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DISFORIA DI GENERE E TRANSIZIONE: quando la Medicina deve demedicalizzare

Dal 2020 la terapia ormonale per la transizione MtF e FtM è gratuita in tutte le regioni italiane. Alle persone che effettuano la transizione è riconosciuta assistenza legale gratuita, sarà un giudice infatti ad approvare il cambio dei documenti anagrafici. Ma andiamo per ordine.

La transizione comincia di solito con una diagnosi di disforia di genere che solo dal 2018 non è più inclusa nel capitolo dei disturbi mentali della classificazione internazionale delle malattie ICD, ma è stata spostata in un capitolo appositamente redatto come “incongruenza di genere” in materia di salute sessuale. Un importante passo avanti dunque è stato fatto per depatologizzare le persone transgender. Il transessualismo non è un disturbo mentale e non lo è la disforia di genere. Nel 2010 il WPATH, un’associazione professionale che si occupa di salute delle persone trans, ha stabilito nel suo consiglio direttivo che essere persone trans o di genere non conforme è una questione di differenze, non di patologia.

Ma se non è di patologia che parliamo, perché serve il medico specialista in endocrinologia? La prima figura indispensabile alla transizione è in realtà lo psichiatra o psicoterapeuta che approccia alla sfera della sessualità non conforme. Non necessariamente una persona sessualmente non conforme avrà una diagnosi di disforia di genere, dal momento che quest’ultima implica una condizione di disagio, un’angoscia clinicamente significativa legata alla non conformità di genere, avvertita come incompatibilità tra il sesso biologico assegnato alla nascita e il genere di appartenenza. Se al contrario sceglie di vivere serenamente la sua intersessualità, non andrà incontro alla terapia ormonale e/o chirurgica di riassegnazione del sesso.

Successivamente si afferirà ad una struttura endocrinologica, ma prima di cominciare la terapia ormonale si lascia che la persona viva la sua RLE (Real Life Experience) di circa un anno, durante il quale la persona transgender sperimenta l’inserimento in società conformemente al sesso da lei/lui desiderato. La terapia ormonale femminilizzante o mascolinizzante non è la stessa per tutt* in termini posologici, anche perché si sta parlando sempre più di opzione “microdosing” offerta alle persone che si identificano come non-binary.

Nella MtF la prima fase di demascolinizzazione prevede farmaci anti-androgeni di cui i più utilizzati in Europa sono il Ciproterone e lo Spironolattone. Il Ciproterone è considerato un buon farmaco in quanto riduce i peli corporei e la barba, inoltre facilita la crescita della ghiandola mammaria che avverrà nel successivo step femminilizzante con terapia estrogenica. In questa fase l’uso degli antiandrogeni può comportare un calo della libido e una riduzione delle erezioni peniene. Per alcune donne trans questo non è considerato un effetto collaterale ma un effetto accettato e desiderato, poiché non vivono serenamente la funzionalità dei loro genitali maschili. Per la femminilizzazione sono adoperati composti estrogenici in cerotti o formulazioni orali. I cerotti consentono senza dubbio il raggiungimento di migliori risultati.

Il passaggio FtM utilizza composti androgenici iniettivi o transdermici, principalmente testosterone e suoi derivati. Gli effetti saranno: aumento della libido, aumento della massa muscolare e della peluria, ridistribuzione della massa grassa con fenotipo androide, ipertrofia clitoridea, cambiamento del tono della voce, amenorrea e diminuzione del volume mammario. La maggioranza appena può effettua anche l’intervento di mastectomia.

L’intervento chirurgico di riassegnazione genitale è un’opzione, e non è assolutamente necessario per l’ottenimento del cambio di documenti anagrafici, lo è stato penosamente in passato.

In Italia per legge un medico non può asportare un organo sano ed è quindi necessario che un giudice lo consenta come forma di tutela per la salute psicofisica della persona. Lo stesso discorso si estende allo screening prostatico raccomandato dalle linee guida ed esteso anche alle donne trans. Purtroppo la ciseteronormatività del personale sanitario spesso non riconosce il profondo disagio che questo può creare, soprattutto nelle persone che hanno già effettuato la riassegnazione chirurgica del sesso che non prevede la prostatectomia, sempre per il discorso sulle problematiche medico-legali relative all’asportazione di un organo sano. Ma la criticità riguarda anche il rischio di lesionare i nervi pudendi che sono in stretto rapporto con la ghiandola prostatica. I nervi pudendi sono fondamentali per la funzione erettile, considerando che con il glande il chirurgo effettua la ricostruzione del clitoride. Inoltre il rischio di cancerizzazione prostatica nelle donne trans che hanno effettuato la terapia antiandrogena è pressoché minimo.

Dopo l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso MtF il dosaggio dell’estrogeno viene dimezzato mentre l’antiandrogeno può essere sospeso. Al contrario in FtM anche dopo l’intervento si prosegue la terapia androgenica allo stesso dosaggio pre-intervento.

Un aspetto altrettanto importante è che il medico informi la persona trans sulla fertilità e sulle opzioni disponibili. Sotto antiandrogeni e successiva terapia estrogenica nelle donne trans la fertilità viene persa a causa della azoospermia, che però può essere anche reversibile. E’ utile e doveroso informare sulla possibilità di congelamento degli ovuli e del seme. Per un uomo trans è più probabile che venga mantenuta la fertilità, in quanto anche sotto terapia a base di testosterone è possibile l’ovulazione.

E’ difficile parlare di demedicalizzazione delle persone trans ripercorrendo il percorso medico che viene intrapreso per tutelare la loro salute sessuale. Ma è doveroso. La medicina non è più da intendersi come erogatrice di servizi di cure, non è più solo la medicina del bisogno in ambito patologico, è anche medicina dei desideri. Si è passati dal campo della cura a quello della prevenzione, e con la stessa rapidità e prontezza si deve poter approdare alla medicina delle potenzialità, anche nel linguaggio medico oltre che nel superamento dello stigma sociale che continua ad insistere sulla dignità delle persone trans. La comunità delle persone trans deve potersi appropriare totalmente del percorso di transizione: in Italia è necessario che questo includa consulenti e professionisti appartenenti alla comunità trans. Inoltre la stessa comunità contesta i tempi ancora troppo lunghi previsti dal Real Life Test e chiede che il cambio dei documenti anagrafici divenga un procedimento puramente amministrativo e non a carattere giudiziario, considerato quest’ultimo frutto di un atteggiamento paternalistico.

Informarsi sull’iter medico e non solo affrontato dalle persone trans non è un modo per medicalizzarle e patologizzarle, è anzi utile a sensibilizzare sul tema dell’inclusività sociale, medica, giuridica e culturale di intere categorie stigmatizzate e marginalizzate. Anche a questo livello è infatti pronto ad agire il transfemminismo intersezionale.

Dominica Lucignano

Dominica Lucignano

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