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Sapeva di benzina, carta bagnata e di acqua di colonia. Si era avvicinato al bancone appiccicoso senza che me ne accorgessi, aveva poggiato il suo romanzo stropicciato di fianco al mio bicchiere e aveva ordinato un amaro. Mi ero girata e i suoi occhi si erano posati sui miei. Erano dello stesso colore del resto del bar, neri e profondi con due macchie gialle ai lati. Mi aveva sorriso come se già mi conoscesse, poi aveva sollevato il libro e mi aveva chiesto: “l’hai mai letto?”. Iniziammo a parlare de Le notti bianche senza guardare l’orologio. Il tempo era scandito dal rumore della gente che andava e della gente che arrivava. Dal rumore del vetro dei bicchieri e dal tintinnio della campanella sopra la porta.


Ma comunque non sembrava che ci importasse di niente al di fuori di noi due. Eravamo usciti insieme, ci eravamo salutati e lui mentre giravo le spalle mi aveva chiesto se avessi una penna. Gli scrissi il nome e il numero di telefono su uno scontrino umido, ricalcando più volte sulle ultime cifre che si leggevano appena. Conservò il biglietto dentro la tasca dei pantaloni e mi augurò la buonanotte.  Ci risentimmo il giorno dopo, e il giorno dopo ancora avevamo un tavolo prenotato in un locale in centro.

La luce gialla del locale mostrava i suoi spigoli a punta di cui non mi ero accorta e qualche capello grigio sopra le orecchie. Lo guardavo tagliare la porzione di filetto con meticolosa attenzione, sezionare le carote al miele e bere dal bicchiere con il mignolo all’insu. Mi riempì di domande a cui cercai di non rispondere con la bocca piena, e finii per lasciare a metà quasi tutte le portate. Un gruppo jazz suonava dal vivo e non sentivo il suono della mia voce. Mi sembrava di perdere il controllo.

Ci alzammo sazi e lui accompagnò a braccetto verso l’uscita. Non sapeva più di benzina, né di carta bagnata e nemmeno di acqua di colonia. Lasciava dietro di sé una scia di vino rosso, che a me non è mai piaciuto. Gli descrissi dove abitavo, mi lasciò sotto casa e ci salutammo con un bacio a stampo e un abbraccio stentato.

Ci ritrovammo insieme seduti su una panchina, tanti giorni dopo, sotto una quercia che perdeva le foglie arancioni che vorticavano sopra le nostre teste, ci sfioravano e cadevano per terra. Lui mi parlava con gli occhi rivolti verso il basso, mi teneva la mano e io ascoltavo. Aveva cominciato a fumare, e sapeva di tabacco bruciato e fumo.

Forse non ascoltavo nemmeno quello che diceva, sentivo solo il fischio del vento, il cinguettio di due passeri e dei bambini in fondo alla strada che giocavano a calcio. Il cielo era grigio, e di tanto in tanto scendeva qualche goccia d’acqua, mi bagnava le guance e si confondeva con le lacrime, minuscole, che rimanevano bloccate nell’incavo tra gli occhi e il naso. Lui non mi chiese nulla, continuò a parlare.

Una domenica prendemmo la macchina e andammo a farci un giro, senza sapere dove. Lui disse che la strada ci avrebbe indicato la via. Guidava e io tenevo il finestrino abbassato. L’aria di domenica era ferma, non si muoveva una foglia, e ogni domenica era sempre uguale. Una speaker alla radio annunciava la mia canzone preferita, e io alzai il volume, tirai fuori il braccio e mi lasciai dondolare dal ritmo del basso in sottofondo. L’odore di pasta frolla bruciata usciva dalle case intorno. Mi chiese se avessi fame, io avevo proprio voglia di una crostata alle ciliegie. Ci dividemmo la crostata seduti in un bar dove non c’era nessuno. Mangiai a grandi morsi tutta la mia parte e non mi accorsi di tutto il resto. Sentii un vuoto riempirsi, ma poi diventò di nuovo vuoto e allora mi alzai e gli dissi “pago e andiamo”.

La casa dove abitare l’avevamo scelta insieme, un pomeriggio d’estate, un’estate così calda non si era mai vista. Grondavo di sudore mentre lo guardavo affaccendarsi mentre apriva e chiudeva le porte, rifletteva su quali pareti abbattere e quale stanza dedicare agli ospiti. Calpestammo insieme la ghiaia e il prato verde del giardino, si girò e mi disse “è quella giusta”. Annuii senza pensarci due volte, magari avevo solo bisogno di nuovi spazi. E così avevamo fatto presto a preparare gli scatoloni, scaricarli sulla macchina e lasciarli davanti l’ingresso. Se ne aggiungevano così tanti, in fila, alcuni sopra gli altri, altri aperti per sbaglio da cui fuoriuscivano magliette, pigiami, scarpe.

Li guardavo da lontano, mentre ne portavo di nuovi, e mi chiedevo chi li avrebbe sistemati. Io non ce l’avrei fatta, di sicuro. Lui mi abbracciò, forse aveva visto l’aria preoccupata. “Lo faremo insieme”, mi disse. Io provai a stringerlo più forte, ma sentii solo il suo odore di polvere e sudore. Mi allontanai e capii che ce l’avrei fatta, da sola.

Sono seduta su una sedia a dondolo e fisso il paesaggio dall’alto della terrazza. Le foglie volteggiano leggere e si posano sulle mie ginocchia. Mi piace sentirne il solletico sulla mia pelle. È autunno, un’altra volta.


Ho rifatto gli scatoloni, li ho lasciati davanti la porta e presto partirò.

Ho chiamato un taxi, e arriverà fra qualche minuto.

La pancia è diventata pesante e le scale le riesco a scendere con difficoltà. Ho scelto di chiamarla Gioia. Ho scelto io e non l’ho detto a nessuno. Partirò con lei. Ascolteremo Hit the road Jack con le cuffie, e sarà la sua canzone preferita.

Picture of Sara Noto Millefiori

Sara Noto Millefiori

3 risposte

  1. La capacità di descrizione degli istanti come leggeri e importanti credo sia propria delle vere scrittrici. Un racconto avvolgente, grazie.

  2. Bellissimo. Già dalle prime righe ti immergi nella realtà del racconto, ti sembra proprio di essere lì. Percepisco gli odori, i luoghi e lo stato d’animo di lei: la curiosità, la spensieratezza, il peso interiore e il senso di libertà finale.
    Bravissima Sara, ma non avevo dubbi ❤️

  3. Bellissimo. Fin dalle prime righe ti ritrova immersa nel racconto e riesci a sentire odori, rumori, a visualizzare quei luoghi e a percepire lo stato d’animo della ragazza. Mi sono sentita come lei in questi minuti di lettura: incuriosita, affascinata, spensierata, preoccupata,pesante, malinconica e poi di nuovo libera e gioiosa.
    Grazie mille Sara per il tuo racconto è davvero stupendo, ma non avevo dubbi ❤️

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