Nel 1971 Linda Nochlin scrive “Perché non ci sono state grandi artiste? (Why have there been no great women artists)?”, un saggio a parer mio brillante che si pone come obiettivo quello di spiegare come mai all’interno del panorama artistico a lei coevo non vi fossero delle presenze femminili ritenute rilevanti. Il testo, dopo aver sapientemente descritto cosa voglia dire essere un grande artista, elenca e analizza tutti i motivi, per lo più sociali, secondo cui una donna non riesca (o meglio, non possa) ad arrivare ai vertici dell’arte.
Essere un’artista donna negli anni Settanta, quindi, rappresenta di per sé un vero e proprio atto rivoluzionario. In un contesto culturale così selettivo, le artiste scelgono come mezzo di espressione privilegiato il proprio corpo, che diventa un forte strumento di autoaffermazione. Il fine è quello di avvicinarsi sempre di più alle questioni sociali e politiche che, per la prima volta, irrompono prepotentemente nell’ambito artistico, come il femminismo dei suoi esordi. Da oggetto artistico quale è stato (si pensi ai numerosissimi nudi femminili nella storia dell’arte), il corpo femminile diventa soggetto attivo e significante.
Oggi, sebbene si possa affermare che la posizione delle donne sia migliorata, non si può parlare ancora totalmente di parità: nonostante il numero di ragazze che frequentano istituti d’arte e che studiano la storia dell’arte sia superiore rispetto a quello degli uomini, ai vertici delle istituzioni artistiche primeggiano numericamente ancora gli uomini. Inoltre, ancora oggi, il fenomeno dell’oggettivazione del corpo femminile non ci è così estraneo, come si può osservare nel modo in cui viene considerato differentemente la donna nuda dal nudo artistico.
In un contesto come quello artistico, nel concreto, cosa si prova ad essere un’artista donna? Come si può utilizzare il corpo come mezzo artistico e di denuncia sociale? Com’è cambiata dagli anni Settanta la percezione della donna nel mondo dell’arte? A rispondere a questi quesiti ci corre in aiuto Kaethe Kauffman, artista contemporanea che per tutta la sua vita, e ancora oggi, ha posto al centro della propria riflessione artistica la donna in quanto soggetto.
La vita
Se dovessi descrivere Kaethe Kauffman come persona, direi che è posata, gentile e molto generosa. La sua propensione alla condivisione con il prossimo è una caratteristica che la contraddistingue al punto di voler condividere la sua storia con me, e ora con voi, aprendo diverse riflessioni sul ruolo della donna nel mondo dell’arte.
La sua formazione è geograficamente molto variegata: partendo dall’Inghilterra, a Londra, si sposta in Yugoslavia, in Spagna, in Messico per poi approdare in America, sua terra d’origine. Le sue opere sono state esposte in diverse città, tra le quali figurano New York, Washington, Praga e Venezia. In laguna, Kauffman ha presentato nella seconda metà del 2022 una mostra personale intitolata Yoga: Interiore Eterno, un’istallazione di stampe su seta che raffigurano diverse giunture, per lo più di donne, come la mano, il gomito e il polso, alle quali l’artista ha legato un filamento intriso di pittura. Nel momento in cui la parte del corpo in questione si flette, il filo registra il movimento sulla pelle, creando delle vere e proprie autorappresentazioni. Tale processo viene registrato attraverso il media della fotografia e, a seguito di diverse modifiche dell’immagine, le riproduzioni vengono trasposte su delle lunghe tele di seta che riprendono gli stendardi dei templi buddisti. L’intento di Kauffman è quello di rendere tangibile, in contemporanea, il movimento fisico del corpo e la stasi meditativa.
Non è stata la prima volta che Kauffman si è interfacciata con tematiche di questo genere, anzi: il corpo è sempre stato uno spunto di riflessione costante per l’artista, che è immersa nel mondo dell’arte già a partire dagli anni Settanta.
Hai mai pensato che il tuo essere un’artista donna nel mondo dell’arte abbia in qualche modo influenzato il suo percorso? Se sì, in che modo?
Essere un’artista donna ha sempre rappresentato una parte profonda del mio percorso artistico. All’inizio della mia formazione, precisamente negli anni Settanta (che si è svolta tra Università di Washington, Seattle con una laurea in Studi Asiatici, e presso l’Università del Nevada, Las Vegas, con una laurea in Belle Arti), tutte le studentesse d’arte erano considerate “di seconda classe”, cosa che mi infastidiva molto. Nelle università ci si aspettava che le studentesse d’arte fossero partner sessuali dei loro professori d’arte e, anche se acconsentivano di sottostare a tali figure autoritarie, non erano considerate “buone” artiste, come succedeva, invece, per gli studenti maschi. Ho lottato continuamente per sfuggire alle azioni ridicole degli uomini che mi circondavano.
Quando sono stata accettata da una prestigiosa scuola di specializzazione in arte, i miei professori universitari sono rimasti scioccati. Mi avevano sempre detto che non ero molto brava come artista, forse perché ho sempre rifiutato le loro avances sessuali. Mentre frequentavo il programma MFA presso l’Università della California, Irvine, sono entrata a far parte del Women’s Building, un edificio artistico femminista nel centro di Los Angeles che aveva spazi per mostre, performance, pubblicazione di riviste e convegni. Ho lavorato lì per cinque anni, aiutando a pubblicare Chrysalis, una rivista d’arte femminista.
La mia arte in quel periodo era incentrata sul mio lavoro svolto con tre classi di showgirl (che lavoravano a Las Vegas, in Nevada). La prima, Lorraine, rappresentava la classe inferiore, ovvero quella delle intrattenitrici che erano anche prostitute. JoAnne, invece, rappresentava la classe media: era una showgirl che non ballava e che indossava un costume di 40-50 chili, compreso un enorme copricapo, in una produzione teatrale su larga scala. La terza, Marty, incarnava la classe superiore, ovvero quella delle ballerine. Il capo d’abbigliamento comune a tutte e tre le classi di intrattenitrici era il perizoma, un tanga corto. Nel realizzare la mia arte mi sono ispirata proprio a questo indumento: ho creato molti perizomi con materiali inusuali, come il cavolo cinese sgusciato, il catrame, oggetti trovati per caso e piccoli giocattoli per bambini, come soldatini o motociclette; l’intento era quello di satireggiare il perizoma, capo che viene solitamente sessualizzato. Ho allestito intere pareti con trenta o più perizomi, ognuno diverso dall’altro, accompagnati da opere d’arte e dichiarazioni molto forti delle stesse showgirl. Marty ha esposto disegni eleganti e colorati. JoAnne disegnava sorprendenti rappresentazioni di figure femminili nude che soffrivano sulla croce, come Cristo. Lorraine ha incorniciato grandi assorbenti mestruali Kotex inzuppati di vernice rossa con un coltello conficcato al centro di ognuno. Mentre le opere sofisticate di Marty mostravano un talento insolito per una studentessa, l’arte di Lorraine e JoAnne era viscerale e straziante nella sua forza emotiva.
Nella tua ultima mostra Yoga: Interiore Eterno hai scelto di esporre soprattutto tele che rappresentano corpi femminili. Perché questa scelta?
Il mio lavoro attuale raffigura primi piani di anatomia femminile in pose yoga. Tuttavia, come nel mio lavoro con le showgirl, il tema è anche quello del rafforzamento delle donne. Invece delle tradizionali vedute dell’anatomia femminile, che avevano lo scopo di attrarre lo sguardo maschile, mostro la lotta insita nel difficile lavoro spirituale, lo yoga, attraverso i disegni in vernice bagnata, risultanti del movimento stesso della modella. Il mio intento è quello di creare rappresentazioni di donne che svolgono un lavoro spirituale al fine di bilanciare la preponderanza di immagini maschili che dominano in ogni religione.
In un altro recente corpus di lavori, ho realizzato immagini a grandezza naturale di donne in posizioni di meditazione, tra cui posizioni yoga e classiche pose di meditazione da seduti. Queste immagini hanno lo stesso scopo di Yoga: Interiore ed Eterno, ovvero quello di rappresentare donne potenti e spirituali come esseri divini significativi.
Un altro scopo dell’arte religiosa è quello di ispirare gli altri a condividere l’esperienza rappresentata. Realizzare quest’arte mi aiuta a ricordare di meditare e di contemplare con calma. Spero che ispiri gli altri a fare lo stesso. Trovare la pace e il potere dentro di sé è, per me, il massimo del potenziamento.
Irina Costache, critica d’arte, ha commentato il tuo lavoro con le seguenti parole: “Kauffman espone il corpo non come fonte del desiderio, ma come origine del potenziamento”. Cosa ne pensi? È stata una delle tue intenzioni fin dall’inizio?
Sarò sempre grata alla critica d’arte Irina Costache, Ph.D., per aver espresso l’essenza del mio lavoro. Come si può vedere dai miei primi lavori, il mio obiettivo è stato fin dall’inizio quello di mostrare allo spettatore nuovi modi per sperimentare il potere femminile.
Il mondo dell’arte, per quanto riguarda la percezione della figura femminile, sembrerebbe sia cambiato. Sei d’accordo? Pensi che sia ancora importante parlare della donna in quanto soggetto attivo?
Sì, è ancora di vitale importanza parlare di questi temi oggi, come testimonia il movimento MeToo. I pregiudizi nei confronti delle donne sono stati trasmessi alla generazione attuale e noi stiamo manifestando contro queste iniquità.
Ma vedo dei progressi. Per esempio, ora è illegale che i professori vadano a letto con le loro studentesse. Di recente ho sentito un professore uomo dire che lui e una sua studentessa volevano fare sesso, ma non valeva la pena correre questo rischio per non perdere il suo lavoro. Dunque, da quando ho frequentato io la scuola, la situazione è decisamente invertita.
Al museo d’arte locale, prima del Covid, ero in ascensore da sola. Prima che si chiudessero le porte è entrato un dipendente del museo che ho riconosciuto di vista, ma di cui non conoscevo il nome; un uomo di grossa taglia, e quando le porte si sono chiuse mi ha messo alle strette, mi ha abbracciata e mi ha baciata. Sono rimasta scioccata e inorridita e mi sono sentita minacciata. Per fortuna non è stato violento. Quando le porte si sono aperte, sono corsa fuori dall’ascensore. Non lo dissi a nessuno per due mesi perché, ai vecchi tempi, un episodio di questo genere non avrebbe avuto importanza: l’uomo avrebbe detto di non averlo mai fatto e sarebbe stata la sua parola contro la mia. Non avrebbero mai creduto ad una donna. Ma i miei amici mi hanno convinta che probabilmente le sue molestie erano rivolte anche ad altre donne. Inoltre, la cosa ha avuto effetti duraturi, in quanto mi sono ritrovata ad avere paura degli ascensori. È stato mio figlio a incoraggiarmi a denunciarlo, dicendomi che le leggi erano cambiate a mio favore. Ho denunciato l’aggressore alle autorità del museo e, per farla breve, è venuto alla luce che aveva molestato altre venti donne! Nessuna di loro l’ha denunciato, ma quando gli è stato chiesto hanno fatto un resoconto onesto. È stato licenziato perché le leggi sono più intolleranti verso le molestie sessuali. Mio figlio aveva ragione. Si tratta di un cambiamento enorme rispetto ai miei anni giovanili.
Tuttavia, sebbene le donne abbiano fatto grandi progressi in termini di opportunità di lavoro e di equità retributiva, non siamo ancora considerate al pari degli uomini. Purtroppo, vediamo la prova, ad esempio, nell’aspro contraccolpo della destra politica, che ci toglie il potere decisionale in campo medico. Nel mondo del lavoro, inoltre, gli uomini dominano ancora con retribuzioni più alte e lavori migliori e molti maschi si sentono giustificati se hanno opinioni misogine e superiori nei confronti delle donne. È una battaglia continua per essere semplicemente uguali. Continuerò ad affrontare questi temi nella mia arte perché credo profondamente nell’uguaglianza.