Quotidianamente chi si occupa di temi quali attivismo, femminismo e gestione delle diversità ha una cosa ben chiara in testa: i cambiamenti che oggi sperimentiamo sono il prodotto di mutazioni sociali e legislative perlopiù molto recenti. Con recenti intendo che per la maggiore sono passati meno di 100 anni. Ora, per molti un secolo può sembrare un periodo di tempo lungo, ma in realtà, per questo tipo di fenomeni, non lo è. Ciò che stiamo tutt’ora vivendo è un mutamento sociale e culturale senza precedenti, che è andato a scuotere le basi di millenni di una società ben precisa, quella patriarcale.
Chiariamoci
Il patriarcato, il cui nome ci risuona in testa come quello di una creatura mostruosa o di un’invenzione delle femministe, non è altro che il modello sociale, politico ed economico basato sulla divisione binaria di genere (e di conseguenza di ruoli), sulla monogamia e sul controllo esclusivo sulla vita privata e pubblica. Quindi è la supremazia maschile.
Proveniente dal greco antico, inizialmente il termine era utilizzato per descrivere l’autorità incentrata sul capofamiglia maschio, ma il significato non ha tardato ad estendersi al dominio su istituzioni politiche, economiche e religiose. Dalla struttura familiare si passa all’intera struttura sociale, il tutto consolidato dalle leggi emanate nel corso dei secoli, che hanno stabilito e garantito una forte gerarchia e subordinazione delle donne.
Questo sistema, fortemente sbilanciato, ha perpetuato le disuguaglianze.
Qualche esempio
In nome di una farlocca credenza che valuta le donne come esseri inferiori e le categorizza, si è quindi dato vita ad un sistema sociale che ne ha difeso l’esclusione dalla vita sociale e politica. Considerando l’Italia, è nel secondo dopoguerra che qualcosa cominciò a muoversi. Il Paese, reduce da due conflitti mondiali che avevano decimato la popolazione maschile, si è ritrovato con le donne che avevano occupato i ruoli maschili. I conflitti mondiali avevano modificato le dinamiche di genere e fatto sì che queste donne finalmente potessero abbandonare la sfera domestica e accedere a quella pubblica. L’egemonia maschile cominciava a barcollare, le donne pretendevano diritti, non volevano tornare ad essere subalterne.
Si parla di una crisi normativa, perchè i ruoli che fino ad allora erano rimasti rigidi ed inflessibili, in quel momento furono messi in crisi. Il processo di urbanizzazione ed industrializzazione contribuì a questo cambiamento, e cominciarono mutamenti socioculturali anche sul piano della sfera sessuale. Si comincia a parlare di divorzio, di aborto, di contraccezione. Questi temi sono di vitale importanza, perchè in precedenza, tra le influenze di Stato e Chiesa (enormi poteri maschili), non era mai stato dato loro posto all’interno del dibattito sociale.
Nel 1971 viene legalizzata la contraccezione, spinta non solo da una lieve apertura mentale, ma soprattutto dal timore del sovraffollamento. Questo comincia a cambiare anche la visione della gravidanza, da qualcosa che capita ad una scelta. Oggi (2025) sono passati 54 anni, l’età di mia madre praticamente.
E’ del 1978 la legge che tutela e regolamenta il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. 47 anni. Anche se sappiamo che è un diritto ancora fortemente ostacolato.
La monogamia, che peraltro è stata scelta come strategia riproduttiva vantaggiosa alla sopravvivenza, ha radici così profonde che l’adulterio (quello femminile in particolare) era considerato reato penale. Un crimine contro la società e la morale. Il reato di adulterio femminile viene cancellato nel 1968. 57 anni.
Nel 1975 avviene una riforma del Diritto di Famiglia: non si parla più di patria potestà ma di potestà genitoriale (poi responsabilità genitoriale), si annulla la potestà maritale. 50 anni.
Perché libertà non scontata?
Tutti questi cambiamenti così epocali hanno naturalmente scosso delle basi millenarie. Cominciare a smuovere delle basi simili comporta timore, insicurezza e a la percezione di una mancata stabilità. Rimette in discussione quelle che da sempre sono state le nostre certezze, ma anche quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni, di intere generazioni! Non è facile affrontare i cambiamenti, tutt’al più quando prevedono l’ascolto delle comunità marginalizzate, che siamo abituati a percepire come inferiori, invisibili.
Eppure cambiamento significa anche progresso, significa che individui si sono mossi prima di noi per ricercare una maggiore uguaglianza e migliorare la società. Bisogna crederci nel cambiamento perchè non stiamo affrontando l’ignoto ma gruppi di persone, esseri umani.
Per tutti questi motivi la libertà non è mai scontata, donne prima di me hanno lottato e donne dopo di me lotteranno. I diritti che ho io in questo periodo storico sono merito di qualcuno che ha affrontato questo sistema sociale e, in parte, lo ha vinto. A noi il compito di perseguire questo cambiamento per poterci sradicare sempre di più da un modello sociale che ci ha costretto a stare in basso. A noi il compito di metterci in discussione, di fare rete, di informare e di manifestare. Ad ogni singolo individuo il compito di cambiare la propria vita, e così cambierà quella della società.