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Abilismo: conoscerlo per smettere di farlo

In mezzo a tutte queste battaglie per le donne, tra tutte queste minoranze, queste lotte in una società che pretende il massimo, ma senza fornire gli strumenti necessari, ancora pochi sono i riflettori su un problema attuale: l’abilismo. Probabilmente ancora in molti non sanno che significato associarvi (o non lo reputano neppure un problema) ma lasciate che ve lo riassumi in poche parole semplici da capire.

L’abilismo è discriminazione. Una discriminazione che riguarda le persone con disabilità e l’impedimento ad una loro concreta inclusione.

Tutto qui? E perché sarebbe una discriminazione importante di cui parlare? Una discriminazione di cui anche il femminismo dovrebbe occuparsi?

Solo in Italia le persone con disabilità superano i tre milioni (quelli perlomeno di cui si è a conoscenza) e si trovano ad affrontare un numero di ostacoli nettamente superiore. Ostacoli come le barriere architettoniche e la reale carenza di possibilità lavorative che ne impediscono la partecipazione attiva alla società. Le persone con disabilità sono oggetto di scherno tra i crudeli, di compassione tra i perbenisti o addirittura esempi di santità. Se sei una persona disabile non ci sono vie di mezzo, divisi tra l’eroismo e quegli occhi che sembrano nascondere un pensiero forse un po’ comune: per fortuna che non è successo a me.

Ma ci siamo mai chiesti come questa nostra percezione vada ad influenzare anche la loro? Come ci si può realmente sentire quando gli sguardi di pietà ti si posano addosso e le persone ti passano accanto pregando o toccandoti? A quanto può essere stressante dover gestire la tua vita tenendo conto di un numero infinito di difficoltà?

L’abilismo è una problematica che negli anni è sempre passata inosservata, addirittura normalizzata. Ho avuto l’occasione di poterne parlare con una mia carissima amica, Antonella Candiago, che ha svolto presso Bruxelles un tirocinio all’interno della Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere e un secondo tirocinio all’interno della Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere per il Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici. Le nostre chiacchiere svelano quanto sia importante parlarne, ma anche ascoltare. Ascoltare le esperienze di chi fa parte di queste minoranze. L’importanza di riconoscere gli sbagli della società e di impegnarsi per migliorarli.

Una volta ho letto una frase un po’ provocatoria. ‘Abbiamo fatto dei passi avanti rispetto a quando lanciavamo i bambini dalle rupi’. Credo racchiuda questo senso un po’ comune del pensiero ‘sei in vita, questo basta e avanza’, bloccando ogni possibilità di miglioramento. E tendendo sempre a fare questi paragoni tra periodi storici, andando a sminuire le richieste che vengono fatte al giorno d’oggi.

E’ come se ti dicessero ‘ti ho dato qualcosa, fattelo bastare’. Inoltre si è sviluppata questa narrazione che prevede un consenso unilaterale. Da un lato la persona disabile, che è soggetta a compassione o eletta a simbolo di eroismo, dall’altra viene schernita se non accetta l’aiuto offerto. Le persone continuano a portare avanti uno stereotipo che danneggia la società. Perché la danneggia? Perché non permette una reale integrazione delle persone con disabilità nel mondo del lavoro e nella società.

Certe persone, in quanto donna e disabile, ti hanno mai dato dell’aggressiva? Ti sei mai arrabbiata tanto che le persone che avevi intorno non giustificassero in qualche modo il motivo della tua rabbia, anzi, lo svalutassero?

E’ una cosa che mi è successa, questo perchè in certi casi ho rifiutato un aiuto esterno proveniente da persone sconosciute e di cui a maggior ragione non risucivo a fidarmi. Ma il consenso è molto importante anche in questi casi. Il fatto è che io devo poter dire no all’essere obbligata ad accettare aiuto da sconosciuti. Non voglio essere obbligata a fidarmi di un aiuto, solo perchè sono in sedia a rotelle. Voglio poter decidere io di chi fidarmi, come fanno tutte le altre persone e senza che mi venga rinfacciato. Se da un lato la persona con disabilità nell’immaginario deve sempre far provare compassione, come se avesse costante bisogno di aiuto, dall’altro c’è questa narrazione opposta per cui la persona con disabilità è un eroe. Un termine che mi ha colpita molto è inspiration porn. Rappresenta l’impresa da supereroe della persona con disabilità, cioè come una comune azione viene esaltata al massimo. In breve l’inspiration porn è un tipo di narrazione per mezzo della quale le persone con disabilità vengono rappresentate come fonte di ispirazione nelle azioni comuni.

E’ una chiave comunicativa che usano molto sui giornali e nei film, ma è anche uno stereotipo così interiorizzato che la gente non se ne rende conto. Anzi sono infastiditi dal fatto che dopo tu possa non essere in accordo con loro, che tu non voglia accettare il loro aiuto.

E succede anche su un piano esteriore! Per esempio quando mi dicono che sono bellissima. Per loro divento ancora pià bella perché sono disabile. Nel loro immaginario una persona con disabilità non può essere bella. Questa situazione, questo inspiration porn, mi crea tanta pressione e anche un eccessivo senso critico nei confronti di me stessa perché mi chiedo se davvero sono brava o carina, se sto facendo veramente bene questa cosa o è solo una riflessione delle aspettative altrui.

Probabilmente ciò che succede è che non capisci cosa è realtà e cosa sono aspettative degli altri nei tuoi confronti. Questa dinamica va a influire il tuo modo di percepire le cose. E inoltre, non tutte le persone con disabilità vogliono essere degli eroi. Credo che mentre su certi social si portino avanti molto le lotte per le minoranze penso che ancora non sia una lotta che sia stata trasportata anche nella realtà, le cose non stanno andando di pari passo. Soprattutto in quest’ambito.

I diritti delle persone con disabilità sono sempre stati lasciati indietro dal femminismo e da altri movimenti dei diritti. Ma noi vogliamo tutto, non vogliamo accontentarci. Per questo si parla tanto di un femminismo intersezionale. Tante lotte e tanti bei discorsi, una rivoluzione culturale la stiamo sì vivendo ma non nella realtà. Soprattutto in quest’ambito i diritti delle persone con disabilità sono sempre stati lasciati da parte, per tanti è un argomento spinoso, quasi relegato ai margini.

Se è vero che ogni lotta è un percorso che non è mai finito, proprio per questo non bisogna paragonare i diversi periodi storici. Una maggiore inclusione di tutti dovrebbe essere l’obbiettivo di ogni lotta. Comprendere la complessità di tutte queste oppressioni ci aiuta a capire come in realtà siano tutte in collegamento tra loro anche se ci appaiono diverse.

Esatto, un esempio è il diritto alla maternità. Certe donne con disabilità lo percepiscono come una riappropriazione della loro dignità di donne, mentre magari il femminismo ha portato invece ad un distacco della figura femminile vista come madre. Sicuramente dialogo e ascolto servono per arrivare ad un processo di liberazione che vada ad abbracciare ogni oppresso. In fondo le oppressioni sono tutte interconnesse tra loro, anche se ci possono sempre essere esperienze opposte. Ma le minoranze vanno aiutate, basta pensare a come le donne con disabilità vivano molte forme di molestie e violenze sessuali. Le persone ti vedono come fragile e vogliono affermare prepotentemente la loro superiorità. La società è costruita senza tenere conto delle necessità di moltissime persone e scredita il fatto che ci possano essere esperienze opposte all’interno di queste stesse minoranze. Prendiamo per esempio le molestie e il catcalling: il fatto è che magari io voglia affermare la mia validità anche sessuale e allora in qualche modo vedo bene le molestie.

Nella loro fragilità chi vuole affermare la propria superiorità trova strada libera. Magari anche pensando che staranno zitte. Lo stupro è solo l’apice di una serie di atteggiamenti discriminatori che si vivono tutti i giorni. Come se certe categorie fossero ancora molto invisibili. Sicuramente in questi ultimi anni, addirittura mesi, certe cose si stanno muovendo. Il Ddl Zan ha portato attenzione sulla problematica dell’abilismo, ma la percezione che ho avuto è che probabilmente è ancora un’attenzione molto bassa.

Credo che sia stato un aspetto del decreto che sia stato un po’ oscurato. Non ne hanno parlato in molti, se non i diretti interessati. Ma è importante cercare di parlarne maggiormente, di aprire il vaso di Pandora e prenderne consapevolezza.

Ancora va bene infatti che ci siano barriere architettoniche. Manca la solidarietà. non basta che mi arrabbi io purtroppo, la maggioranza di persone che può accedere ai posti e servizi se ne frega. Sfruttare il proprio privilegio significa anche poter dare maggiore voce a chi ne ha poca e non riesce a farsi sentire.

Se volessimo fare un riassunto magari in un bel elenco puntato utile ai posteri direi che potrebbero essere tre i punti salienti.

1- scontrarsi costantemente con una società abilitata

2- dover avere a che fare con il pregiudizio della gente

3- lottare contro le aspettative

Tutti punti di grande importanza e anche se è vero che un concetto di normalità esiste, non dovremmo lasciare che regoli il nostro intero sistema di valori e il nostro modo di porci verso gli altri.

Ma parliamo del tuo viaggio fino a Bruxelles. Per tanti un viaggio può sembrare una banalità, nel tuo caso significa prenotare tutto in anticipo e dover organizzare tutto nel dettaglio.

E’ stato stressante, una persona non ci pensa a cosa significa scontrarsi con una società abilista. Vuol dire avere molte opportunità in meno, lavorative e sociali. Se faccio un colloquio di lavoro non sono nemmeno sicura di poterlo fare perché magari il luogo di lavoro non è accessibile. Le strade possono essere dissestate, i locali devo sempre informarmi che siano accessibili e a volte capita anche di dover far cambiare i piani a tutti. Di discoteche non se ne parla nemmeno. E così succede che ad un certo punto ti stufi di dover sempre controllare, rinunci alle uscite sociali per evitarti tutto questo stress. Hai uno forte scontro con la realtà, devi andare in un ristorante e magari non ci puoi arrivare. Calcoli un viaggio che faresti in 10 minuti e consideri una mezz’ora, perché magari un ascensore non funziona, una pedano si è rotta. Per fare un viaggio in treno devi chiedere assistenza tre giorni d’anticipo e compilare una serie di moduli. Organizzare sempre tutto nei minimi dettagli e fare attenzione ad ogni cosa ti può portare anche al burnout. Un’esaurimento da stress causato dal dover controllare cose di cui gli altri non si devono preoccupare.

A volte è come se fossi quasi una fonte di dolore per quelli che ti stanno vicini. Vedo una continua svalutazione ma anche complessità nel ricevere aiuti concreti, io ti do qualcosa ma per il resto arrangiati.

Poi non parliamo dell’amore! Nelle coppie con persone disabilità, la persona abile è tipo una santa.

L’idea dell’amore non si dovrebbe confacere all’idea di normalità.

Ti insegno un nuovo termine che ho imparato dall’attivista Sofia Righetti: ablesplaining. Cioè quando una persona abile, con un certo paternalismo, cerca di spiegarti quali dovrebbero essere i tuoi diritti. Quando puoi arrabbiarti o no. Questo si trasmette nella società quando non ti viene data fiducia. Quando ti vengono dati compiti di minor importanza. E non trovi comprensione dagli altri. Se inizi a lamentarti di questo, ti arrabbi, allora cosa succede? Ti vengono a spiegare come dovresti comportarti.

Adoro le nuove definizioni. Finché non dai un nome alle cose non puoi combatterle. Non prendi consapevolezza e non capisci. Anche se in tanti restano confusi anche dopo avergliele spiegate.

Assolutamente. Poi odio quando le persone chiedono le cose ad altri ignorandomi. Per esempio in una situazione in cui sono con te, una persona chiede una cosa riferita a me, ma la chiede a te. Parlando davanti a me in terza persona e rivolgendosi a qualcun altro.

Molti credo associno disabilità e ritardo mentale. danno già per scontato che tu soffra anche di altre malattie. E questo ribadisce l’importanza di una rivoluzione culturale che deve destrutturare le idee pregresse, cambiare le informazioni distorte. Serve a cambiare le ideologie che abbiamo sempre avuto in testa.

Poi in questo discorso mi sono espressa parlando della disabilità mia. Magari tralascio esperienze altre, ma io credo sia importante della propria esperienza, poi ci allarghiamo sul discorso, consapevoli però che esiste una pluralità di esperienze. Se ritrovi in qualcun altro ciò che hai vissuto pure tu ti senti meno sola. Qualcun altro ti conferma che quella è un’ingiustizia e non stai facendo overreacting.

Erica Nunziata

Erica Nunziata

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