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Siamo tutt* un po’ Charlotte?

Chiunque abbia visto o letto Orgoglio e Pregiudizio conosce il personaggio di Charlotte Lucas, amica del cuore della protagonista Elizabeth Bennet, che viene inizialmente descritta come una “giovane donna assennata e intelligente” e i cui consigli guidano le sorelle Bennet in più occasioni. La zitella di 27 anni sembra non essere stata baciata dalla fortuna: non è difficile intuire che Charlotte non era oggettivamente bella secondo gli standard di bellezza dell’epoca, in un mondo in cui la donna valeva esclusivamente in virtù di questo e della sua dote.

Claudie Blankley (Charlotte Lucas) e Keira Knightley (Elizabeth Bennet) in Pride and Prejudice (2005).

Charlotte accetterà la proposta di matrimonio rivolta da Mr. Collins, odiato cugino delle sorelle Bennet, rifiutato poco prima proprio dalla sua amica Elizabeth.

Celebre è la frase che Charlotte usa per giustificare la sua scelta con l’amica:

I am not romantic, you know; I never was. I ask only a comfortable home; and considering Mr. Collins’s character, connection, and situation in life, I am convinced that my chance of happiness with him is as fair as most people can boast on entering the marriage state.” (Pride and Prejudice, Chapter 22)

Ma forse la più nota è quella del film diretto da Joe Wright nel 2005, rielaborata da Emma Thompson, di cui Claudia Blankley fa una geniale interpretazione.

Claudie Blankley (Charlotte Lucas) in Pride and Prejudice (2005)

I’m 27 years old, I’ve no money, no prospects. I’m already a burden to my parents. And I’m frightened. So don’t judge me, Lizzy. Don’t you dare judge me. (Traduzione: “Ho 27 anni, non ho denaro, né prospettive. Sono già un peso per i miei genitori. E sono terrorizzata. Perciò, non giudicarmi, Lizzy. Non osare giudicarmi“)

Charlotte è quindi vittima del sistema matrimoniale di cui fa parte, sistema che l’autrice vuole denunciare: il ruolo della donna come subordinato al volere di un uomo, prima il padre e poi il marito. Charlotte sceglie consapevolmente questo ruolo, sa di essere ormai al fuori del range d’età giusto per sposarsi (all’epoca dai 16 ai 21-22 anni circa) e accetta di passare la sua vita legata a un uomo indegno, le cui uniche qualità risiedono nei suoi possedimenti e nella sicurezza che può dare a una moglie. Il personaggio si adatta così alle regole della società che Jane Austen non accetta per sé stessa, rifiutando una proposta di matrimonio proprio a 27 anni.

Si potrebbe definire Charlotte un personaggio femminile “forte”? Forse non sarebbe il primo aggettivo che ci viene in mente, perché identificheremmo naturalmente Elizabeth così. Charlotte è più la spalla saggia e affidabile della protagonista, sempre pronta a donare un nuovo punto di vista al lettore. Come quando suggerisce intelligentemente che Jane Bennet dovrebbe dimostrare più convinzione nell’affetto che prova nei confronti del pretendente Charles Bingley, affinché possa “assicurarsi” il matrimonio.

Se una donna cela il proprio affetto con la stessa abilità a colui che ne è oggetto, può perdere l’opportunità di conquistarlo; e sarà una ben misera consolazione pensare che il mondo ne sia ugualmente all’oscuro. C’è così tanta gratitudine e vanità in quasi ogni affetto, che non è consigliabile lasciarlo in balia di se stesso. Tutti siamo liberi di cominciare -una leggera preferenza è più che naturale – ma pochissimi di noi provano sentimenti tali da innamorarsi sul serio senza essere incoraggiati. Nove volte su dieci, una donna farebbe meglio a mostrare più affetto di quanto ne provi. È indiscutibile che a Bingley piaccia tua sorella, ma potrebbe non esprimere mai più di questo, se lei non gli dà una mano a farlo. (Orgoglio e pregiudizio, cap. 6)

Che dire, Charlotte è senz’altro una ragazza con la testa sulle spalle. Eppure non molti lettori si sarebbero aspettati che accettasse la proposta di Mr. Collins (sulla precedente proposta di Collins a Elizabeth, interessante l’analisi di Claudia Bianchi dell’episodio in Hate speech. Il lato oscuro del linguaggio, in cui evidenzia come il potere di parola di Elizabeth, in quanto donna, sia nullo, visto che non riesce a rifiutare la proposta del cugino se non tramite l’intercessione di suo padre).

Nonostante le prospettive negative che il lettore vede nell’unione, Charlotte sembra trovare una sua dimensione e a non perdere la sua integrità, anzi, grazie al matrimonio sembra quasi rivendicare ancora di più il suo ruolo di donna come un qualcosa di finalmente “compiuto”, ovvero l’essere una moglie e padrona di casa. Se questo è poco adatto al mondo odierno, bisogna calare Charlotte nella sua dimensione storica: il “non avere altra scelta” può essere una forma di rivendicazione se è sfruttato per raggiungere uno scopo personale. Charlotte sente stretto il ruolo di “zitella di famiglia” e per questo sceglie il male minore, sposando un uomo sgradevole. In realtà, anche se sembra che si stia scavando la fossa da sola, Charlotte analizza le sue possibilità con la stessa acutezza che abbiamo visto in altri momenti del romanzo. La giovane donna sceglie la sua libertà: bisogna ricordare che all’epoca una donna sposata godeva di una serie di privilegi rispetto a una zitella, oltre ad avere uno status sociale riconosciuto come apprezzabile e dignitoso. Nonostante quindi la stessa Austen non apprezzi – come si intuisce tra le righe – il suo comportamento, il personaggio di Charlotte rappresenta una tipologia di donna sicuramente molto diffusa all’epoca: si piega sì alle regole sociali per una questione di sopravvivenza, ma lo fa scegliendo di mantenere la sua dignità, e questo è sicuramente un messaggio positivo.

Oggi, infatti, gli standard sociali sono (fortunatamente) cambiati: a 27 anni non si è “zitelle”, l’età media dei matrimoni si aggira intorno ai 32 anni (ISTAT), ma forse il resto della frase di Charlotte si adatta a molti giovani. Non avere soldi, sentirsi senza prospettive all’alba dei trent’anni, essere un peso (soprattutto economico a causa della precarietà) dei genitori è prerogativa di parecchi giovani adulti di 27 anni. E, forse, un po’ tutti ci sentiamo giudicati per questo, e tendiamo a compiere delle scelte che ci rendono accettabili agli occhi della società. Quanto però la scelta socialmente accettabile si adatta alla nostra situazione? Vale la pena finire tutti i propri risparmi ed essere costretti a chiedere soldi ai genitori tutti i mesi perché “a 30 anni non puoi mica ancora stare coi coinquilini”? Oppure sposarsi pur non essendone convinti perché “state insieme da 10 anni e convivete, cosa state aspettando”? O ancora sentirsi dire di lasciar perdere le proprie aspirazioni, perché “a una certa età la sicurezza contrattuale è più importante”?

Sì, le cose sono cambiate e a 27 anni non siamo più etichettate come zitelle, né dobbiamo sposarci per poter avere sicurezza e libertà, ma il giudizio sociale sembra essere ancora notevolmente influente nelle nostre vite. E anche quando compiamo delle scelte in linea con ciò che la società si aspetta da noi, questo non deve essere motivo di vanto o di biasimo. In ogni caso, dunque, e qualunque sia la nostra scelta, dovremmo ogni tanto ricordarci di Charlotte.

Siamo davvero sicuri che non avremmo sposato anche noi Mr. Collins?

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Gloria Fiorentini

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