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La sofferenza psicologica di Naruto e Luffy: oltre la regola del silenzio della mascolinità tossica

La mascolinità tossica crea una vera e propria prigione sociale: costituisce una limitazione sia per gli uomini, sia per le identità altre che ne soffrono di riflesso. Alla sua base, c’è l’idea che esista un unico modo di essere uomini, definito da comportamenti etichettati come virili. La sofferenza psicologica, però, non rientra tra questi.

Spesso, infatti, gli stereotipi sul “vero” uomo si legano alla gestione delle emozioni: chi non sa nasconderle o reprimerle è una “femminuccia”. Questo stigma emerge già all’interno del nucleo familiare, per poi riproporsi nella società. Pianto, tristezza, angoscia e ansia non rientrano all’interno del corredo della virilità: la mascolinità tossica riconduce queste emozioni al femminile, poichè sintomi di debolezza.

L’espressione delle proprie emozioni è un tabù che per gli uomini persiste ancora oggi. Ad esso, si lega la difficoltà a relazionarsi sulla salute mentale, a tutelare il benessere psicologico e ad agire in caso di sofferenza. Nel 2019, The Vision ha indagato il silenzio maschile su questi argomenti: nel mondo della virilità, è difficile trattare argomenti di questo tipo. In un’intervista di Adnkronos, Paola Vinciguerra, psicoterapeuta e al tempo presidente Eurodap, lamentava proprio questo problema:

“La stragrande maggioranza dei partecipanti al sondaggio, intorno al 70%, pur ammettendo di vivere un disagio ritiene che rivolgersi a un professionista e manifestarlo sarebbe da deboli, e che gli uomini dovrebbero mantenere un contegno, mostrarsi solidi ed efficienti per il bene della famiglia. Solo il 12% ritiene che possa essere utile ammettere di avere un problema e, di conseguenza, rivolgersi ad uno specialista. Il restante 18% preferisce non pronunciarsi.”

Perciò, è particolarmente apprezzabile che in Naruto e One Piece, gli autori abbiano mostrato i rispettivi protagonisti in momenti di sofferenza psicologica ed emotiva. Naruto Uzumaki e Monkey D. Luffy esprimono sempre le loro emozioni, senza filtri, nonostante siano i predestinati ad essere i più forti del proprio mondo. Nel corso della loro crescita, assistiamo a due momenti che rompono definitivamente il silenzio sul taciuto malessere psicologico del maschio alfa.

Naruto, nella puntata 209 di Naruto Shippuden, ha un vero e proprio attacco di panico. Chiunque lo abbia provato può riconoscere l’episodio di iperventilazione che lo colpisce. L’attacco è così violento da farlo cadere a terra; alla fine, il ragazzo perde i sensi, mentre i suoi maestri gli suggeriscono di respirare profondamente.

La stessa situazione si ripresenta anche nella puntata 220 di Boruto: Next Generations. Naruto, ormai un adulto a capo del suo villaggio, si ritrova a iperventilare: gestisce meglio la situazione come chi, negli anni, ha imparato a convivere con questa condizione.

Nella puntata 484 di One Piece, Luffy perde una persona a lui molto cara, uccisa davanti ai suoi occhi mentre si sacrifica per proteggerlo: ha un crollo emotivo e psicologico che lo rende totalmente assente e inerme.

Nelle successive puntate (491, 505) si assiste agli effetti dell’esposizione al trauma. Infatti, Luffy rivive in continuazione quel momento, sia da sveglio, sia nel sonno. Inoltre, ha delle reazioni dissociate da chi lo circonda, mostrando alterazioni brusche dell’umore. Per la prima volta, Luffy è sopraffatto dal pessimismo e da brutti pensieri, sentendo un forte senso di colpa. In più aggredisce persone, rompe oggetti e ferisce sé stesso. La sua sofferenza psicologica è talmente ben descritta che c’è chi vi ha rintracciato i sintomi di un disturbo da stress post-traumatico.

Anche se spesso, negli anime, sono presenti alcuni stereotipi sessisti, in questo caso Masashi Kishimoto ed Eiichirō Oda hanno offerto ai propri protagonisti un’occasione per uscire dagli schemi della mascolinità tossica. Infatti, con questi due momenti di sofferenza psicologica dei protagonisti, avviene una rottura dei rigidi schemi del machismo.

Questa liberazione è importante anche per gli spettatori, spesso uomini e più frequentemente ragazzi in fase adolescenziale, che hanno la possibilità di ergere a modello eroi che rimangono forti nonostante vivano episodi di malessere psicologico. Mostrare un attacco di panico e il disagio post-traumatico esorcizza il tabù diffuso e comune sul silenzio del “vero uomo” sulla sofferenza psicologica perpetrato dall’ideologia della mascolinità tossica.

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Maura Catania

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