palcoscenico che dà voce ad alcune storie di corpi marginalizzati, spesso raccontati in modo stereotipato da qualcun* altr*. È una preziosa occasione di ascolto e di messa in discussione personale, il tutto grazie a* protagonist* dei racconti che hanno scelto di parlare del proprio vissuto, spesso complesso e intriso di violenza, ma di cui non possiamo non essere grat*.
Corpi come pianeti: tutti differenti nella loro unicità, ma che dialogano tra loro nello stesso universo. “I corpi dissidenti, non conformi, ribelli, si riconoscono”: così esordisce Pietro Turano nell’introduzione. E non poteva essere frase più vera: nonostante le narrazioni dei corpi ai margini siano complesse e subiscano differenti forme di discriminazione, la radice patriarcale della loro espulsione è evidente e non possiamo non accorgersi dell’intersezione delle varie lotte. Da questo libro, difatti, non si può non far proprio il concetto di intersezionalità: le oppressioni, nonostante siano multiple, sono inevitabilmente intrecciate tra loro e non si può lasciare indietro nessun*, specialmente nella società capitalista, razzista, sessista, grassofobica, abilista, transfobica, ageista (e chi più ne ha più ne metta) in cui viviamo.
Veniamo educat* fin da bambin che esistono delle identità migliori rispetto ad altre, che il femminile stona, che la disabilità è un fastidio, che l’uomo nero è il cattivo della situazione, che esistono solamente due generi scelti sulla base di quello che abbiamo tra le gambe, ma soprattutto, tra le tante altre cose, che il nostro corpo deve seguire determinate regole e raggiungere certi standard in ogni fase della nostra vita.
I nostri corpi, di conseguenza, devono essere addomesticati: se non adatti, devono adattarsi, se non riescono ad uniformarsi, devono restare in silenzio e possibilmente lontani dallo sguardo altrui; il tutto, inoltre, è responsabilità del singolo: se siamo così e se agiamo in un certo modo è colpa solo nostra. Spesso l’immagine che abbiamo di noi non è quello che vorremmo che sia e combattiamo per raggiungere certi ideali in solitudine, nascondiamo la nostra storia e le nostre volontà che altrimenti verrebbero attaccate senza pietà, perché quella pietà l’abbiamo persa nel momento in cui il nostro corpo esiste in un certo modo o ha vissuto delle situazioni che non doveva vivere. Quello che spesso viene dimenticato è che il nostro corpo è parte integrante della nostra identità, il corpo siamo noi, e non siamo noi a doverci adattare, ma il mondo deve essere a misur* di tutt*. Quindi smettiamola di raccontare in modo univoco le storie di altr*, ascoltiamo di più e fermiamoci dal giudicare incessantemente l’esteriorità o il vissuto delle altre persone. Parliamo e agiamo insieme, da collettività consapevole.
Tuttavia, proprio per la natura della società che viviamo descritta poco sopra, dobbiamo ammettere che non è sempre facile imparare a cambiare il nostro modo di vedere le cose e ad accogliere ciò che ci hanno sempre insegnato a respingere. È un lavoro di decostruzione, che implica lo sradicare le fondamenta, il demolire le pareti, il far saltare in aria il tetto e il ricostruire tutto da capo con poche istruzioni. È un impegno costante di ascolto e di messa in discussione personale, con pochi strumenti a disposizione e sta a noi scegliere criticamente cosa assimilare. È anche, per tutti questi motivi, un privilegio, perché implica fatica, tempo, energie e voglia che non tutt* hanno e un lavoro da fare inevitabilmente insieme.
Proprio per questo motivo ‘Corpi ribelli’ è uno strumento preziosissimo: un piccolo e grande passo per iniziare a sradicare il nostro mondo e le nostre convinzioni.