La Strega dell’Ovest. Il rimando al mondo di Oz e la mia passione per i “cattivi” delle fiabe sono stati motivo di immediata attrazione per questo libro. Tuttavia, in questa storia, la Strega dell’Ovest è un personaggio quasi del tutto diverso.
La protagonista del romanzo è Mai, sua nipote. Mai è una ragazza di tredici anni che a causa del bullismo subìto a scuola, comunica ai genitori che non la frequenterà più. I due, che per motivi lavorativi vivono momentaneamente separati, non sanno come gestire questa situazione. Quindi mandano Mai in montagna dalla nonna materna, nella speranza che un’estate tra le montagne sia benefica per lei come lo è stata per Heidi.
La nonna è una signora inglese che si è trasferita in Giappone da giovane (il corrispettivo di avere la pelle verde in un mondo fatato), ha incontrato l’amore, ha creato con lui una famiglia e ha smesso di desiderare di ritornare in patria. Ha ripiantato con grande abilità le sue radici in un paese che ama ancora prima di raggiungere.
Una donna di una generazione distante, con convinzioni che la separano dalla figlia (che infatti la chiama la Strega dell’Ovest), ma con modi e saggezza che aiutano la nipote ad attraversare un periodo difficile. Come potrebbe non suscitare la curiosità di un’adolescente intelligente e curiosa come Mai? E proprio da questa curiosità parte un percorso di addestramento che vede la nonna ricamare per la nipote un cammino di crescita che la prepari alle difficoltà, ma anche alla ricerca della sua identità, dei suoi desideri e della capacità di essere fedele a se stessa. Mai impara ad accogliere la felicità e a far tesoro del dolore che appariranno nel suo cammino.
Eppure non è così semplice.
All’inizio non noterai cambiamenti. Poi arriveranno i dubbi, la pigrizia, la rassegnazione, la negligenza, che dovrai sconfiggere, andando avanti a testa bassa. E quando comincerai a pensare che non cambierà mai nulla, finalmente succederà qualcosa che ti farà scoprire che sei diversa da prima. E continuando a fare sforzi costanti, in una successione di giorni tutti uguali, di nuovo, un giorno, all’improvviso, ti vedrai ulteriormente cambiata, e così via.”
e:
“Quindi io sono l’unione di corpo e anima?” “Esatto. Dunque morire significa perdere quello che è il corpo, perciò è difficile dire se anche dopo la morte resterai uguale a ora.” “Allora una strega è una persona che si allena a morire durante la vita?” “Vediamo… Potremmo dire che si allena a morire al fine di vivere una vita soddisfacente.”
Mai ha bisogno di un luogo protetto che le permetta di sentire qualunque sentimento senza sentirsi mortificata. Un luogo che la faccia essere come vuole essere. Nessuna campana di vetro: Mai può sperimentare il dolore della perdita come la sorpresa nello scoprire che può fare, può creare, può scegliere. Capisce che la responsabilità delle sue azioni è sua e non deve averne paura. Capisce che le relazioni non sono sempre perfette, che esistono incomprensioni (“Mai per un istante provò ostilità nei confronti della nonna. Scintillò come una lama nel buio.”), che si può far pace. Impara a prendersi cura di sé e di coloro che ama anche nelle piccole cose. Sapere come rifarsi il letto, occuparsi delle piante in giardino, ammirare l’arcobaleno. Scopre i limiti del suo risentimento, questionandoli di volta in volta.
La vita non è perfetta, anzi spesso è ben lontana dall’essere come vorremmo. Ma curare l’energia che ci fa rialzare, che ci ricorda che qualunque avversità non ci ridurrà del tutto ko è importante e le dona la forza di riappropriarsi della sua esistenza.
L’unica nota stonata che mi è restata dentro dopo la lettura è la convinzione della “strega dell’ovest” che sua figlia non debba lavorare dopo il matrimonio e piuttosto prendersi cura di Mai a tempo pieno. Sembra sia quella la fonte di ogni guaio. Ed è vero che Mai subisce la solitudine inflitta dai due genitori, presi dalla carriera e dalle loro cicatrici personali, non dico di no. Ma non c’entra con il lavoro di sua madre. È ben più complicato di così e dare a questa scelta lo scettro di ogni colpa non è corretto e semplifica in modo troppo superficiale la questione. Sì, è un romanzo del 1994 e ovviamente è necessario considerare la base culturale di appartenenza dell’autrice, ma il fatto che questo libro abbia avuto un revival dopo quasi 25 anni (la ristampa è del 2017) mi lascia l’amaro in bocca, specialmente nei tempi che stiamo vivendo.
C’è molto altro su cui riflettere in questo romanzo. L’eterna lotta generazionale che crea scompensi e nuovi equilibri. Il rapporto che abbiamo con la morte in generale e con la solitudine scavata dall’assenza dei nostri cari. La poesia delicata di alcuni passaggi che sanno trovare una corrispondenza nel nostro cuore con estrema grazia.
Concludo citando le parole dell’autrice inserite al termine del romanzo.
Allora, buon viaggio. Ti prego di raggiungere, senza fare distinzioni, coloro che potrebbero avere bisogno di te, che siano giovani o vecchi, donne o uomini, e di affiancarli, di sostenerli con tutta la forza che hai, di incoraggiarli. E di sussurrare loro queste parole: non abbiamo una voce forte, ma possiamo comunque trasmettere il nostro messaggio, parlando tra noi a bassa voce.
Buona lettura.
Un’estate con la Strega dell’Ovest di Nashiki Kaho.
Con questo romanzo d’esordio del 1994, Nashiki Kaho ha vinto il JAWC New Talent Award, lo Shogakukan Children’s Publication Culture Award e il Niimi Nankichi Children’s Literature Award. Diventato presto un bestseller, è stato adattato cinematrograficamente mantenendo il titolo originale dell’opera (Nishi no majo ga shinda, in italiano: La Strega dell’Ovest è morta).
Tradotto in italiano da Michela Riminucci