Storia di un vuoto. È questa la traduzione letterale del titolo della brillante opera d’esordio di Yagi Emi.
Protagonista indiscussa del romanzo è Shibata, impiegata di una piccola azienda produttrice di tubi e anime di cartone. Il suo è un lavoro tranquillo e non avrebbe nulla di cui lamentarsi se non fosse che, essendo l’unica donna, le vengono assegnate in automatico tutte quelle incombenze mai presenti sui contratti di lavoro: la preparazione del caffè per le riunioni, il lavaggio delle tazze, la pulizia dei posacenere e decine a seguire. Quella serie infinita di compiti di cui nessuno è responsabile e che ricade non richiesta sulle portatrici d’utero a disposizione.
Tuttavia, arriva un momento in cui Shibata raccoglie al volo un’intuizione e trova un modo geniale di liberarsi del fardello.
«Oggi qualcuno potrebbe sostituirmi? Per riordinare le tazze, intendo.»
«Come?»
«Non posso.»
«Che cos’è questa novità?»
«Sono incinta. L’odore del caffè mi fa venire una nausea tremenda, per non parlare della puzza delle sigarette. Eppure in questo edificio è vietato fumare.»
Ecco come sono rimasta incinta.

L’idea geniale di Shibata è una bugia semplice eppure potente. Si abbatte sul personale maschile dell’ufficio costretto a riprendere le misure di una condotta mai messa apertamente in discussione. E lei scopre molto presto che una volta gettata quella notizia sul mondo nessuno può più tirarsi indietro. La bugia non fa che crescere con il passare del tempo, esattamente come il suo ventre (?).
Grata dell’ignoranza dei suoi colleghi sull’argomento, inizia il suo cammino da donna incinta, pretendendo giorno dopo giorno i benefici che questa condizione le offre. Comincia a uscire in orario, godendosi il tempo aumentato della sua esistenza oltre al lavoro. Si prende più cura di sé. Rinuncia volentieri ai piatti pronti, fino ad allora quasi unico mezzo di sostentamento, in favore di piatti sani cucinati con dedizione e ingredienti di stagione. Il pallore tipico di chi trascorre troppe ore davanti al computer la abbandona e la vita più sana le fa mettere su qualche chilo, complici le ore di riposo in più e il rinnovato spazio per ascoltarsi.
La gravidanza è davvero un lusso, davvero una solitudine.
Il lusso di guardarsi attorno e di vivere la vita a un ritmo umano e gradevole. Un ritmo che ci faccia appartenere alla collettività senza privarci dell’umana emergenza di inseguire i nostri bisogni e desideri. Shibata si rende piano piano conto di non poter cambiare il mondo, ma decide di prendersi tutto quello di cui ha bisogno servendosi delle regole non scritte piuttosto che esserne vittima. Lei scopre quindi come la gravidanza possa essere vista sia come una liberazione che come un’oppressione: entrambe facce della stessa moneta che vibra in aria senza mai fermarsi.
Questo romanzo non è soltanto un altro tentativo di mostrare alcuni degli errori che ci rendono ingranaggi a scapito dell’individualità. La necessità di ampliare i punti di vista per sgretolare le ormai vetuste e inconciliabili posizioni della collettività resta, ma questo libro fa molto di più. L’approccio di Yagi Emi è scaltro e fornisce una prospettiva che va oltre. Questa storia critica le aspettative della società rispetto all’essere genitori, ma anche ai modi in cui la donna viene vista come incubatrice, non solo per far nascere futuri bambini, ma anche per alimentare l’esigenza della società stessa che feroce si nutre di ruoli chiari e prestabiliti.
Resta solo una domanda. Cosa succederà quando arriverà il momento di partorire?
Il diario geniale della signorina Shibata di Yagi Emi.
Yagi Emi ha vinto il premio Osamu Dazai Award come miglior libro d’esordio nel 2020.
Tradotto in italiano da Anna Specchio