È vero che tutte le persone che entrano nella vita lasciano qualcosa, ma c’è anche chi arriva
e ti travolge completamente. Veronica mi ha insegnato il concetto di sorellanza: un legame
di ideali comuni, di lotta, di sostegno e di confronto. Il nostro rapporto, infatti, nasce da
sorelle.
Di Veronica ho sempre apprezzato il suo integrare il transfemminismo intersezionale in ogni
aspetto della sua vita, compreso il suo lavoro. Da psicologa e psicoterapeuta, infatti, i suoi
valori sono diventati parte integrante della sua pratica lavorativa e ha unito sapientemente
quelle che ritengo essere due grandi forme di cura. Ma non solo: il femminismo è diventato
un vero e proprio modo di vivere la realtà che la circonda, con la fervida volontà di
trasformare il mondo che abita.
Vero, inoltre, oggi è anche mia amica e, in quanto tale, non ha potuto dire di no alla mia
richiesta di intervistarla: vedremo insieme in che modo il femminismo può influenzare
diversi aspetti della vita, dal lavoro al quotidiano.
Se poi avrete voglia di conoscerla di più, vi invito a seguirla sui social alla pagina Instagram
@veronica_caragnigni_psi

Partiamo dalla tua formazione: che studi hai conseguito? Pensi di avere imparato tutte le
conoscenze e competenze necessarie dalla formazione accademica, o ti sei soffermata anche su
altro?
Sono psicologa e psicoterapeuta con approccio psicodinamico perché il linguaggio del simbolo è
quello che mi è venuto da subito più naturale.
È stata una formazione lunga e intensa, ma la preparazione accademica, pur essendo necessaria, non
è mai sufficiente. La conoscenza giunge (mi è giunta e mi giungerà) anche attraverso altri canali: i
libri, l’arte, la musica, la strada, i viaggi, i gruppi, gli incontri, le storie.
Pensi che il femminismo sia importante nel tuo lavoro di psicoterapeuta?
Il transfemminismo intersezionale è la lente attraverso cui guardo il mondo e guido il mio agire e il
mio pensiero; perciò, inevitabilmente, anche la mia pratica clinica è condizionata da questo
approccio al mondo e all’umano.
Il femminismo non è un essere monolitico: muta, evolve e si smussa, ma ogni femminismo è
guidato da un medesimo progetto ambizioso di trasformazione del mondo. Il transfemminismo
intersezionale parte dall’assunto che il valore di ogni individuo sia legato alla mera esistenza,
ovvero al semplice fatto che esista e che occupi un posto sulla Terra. Eppure, ad oggi, non è così:
alcune categorie vengono discriminate e marginalizzate ed è nostro compito di persone e di
professionist* della cura riconoscerlo. Come dice M. Galindo: “si diventa femminista partendo da
una critica, da una messa in discussione del proprio ruolo nel mondo”.
Il femminismo è una progettualità politica, che critica le iniquità e che prova a eliminare le
ingiustizie provando a costruire un mondo alla misura di ogni esistenza.
Mi si potrebbe rimproverare il fatto che un* psicoterapeuta non dovrebbe occuparsi di politica, ma
il mio essere un soggetto politico si discosta dalla dimensione partitica e abbraccia invece una
dimensione aristotelica, ovvero che parte dall’assunto che “l’uomo è un animale politico” e che, in
fondo, tutto è politica, perché la politica è partecipazione alla vita sociale e civile.
Ma, ancora, mi si potrebbe far notare che, così agendo, rischio di minare la neutralità richiesta a
ogni psicoterapeuta; eppure, abbiamo imparato che la posizione neutrale è possibile in un contesto
giusto ed equo, altrimenti la neutralità fa il gioco del potere, che collude con le disparità, con le
ingiustizie, si traduce in omertà e legittima le violenze.
E in che modo, nel concreto, applichi la teoria femminista alla tua pratica lavorativa?
Nello spazio terapeutico (reale o virtuale) accolgo tendenzialmente una persona sola e il mio focus
attentivo deve stare su di lei, portatrice unica di una storia, di un’esperienza, di un dolore. Eppure,
contemporaneamente, è necessario non dimenticare che l’individuo è inserito in un contesto vicino
e lontano (famigliare, comunitario, nazionale, globale) che lo influenza.
Gli assetti politici, sociali, culturali ed economici hanno effetti sulla quotidianità, sulle scelte, sulle
possibilità e, quindi, anche sulla salute mentale. Ed ecco che le ferite individuali e i traumi personali
possono sommarsi a ferite e traumi collettivi, che coinvolgono un’intera categoria.
Privato e pubblico, individuale e sociale sono in stretto contatto, non possiamo dimenticarlo.
Il mondo è malato e le persone si ammalano. Come dice in modo più raffinato G. Contestabile:
“significa inserire la cartella clinica del paziente nella sua storia personale e quest’ultima nella
Storia”.
Ne consegue che non tutto è esito di una responsabilità individuale e non tutto dipende dalla
capacità del singolo: esistono limiti e responsabilità dell’Altro e collettive. Anzi, dirò di più, chi
detiene il potere e chi detiene i mezzi di produzione ha delle responsabilità maggiori (che si
traducono, talvolta, in vere e proprie colpe).
Quindi, nel concreto, ciò che cerco di fare nella mia pratica clinica è provare a contenere dentro di
me tutti questi aspetti e immaginare gli intrecci e i condizionamenti.
Penso altresì che alla psicologia spetti l’arduo compito di eliminare alcune nozioni eteropatriarcali
psicoanalitiche che, oggi, sono incompatibili con la clinica moderna.
Oltre alla psicoterapia, partecipi od organizzi altri progetti attinenti al femminismo?
Mi piace scrivere, soprattutto di vita e di salute mentale e pubblico i miei articoli su Substack ne “lo
svuotafrigo”.
Nel 2024, con una collega nutrizionista, ho registrato un podcast “Ma quante storie!” che ha
l’ambizioso obiettivo di mettere in luce e superare un fenomeno dilagante, più o meno conosciuto,
fatto di luoghi comuni, pressioni, stereotipi, preconcetti e pregiudizi che ogni donna incontra e
subisce nel corso della sua vita. Un mondo che ha l’immenso potere di condizionare il benessere, le
scelte e la libertà delle donne.
Non posso non citare il bookclub che abbiamo creato io e te, “Storie di corpi”, in cui abbiamo
indagato, attraverso diversi libri, le varie narrazioni iscritte sui corpi, soprattutto sulla pelle delle
identità marginalizzate.
Poi, c’è anche un libro in cantiere, che avrà decisamente un taglio transfemminista, ma te lo
racconto alla prossima intervista.
Ahahahahhahah.
Reputi sia importante andare oltre il tempo del lavoro per parlare di questi temi?
Sono convinta che la conoscenza sia un diritto universale: l’accesso alle informazioni e a certi
contenuti di pensiero dovrebbero poter essere a disposizione di tutte le persone; eppure,
attualmente, non è così. Studiare e leggere, pur essendo diritti umani, sono ancora legati a una
dimensione di privilegio e di possibilità (economiche, cognitive, linguistiche, di tempo, territoriali),
ecco perché provo, nel mio piccolo, a fare educazione e divulgazione con il podcast, sui social, nel
blog ecc…
Poi, va beh, come soggetto militante (e nella fortuna di avere un corpo abile), mi si può incrociare
in qualche piazza o a qualche presidio, perché credo molto nella politica dal basso e nella lotta
comune: ”dalla stessa parte mi troverai”.