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Il diritto a non fare: rivendicare le proprie lotte

Quando mi sono ritrovata a studiare diritto dell’informazione all’università, mi sono imbattuta nel diritto all’oblio. Già la sola parola mi metteva uno strano senso di inquietudine. Infatti, mi chiedevo per quale motivo una persona volesse essere dimenticata dagli altri, esercitando la possibilità di non fare qualcosa. Non essere ricordata, non essere tenuta in considerazione, non essere presente. Ora, capisco il perchè.

Il diritto a non dire sempre la tua opinione

Cambiamo scenario e lasciamo l’università: una sera d’estate, nella mia città natale del Sud Italia, chiacchiere tra conoscenti e amici, io e altri quattro ragazzi. Spesso, in queste occasioni in mia presenza, si dibatte di tematiche che abbracciano le lotte femministe e che scatenano sempre le mie risposte. Per esempio, parliamo di catcalling o di gender pay gap. Poi, di ruoli di genere e di femminicidio. Ovviamente, non tutto nella stessa sera: la mia lotta contro il patriarcato è lenta e a piccole dosi, inesorabile. Sfiancarli in una sola botta con tutti questi argomenti mi sembra un po’ eccessivo per la loro salute. E anche la mia.

Al tavolino del bar, con il fresco della sera, per come la vedevo io si stava parlando di liberazione sessuale o, per come la vedeva uno di loro, dell'”incresciosa” richiesta di una ragazza di una specifica pratica sessuale. Difatti, la sua esplicita dichiarazione d’intenti li aveva alquanto sbalorditi, sia mai che una donna riesca a parlare liberamente dei propri desideri sotto le coperte. Poi, la domanda faditica di questo conoscente: “Chiediamo alla donzella cosa ne pensa”.

La donzella non voleva pensare. E non solo perché le sue orecchie sanguinavano al sentire storie prettamente dal punto di vista maschile poco rispettose di quello femminile. Ma perchè, per una volta, non voleva essere al centro della conversazione. “Da femminista e donna devi avere un’opinione“. Certo, ovvio, che ce l’ho un’idea, ma se non volessi esprimerla? Se volessi esercitare il diritto di non dire sempre la mia opinione?

Il diritto a non essere sempre performante

Ora, salutiamo i nostri conoscenti per navigare verso il web. Il feed del mio Instagram è letteralmente invaso da attivistə di ogni forma, genere e lotta, oltre che da animali pucciosi. E un giorno, tra un reel di un cagnolino che si fa fare i boccoli con il ferro per capelli e uno di una pantera diventata più grande di casa mia, sono incappata in un video di un’attivista. Più che altro, era uno sfogo: alcunə follower l’avevano accusata di aver comprato dei prodotti su un sito di abbigliamento tristemente noto per sfruttamento dei lavoratori e inquinamento dell’ambiente. In moltə l’attaccavano per la sua mancanza di sensibilità nei confronti di questi temi. Tu quoque, Influencer, fili mi! Però lei rivendicava il suo diritto ad aver fatto un errore e, consapevolemente, a ripeterlo in futuro, sotto particolari condizioni e motivi.

Questo episodio, ha fatto scattare in me la vocina che ormai mi guida al supermercato, nei negozi, online: Ma questo prodotto che stai comprando è davvero sostenibile? La maglietta da dieci euro che stai acquistando rispetterà i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici? Oppure si restringerà dopo il secondo lavaggio? E quanta acqua sprecherai a lavarla? Ma il detersivo che stai usando per pulirla danneggia l’ambiente? Sono forse io la responsabile della morte della mamma di Nemo perchè ho inquinato il mare? Ovviamente, la risposta è si, visto che siamo tuttə responsabili della crisi climatica e via discorrendo. Ma possiamo sempre dare il meglio di noi, in modo obiettivo, assoluto e vantaggioso per tuttə?

Il diritto a non denunciare o a raccontarlo come vuoi

Usciamo dalla giungla dei miei pensieri astratti per concentrarci sui racconti reali. Stavo leggendo un libro di un’attivista dove lei descriveva il momento in cui è andata a denunciare le violenze subite. Niente terrore, niente dolore, niente debolezza. In altre parole, non era la vittima che i poliziotti si aspettavano di trovare. E forse per questo ciò che le è successo dovrebbe essere meno grave o meno vero? Per molti, si – e si, il maschile è voluto.

Infatti, negli anni, sono venuta a conoscenza di storie di violenza – lette, raccontate, sussurrate, spiegate. E quello che non cambiava mai era la reazione degli interlocutori quando vedevano una vittima fuori dall’immaginario della vittima. Troppo tranquilla, troppo sorridente, troppo truccata. “Ma non ti senti sporca?”. “E come fai ad andare ancora all’università’?” “Ma alla fine stai bene, sicura che sia andata così?”. Come se per essere la vera vittima© ci fosse bisogno di seguire un copione già scritto, altrimenti non lo era davvero. E quindi la voce di chi ha subito che fine fa?

Il diritto a essere truccata

Infine, passiamo ad argomenti più leggeri. Quando ancora coltivavo passioni virtuose e altamente educative, ovvero rispondere ai commenti sessisti sotto post di Facebook, sono incappata in un simpatico essere. Per quanto ora mi sfugga l’argomento in questione, ricordo bene cosa mi scrisse. Non ero davvero una femminista visto che nella mia immagine del profilo ero truccata e pettinata.

Hai proprio ragione Giantommaso Piergiorgio Asdrubale di Milano, non sono affatto credibile mentre combatto il patriarcato con i tacchi e con i lustrini. Anzi, dirò di più, sono una serva del sistema, una nemica tra le file alleate, una talpa della squadra avversaria. Oppure, semplicemente, sono come sono.

Il tuo femminismo, le tue lotte: il diritto a essere te

Non ho espresso un’opinione, non sono sempre performante, non ho raccontato come si “dovrebbe raccontare”, non ho addosso il trucco. Sono frasi contraddittorie, incorrelate, singole. Il femminismo non è sempre una lotta facile da portare avanti: si scontra con la propria condizione familiare, economica, politica, religiosa. Pretendere che le femministe siano sempre sul piede di guerra, tagliandosi il seno come le Amazzoni e bruciando in pubblica piazza bambole gonfiabili a forma di uomini, mi sembra un po’ azzardato. Così come dare per scontato il nostro essere coerenti, sempre.

Specialmente ora, quando il diritto a criticare sembra più importante del diritto alla riflessione, il femminismo delle singole persone è sotto i riflettori. Per questo ci chiedono di dire sempre la nostra, di essere sostenibili, di fare il meglio del meglio, di essere perfette nell’immaginario che ci hanno cucito addosso. Ma non funziona sempre così.

Decidi tu: quando hai la forza di rispondere e quando no, quando vuoi raccontarlo e quando noi, quando vuoi combattere e quando no. Ci possono essere giorni in cui ci sfuggirà un commento sessista, momenti in cui non faremo scelte sostenibili, attimi in cui preferiremmo essere più o meno truccate. Ciò non ci rende meno femministe. Semplicemente, ci rende umane.

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Elena Morrone

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